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Una (buona) stagione in bianco e nero.

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Comincerei da una premessa: se, avendo prima battuto Brindisi, o Pistoia, la Virtus Segafredo avesse perso contro Varese fallendo così l’obiettivo playoff, il tifoso medio avrebbe considerato l’annata disastrosa. Avendo, invece, vinto contro i lombardi dell’Openjobmetis domenica scorsa, la stessa sera del festeggiamento della Coppa di Champions League, i tifosi sono usciti dal PalaDozza mediamente col sorriso e nutrendo concrete speranze per il futuro, pur essendo rimasti fuori dalla seconda fase del campionato. Questo per rimarcare ancora una volta la volubilità del tifoso, di sicuro quello bolognese e virtussino, estremamente condizionato nelle valutazioni dal risultato più recente, rapidissimo nel passare dall’esaltazione alla depressione e viceversa. Ma se ci si ferma ad analizzare con un minimo di calma la stagione appena conclusa, questa non si può certo definire fallimentare, anzi, poiché in fin dei conti passerà alla storia come quella del ritorno alla vittoria in Europa; resterà nel palmares, dunque, a differenza di altre annate apparentemente più riuscite ma non foriere di analoghi trofei. Le Final4 di Anversa pertanto hanno risistemato tante cose in una famiglia dove tutto pareva andare a catafascio ben oltre il lecito: la stagione, fin lì, non era poi stata così negativa. Possibile essersi già scordati della vittoria in Coppa Italia con Milano, delle altre belle partite giocate sempre contro la formazione di Pianigiani? Del trionfo ad Avellino? Dell’entusiasmo generato dal filotto di vittorie all’andata in BCL? Delle serate di Natale ed Epifania?  È vero che certi proclami in itinere, derivanti dai bei risultati, possono aver contribuito ad alimentare velleitari sogni di gloria, ma realisticamente questa squadra ha alcuni limiti, prima di tutto un roster quantitativamente un po’ limitato da non permetterle di reggere pienamente il doppio impegno agonistico e di sopperire ai numerosi, reiterati infortuni, per cui la conquista di una coppa internazionale deve già considerarsi risultato eccellente. Una coppa, poi, che alcuni continuano a sottostimare, mentre io ne immagino la crescita che permetterà ai virtussini di andare fieri di questa vittoria, in futuro. La FIBA sta lavorando benissimo sul piano mediatico e su quello degli incentivi economici, cosicché una certa migrazione dall’ULEB (gli organizzatori dell’Eurolega) non deve sorprendere più di tanto. Chiaro, le due organizzazioni rimangono distanti anni luce soprattutto per quello che comporta il dato finanziario, quindi, a cascata, il piano tecnico, ma la strada intrapresa dalla FIBA potrebbe riservare sorprese. Scendiamo allora nel dettaglio più preciso per quanto riguarda la stagione della Virtus Segafredo: in campionato 15 vittorie su 30 partite non sono effettivamente granché; se si aggiungono, tuttavia, le 14 vittorie su 19 della BCL le cose cambiano decisamente; oltre a questo, la conquista della partecipazione alle Final8 di Coppa Italia ben onorata: 1 vittoria (contro ogni pronostico, con Milano) su 2.  Senza scendere nello specifico dei numeri un po’ freddi delle statistiche tecniche, diciamo che anche questi non sono proprio entusiasmanti. Ma il gioco è fatto di emozioni, di gesti tecnici e atletici, di imprese spettacolari, e sfido chiunque a dire che quest’anno al palaDozza non ci si sia divertiti, a volte anche nella sconfitta. I giocatori sono stati a tratti idolatrati, a tratti quasi infamati; è impossibile oggi capire chi resterà il prossimo anno, ma il ricordo di Punter, Taylor, Martin, in particolare, non svanirà rapidamente. Il primo ha confermato doti balistiche notevolissime ma soprattutto di possedere il carattere del vincente; il secondo ha finito un po’ sulle gambe, ma nella prima parte della stagione è stato non di rado fenomenale, vincendo quasi da solo diverse partite; Martin è stato invece bersagliato dagli infortuni che gli hanno fatto perdere pressoché mezza stagione, anche perché in quest’ultima fase non ha potuto rendere per le caratteristiche messe in luce in autunno, ma come dimenticare certi suoi recuperi difensivi, le schiacciate, i rimbalzi? Dei tre centri, che dire? Con i loro limiti, Kravic e Moreira sono sopravvissuti alle critiche mosse loro in misura non sempre giustificata, ed entrambi sono stati pure protagonisti di ottime partite; Qvale è stato la grande incognita, a causa di problemi fisici non del tutto chiariti, ma in diverse occasioni ha mostrato doti che avrebbero potuto permettere un salto di qualità, come probabilmente ben ricorda Gudaitis. M’Baye ha avuto alti e bassi allucinanti, rimane probabilmente l’incognita maggior di questa squadra, ma il suo zampino nella vittoria in Coppa si è avvertito, eccome. Aradori è stato altrettanto croce e delizia, anche lui con alti e bassi sconcertanti pure nella medesima gara, ma non si può certo parlare di un’annata negativa. Cournooh ha confermato una vocazione operaia assai utile alla causa, Baldi Rossi è cresciuto nel tempo e alla fine si è guadagnato presumibilmente la riconferma. Pajola ha dimostrato, poco alla volta di possedere doti su cui vale assolutamente la pena di puntare; Cappelletti ha potuto dire al mondo del basket di essere tornato, presumibilmente saranno altri lidi a verificarne le reali potenzialità. Berti, invece, ha fatto più che altro da sparring partner in palestra. Resta Mario Chalmers: una chimera, un sogno, un’operazione di marketing? Al netto delle sue condizioni chiaramente inadeguate, anche solo i pochi gesti magici compiuti ne avrebbero giustificato l’ingaggio, secondo me.

Resterebbe da chiarire quanto questo sia stato reso possibile dal cambio di conduzione tecnica. La squadra con Djordjevic ha dato segni di ripresa dopo essere caduta in un loop negativo che ha condotto all’esonero di Sacripanti. Ottima persona, tecnico di valore, quest’ultimo ha forse pagato per i problemi sorti col doppio impegno e gli infortuni di Qvale e Martin, ma siccome non esistono controprove non si può negare che l’arrivo del serbo abbia dato altra energia alla formazione, nonostante i crolli con Pistoia e Brindisi. La società sta progettando di affidare a quest’ultimo le sorti della squadra in misura pressoché totale. Non so se sia la strada giusta, l’organizzazione tecnico-societaria è qualcosa di assai delicato, ma per ora tutto tace, in via ufficiale, e non ci resta che stare alla finestra. Consapevoli che l’anno 2018-2019 poteva, forse, andare meglio, ma rimarrà, come detto sopra, nella storia della Virtus Segafredo.

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