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3 Dicembre, il punto su Basket City: le incomprensibili polemiche tecniche su Belinelli e Sacchetti

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foto Virtus Pallacanestro e FIP


Sono due i tormentoni su cui a questo punto si concentrano i battibecchi a Basket City: il senso dell’arrivo di Marco Belinelli alla Virtus Segafredo, quello della permanenza di Meo Sacchetti alla Fortitudo Lavoropiù.

Partiamo dal primo, tralasciando le questioni di fede a una maglia che a me paiono poco interessanti. Nel caso di Belinelli parlano la storia, le statistiche, i discorsi fatti alla sua presentazione, la realtà tecnica della Segafredo. Chi dice che non sia arrivata una star ha torto e ragione allo stesso tempo: un passato di 13 stagioni in NBA con quasi 10 punti di media a partita, laddove non è da tutti mantenere una doppia cifra che lui invece ha dimostrato di reggere assolutamente, non so cosa altro possa significare, se poi gli si aggiunge un palmares da fare invidia a chiunque. Certo, non pare nelle sue corde divenire il faro della squadra, non è LeBron ma neppure Milos Teodosic, sotto questo aspetto, e quando in nazionale è stato costretto ad indossare quei panni non ha di sicuro brillato. Ma nella Virtus c’è già Santeodosic, sarebbe forse suicida inserire un elemento che possa rompere certi equilibri a livello di squadra, senza considerare il ruolo dominante di un coach che fa della propria leadership di campione una peculiarità considerevole. Poi, diciamocelo: se con la sua biografia fosse arrivato un John Smith, o un Vlado Ivanovic, sorgerebbero dubbi sulla consistenza del suo arrivo? Farà la differenza la vera fame che è rimasta a un campione di questo calibro, oltre alla sua reale integrità fisica, come ci hanno insegnato gli arrivi di tanti campioni giunti verso la fine della carriera in Europa. Chiaro che con lui adesso sugli scarichi verso gli esterni la pericolosità bianconera dall’arco dovrebbe essersi moltiplicata e questo dovrebbe incidere parecchio sulle dinamiche del gioco virtussino. Chi invece continua a sostenere che costituirà un problema per la difesa probabilmente è rimasto nei ricordi alla gazzella ventenne che partì per l’America: oltre ad avere messo insieme un fisico pazzesco come non considerare che lui è dovuto crescere per contrastare gente infinitamente più grossa e veloce degli avversari che troverà in Italia ma pure in Europa, non potendo, tra l’altro, nascondersi dietro il genio e la sregolatezza di un Teodosic? A un non americano in USA non perdonano alcunché, e lui, a differenza di tantissimi europei, è resistito 13 anni a livelli medio-alti: non significa nulla? Lo spirito col quale affronterà la nuova avventura dirà chi a questo punto abbia torto o ragione, ma una cosa è incontrovertibile: alla Virtus è giunta una stella che dovesse inserirsi al meglio nei suoi meccanismi potrebbe confermarsi un crack d’altri tempi. Quelli che la Segafredo pare voler rinverdire.

Il caso Sacchetti invece è ancora più incomprensibile, se non lo si guarda con gli occhi appannati da un tifo passionale. Pare diventato il capro espiatorio di una situazione in effetti imbarazzante: gli investimenti effettuati fin qui stanno producendo tutto il contrario di quanto sperato in casa Fortitudo, ma francamente credo che il coach sia uno dei problemi minori, se non addirittura un falso problema. Che la costruzione della squadra non fosse questa meraviglia si poteva già intuire in estate, giacché il basket è fatto di tanti elementi che devono incastrarsi nel modo giusto e non basta sommare i punti fatti per vincere, se poi se ne subiscono regolarmente di più. Senza considerare che il pallone è uno solo. Questo qualcuno lo diceva già ad avvio di stagione, magari andando controcorrente rispetto a certi facili entusiasmi. Ma è il coach il problema? Si dice che Sacchetti non faccia difendere le sue squadre, che subiscono sempre troppi punti. Ne siamo davvero sicuri? La questione è il rapporto fra fatti e subiti, non la quantità di questi ultimi, e questo discende dalla filosofia di gioco adottata. Certo poi che occorre che i giocatori siano quelli giusti, visto che della aggressività e della fisicità sul campo Sacchetti ha sempre fatto un credo che l’attuale Fortitudo così come è stata concepita probabilmente fatica ad assecondare. Ma quale allenatore saprebbe far difendere al meglio il roster attuale? Si è capito che questa non è più la squadra “operaia” che aveva a disposizione Antimo Martino? Pare strano, ma i nomi che si sentono vagheggiare come desiderabili sostituti sono tutti di gente che ha vinto un decimo di Sacchetti, se non addirittura niente. Un’altra contestazione che gira sul web, perché sotto i portici adesso non si può, sarebbe una sua latitanza in allenamento, peraltro già nota prima del suo arrivo. Sarà anche così, ma come si spiega che storicamente con lui tanti giocatori abbiano vissuto le loro stagioni migliori? Vogliamo parlare di Ruzzier, andato via da una Fortitudo dove faticava a essere in quintetto in A2 e con Sacchetti divenuto il play titolare nella Cremona dei miracoli? Qualcuno si ricorda del Kelvin Martin di Cremona, come pure di Drew Crawford? Con Sacchetti, a Brindisi, Amath M’Baye fu forse il miglior giocatore del campionato, con statistiche mai più ripetute. È così indietro nel tempo il ricordo della Sassari campione d’Italia? Sacchetti ha vinto tanto senza avere le spalle protette da un superclub, e la Nazionale condotta da lui sta ritrovando entusiasmo e risultati dimenticati nell’era buia delle strombazzatissime gestioni Messina e Pianigiani. Non credo proprio che sia Sacchetti il problema di questa Fortitudo. Al contrario, ritengo che possa uscire dall’attuale situazione solo stringendoglisi attorno e concedendogli la massima fiducia, ponendosi cioè totalmente al suo servizio di grande esperto di basket.

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