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I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (1^ puntata): Uruguay 1930

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#IL MONDIALE
Il primo Mondiale della storia è a invito e vede partecipare tredici squadre di cui appena quattro europee: Belgio, Francia, Romania e Jugoslavia. Solo quest’ultima supererà il primo turno. A Montevideo è inverno e durante alcune partite nevica. Il primo gol nella storia dei Mondiali lo segna il francese Lucien Laurent, la prima tripletta l’americano Bert Patenaude nello stesso giorno, mentre il primo espulso è il peruviano Placido Galindo contro la Romania.
Nonostante i numerosi errori arbitrali e una gestione del calendario tanto confusa da risultare quasi dilettantesca, il torneo premia infine la squadra più forte, l’Uruguay già due volte campione olimpico, che sconfigge in finale i grandi rivali dell’Argentina, forse più capaci tecnicamente ma inferiori per grinta e sapienza tattica.



#GLI EROI

Sono diversi e leggendari i protagonisti del primo Mondiale. Tra questi i francesi Lucien Laurent e Alexandre Villaplane: Laurent, come detto, segna il primo gol nella storia dei Mondiali mentre Villaplane è il capitano della Nazionale e durante la Seconda Guerra Mondiale diventerà un criminale collaborazionista. Altri personaggi degni di nota sono due argentini: il capocannoniere del torneo, Guillermo Stabile detto “El Filtrador”, che avrà anche una breve e sfortunata parentesi italiana al Genoa, e il centromediano Luis Monti, tanto duro quanto elegante, che dopo il torneo diventerà un idolo della Juventus e con la Nazionale Italiana vincerà il Mondiale del 1934 da oriundo, primo e unico caso nella storia di un giocatore capace di disputare due finali consecutive con due Paesi diversi. Nell’Uruguay spiccano diversi giocatori tra cui il capitano, “El Gran Mariscal” José Nasazzi, duro e volitivo difensore che giocherà quasi un migliaio di gare in carriera, e “El Divino Manco” Hectòr Castro, monco di una mano per un incidente con una motosega in età giovanile ma capace di giocare più che bene e di segnare anche il gol decisivo in finale.
Infine da segnalare il brasiliano Preguinho, che si distingue pur se la sua squadra delude: atleta polivalente, gioca due gare e segna tre reti.


#L’EPISODIO
L’arbitro designato per la finale, il belga John Langenus, chiede ed ottiene un’assicurazione sulla vita e un piroscafo pronto a partire un’ora dopo il termine della gara. Arrivato allo stadio in ritardo per via della folla incredibile di persone che intendevano assistere alla sfida tra Uruguay e Argentina, viene bloccato dalla polizia e rilasciato solo dopo qualche minuto, una volta accertata la sua identità: almeno dieci persone avevano tentato di spacciarsi per lui.


Una volta sul campo deve dirimere un’altra questione: entrambe le squadre vogliono giocare con il proprio pallone. Langenus effettua il sorteggio, vince l’Argentina, poi ci ripensa e stabilisce che si giocherà con una palla per tempo. Curiosamente, l’Argentina chiude in vantaggio il primo tempo (giocato con il suo pallone) ma nel secondo l’Uruguay, cambiata la palla, rimonta e vince.


#IL PROTAGONISTA
José Leandro Andrade nasce a Salto, città al confine tra Uruguay e Argentina, il 22 novembre 1901. Suo padre è uno stregone di origine africana emigrato in Sud America, una figura mistica che alla nascita del piccolo José si dice abbia ben 98 anni, e che gli dona un unguento ‘magico’ che, spalmato sui piedi, gli permette di giocare a calcio in modo divino.
Non che il calcio sia la sua sola passione. Prima di essere ingaggiato, ventenne, dal Bella Vista, Andrade svolge numerosi lavori: fa il lustrascarpe e lo ‘strillone’, oltre ad essere una delle stelle del Carnevale locale dove suona il tamburo, il violino e danza. Molto bene, si dice, e non è difficile crederlo visti i movimenti sinuosi ed eleganti con cui si distinguerà anche sul terreno di gioco.
Il suo nome viene alla ribalta nel 1924 quando con la Nazionale conquista la medaglia d’oro alle Olimpiadi in Francia. In pochi credono nei sudamericani, giunti in Europa tra mille difficoltà e che negli allenamenti sembrano un branco di brocchi. È in realtà tutta una finta per confondere i rivali e quando il gioco si fa serio ecco che cominciano a giocare come sanno: l’Uruguay elimina la Jugoslavia (7 – 0), gli Stati Uniti (3 – 0), i padroni di casa della Francia (5 – 1), l’Olanda (2 – 1) e in finale surclassa la Svizzera per 3 a 0.
I francesi soprannominano quel mediano destro di centrocampo “la Merveille Noire”, “la Meraviglia Nera”, soprannome con cui passerà alla storia. È il primo giocatore di colore a prendere parte a una partita di calcio olimpica, ma non è per il colore della pelle che viene notato, quanto per la sua classe sopraffina: Andrade è capace di fare tutto, ha resistenza, tecnica, sapienza tattica e doti acrobatiche che gli permettono di eseguire colpi mai visti prima e mai più rivisti dopo su di un campo di calcio, come il calciare il pallone al volo facendo leva sulle mani ben piantate a terra. Ama anche la bella vita, José, tanto che spesso i compagni lo perdono per ritrovarlo nei più noti club di Parigi a bere e a cantare con gli avventori locali. Tra le sue conquiste, in quell’estate parigina, si dice vi sia anche la ballerina Josephine Baker, cantante di cabaret passata alla storia come protagonista del primo topless pubblico.


