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Il destino incrociato di Formula 1 e 500 Miglia di Indianapolis

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La 500 Miglia di Indianapolis fa parte di quel ristretto club di eventi motoristici il cui nome dice qualcosa anche ai meno avvezzi all’argomento, le cui immagini ci sono passate almeno una volta davanti agli occhi durante la riproduzione di qualche Tg mattiniero di fine maggio. La “Indianapolis Five Hundred” è una di quelle gare in cui a farla da padrone sono nervi e soprattutto la costanza: in un ovale di oltre 4 chilometri di lunghezza, 33 monoposto (il numero non è mai cambiato negli ultimi 110 anni) si sfidano per 200 giri viaggiando a medie di oltre 300km orari di velocità – per fare un confronto il gp di Monza, il più veloce del calendario di Formula 1, viene percorso ad una media di 250 chilometri orari, 50 in meno -. Una mezza dozzina di pit stop e tra le due ore e mezza e le tre di percorrenza decidono poi il vincitore di una gara definita da Michael Andretti, uno dei piloti di IndyCar più vincenti di sempre: “La più corta delle gare endurance e la più lunga delle gare sprint”.

Dal 1996 tappa della IndyCar Series, la 500 Miglia ha vissuto gioie e fallimenti nei suoi 111 anni di attività, siamo qui oggi a raccontarvi qualche curiosità su questa gara e del suo legame con la Formula 1. 

Inaugurata nel 1911, la 500 Miglia ebbe nel primo decennio un crescente successo internazionale quando piloti e case automobilistiche di tutto il mondo si sfidarono sul circuito dell’Indiana. Peugeot e Mercedes vinsero quattro delle prime sette edizioni mentre tra i piloti si annovera Ralph De Palma come primo ed unico vincitore italiano della competizione (edizione 1915), penultimo europeo prima del ritorno alla ribalta della gara degli anni 60 e della definita consacrazione degli anni 90. Ma anche se volevamo parlare di Formula 1 c’è qualcosa in più da dire sugli italiani che vinsero questa competizione.

Nel 1916 a salire sul gradino più alto del podio fu il britannico Dario Resta, già dal nome non risulta difficile capire che Dario avesse qualcosa in comune con l’Italia, meno ovvio è invece che avesse qualcosa a che fare proprio con la nostra Motor Valley e la storia sulle sue origini è interessante e contradittoria. Su diversi siti d’informazione si scrive che il pilota inglese avesse le sue origini nella città di Livorno, dove nacque e visse gli anni d’infanzia. Ma Historia Faentina con una lodevole ricerca è riuscita a determinare che quella di Livorno fosse in realtà la città di nascita della madre. Resta nacque e visse a Faenza i primi anni della propria vita e non solo, come dimostrato dallo stesso sito di informazione, il pilota sarebbe stato in possesso della doppia cittadinanza – britannica e italiana-, come dichiarato dallo stesso pilota nei documenti d’imbarco del transatlantico Minnetonka in direzione New York nel 1915.

Dario Resta nel 1913 – Wikimedia

Arrivò quindi la prima guerra mondiale e un motivo tira l’altro il palcoscenico della gara di Indianapolis si ridusse sempre più fino a farlo diventare un evento snobbato dalla maggior parte dei costruttori europei, preso sul serio esclusivamente da piloti e scuderie americane con la scintillante doppia vittoria della modenese Maserati 8CTF tra il 39 ed il 40 a fare da eccezione alla regola. Nel secondo dopoguerra si cercò di ridare un respiro più internazionale alla competizione e nel tentativo di riportare le case europee a percorrere l’anello di Indianapolis si decise di includere la competizione nel campionato mondiale di Formula 1.

Si cercò di dare un senso all’esperimento per l’intero decennio degli anni 50 ma l’appeal del tracciato americano nei confronti di Lotus, Williams e compagnia non cambiò più di tanto: le scuderie europee mantennero un profilo ai limiti dell’ostile e disertarono in massa di fatto l’unica tappa americana del Circus di quel tempo. Un eccezione furono i tentativi della Ferrari di cui vi abbiamo raccontato qui nei giorni scorsi. Un decennio, quello degli anni 50, che quindi venne dominato ancora e comunque dagli USA:, dai motori della Offy Offenhauser (11 successi su 11) ed in maniera meno preponderante dai telai della Kurtis Kraft (5 successi su 11). Nel 1961 l’appuntamento venne definitivamente cancellato dal calendario di Formula 1 in concomitanza con la definitiva asfaltatura del tracciato. 

Detto che dagli anni 90 si ebbe la definitiva consacrazione di interesse mondiale della competizione, i primi segnali di una ripresa si ebbero già a partire dal 1965 quando la Lotus 38 motorizzata Ford dell’inglese due volte campione del mondo di Formula 1 Jim Clark tagliò per prima il traguardo rompendo l’assoluto predominio americano della categoria piloti durato cinquant’anni.

Ma l’amore tra l’Indianapolis Motor Speedway e la Formula 1 poteva finire con quella esperienza chiaro-scura degli anni 50? Certo che no, e anche se non in veste ufficiale di “500 miglia”, il Circus tornò a gareggiare in Indiana dal 2000 al 2007, durante il cambio di denominazione della Serie (da Indy Racing League a IndyCar Series), in veste di Gran Premio degli Stati Uniti d’America, tappa che mancava da 10 anni, dai tempi di Phoneix e Detroit, dal calendario di F1.

Il circuito di Indianapolis venne quindi impostato per l’occasione: si gareggiava in senso orario – in direzione quindi opposta a quello che abbiamo visto anche nel corso dell’ultimo weekend – e del tracciato riservato alla 500 Miglia si mantennero solamente le due curve e i due rettilinei che formavano la parte inferiore di destra.

Iconico in modo inconsueto, il gp degli Usa corso ad Indianapolis verrà sempre ricordato per la stagione 2005, quando solo sei monoposto si presentarono al via a causa dei problemi alle gomme fornite da Michelin per l’evento.

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