Nel 1928 l’Uruguay vince la seconda medaglia d’oro consecutiva alle Olimpiadi, stavolta ad Amsterdam. Andrade è sempre lo stesso, trascina la squadra dentro e fuori dal campo con il suo carattere allegro e scanzonato.
In campo la squadra è inarrestabile, elimina l’Olanda (2 – 0) e la Germania (4 – 1) prima di scontrarsi in semifinale in una gara epica contro la fortissima Italia di Baloncieri, Ferraris, Levratto. Finisce 3 a 2 per i sudamericani. Andrade gioca benissimo ma patisce un brutto infortunio andando a scontrarsi con il palo di una porta e infortunandosi a un occhio, cosa che però non gli impedirà di essere in campo anche contro l’Argentina in finale. La gara finirà 1 a 1 e nella ripetizione, tre giorni dopo, l’Uruguay si imporrà per un 2 a 1.
Ai tempi la Nazionale “celeste” è dunque la squadra più forte al mondo, mancando un vero e proprio torneo mondiale che lo sancisca. La FIFA decide di organizzarlo nel 1930, ed è naturale che la scelta cada sull’Uruguay bi-campione olimpico e che ha vinto, tra il 1923 e il 1925, anche tre Coppe America. Saranno i primi Mondiali di Calcio della storia e l’Uruguay farà sua la prima Coppa Rimet sconfiggendo in una storica finale gli arci-rivali dell’Argentina, con Andrade ancora grande protagonista.
A livello di club intanto, dopo l’esordio con il Bella Vista, era passato al fortissimo Nacional con cui aveva vinto un campionato. Concluso il Mondiale passa al Penarol, la squadra per cui da ragazzo aveva fatto un provino venendo bocciato più a causa del colore della pelle che per le sue indiscutibili qualità tecniche e atletiche.
È una rivincita, e con la maglia degli “Aurinegros” vincerà due campionati da protagonista. Chiude la carriera nel 1935 per l’aggravarsi del problema all’occhio infortunato ad Amsterdam sette anni prima e da cui ora praticamente non vede più, e rapidamente il mondo del calcio si dimentica di lui, complice anche l’assenza dell’Uruguay campione in carica dai Mondiali del 1934 e del 1938, una ripicca verso le nazioni europee che si erano rifiutate di partecipare alla prima edizione.


Riappare nel 1950, quando il Mondiale riparte dopo gli orrori della guerra. È in tribuna in diverse partite dell’Uruguay, dove adesso gioca il nipote Victor Rodriguez, che in suo onore ha preso anche il cognome “Andrade” e che è tra i protagonisti del famoso “Maracanaço” con cui l’Uruguay stende l’intero Brasile.
José è felice per la vittoria del suo Paese, che però dimostra di averlo dimenticato. Anzi, il mondo intero lo fa, fino a quando nel 1956 il giornalista sportivo tedesco Fritz Hack, dopo una settimana di ricerche in luogo, riesce a trovarlo: vive in una baracca appena fuori Montevideo, alcolizzato e accudito solamente dalla sorella. Ha contratto la tubercolosi, che ha aggravato il problema all’occhio rendendolo praticamente cieco: una caricatura dell’atleta d’ebano che conquistava i tifosi sul campo e spezzava i cuori delle donne fuori.
Muore l’anno successivo, nel 1957, un mese prima di compiere 56 anni: nella stanza dell’ospizio dove è stato ricoverato gli ultimi giorni di vita, chiuse dentro una scatola di scarpe, le medaglie conquistate da calciatore e nient’altro.
L’ultimo ricordo di quello che fu, un tempo, “la Meraviglia Nera”.

 

Fonti: “Storia dei Mondiali di Calcio” (S. Bocchio – G. Tosco, ed. Sestante)
Editing: Eleonora Baldelli 

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