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Beppesavo torna a casa (dedicato ad un grande amico)

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Domenica ore 19.40: dietro al vetro del sesto piano del Sant’Orsola, la sera oscurava Bologna e regalava flebili emozioni di una caldo fine pomeriggio di Ottobre. Perchè di domenica quando il tardo pomeriggio sconfina nella sera, un ospedale diventa terra di nessuno, vuoto sostanziale, contenitore anaffettivo per antonomasia. Ma la motivazione che provavo dentro per l’essere lì in quel momento e che mi muoveva, aveva il colore e il calore dell’amicizia e non poteva essere sconfitta da un luogo di dolore per quanto grande esso potesse essere. Entrando dal Pronto Soccorso, i miei passi ormai conoscevano la strada, percorsa per 4 volte negli ultimi 3 giorni, nel tentativo di spiegarmi un perchè in poche parole, quando di parole ne sarebbero servite centinaia di migliaia. Una volta lasciatomi il Pronto Soccorso e il suo composto coacervo di sofferenze alle spalle, mi ritrovavo solo come se quel padiglione non avesse una ragione ulteriore di esistere. Allora un  silenzio stratificato mi avvolgeva, dovunque il suono era bandito ed io rimanevo in compagnia della mia coscienza. 

Perchè ero lì in quel momento, in quel luogo di sofferenza? Dove stavo andando e cosa stavo cercando? Ascensore, terzo piano (cammuffato da quinto sulla plafoniera), corridoio di sinistra, camera 6. Da qui iniziano i ricordi.

Beppe era partito venerdì mattina, valigetta carica di pensieri, dalla stazione di Reggio. Treno per Bologna, posto in piedi se arrivi per ultimo come spesso accadeva, perchè Beppe non aveva mai frequentato sorella puntualità. Come le volte che lo aspettavo in curva, fila 32 posto 44, ” tienimi un posto che arrivo” “ma dove sei, mancano 5 minuti all’inizio dell partita?” ” Sono appena entrato in autostrada a Modena Nord” chiudeva la sua telefonata, per arrivarmi alle spalle a 5 dalla fine del primo tempo col sorriso di sempre. Quel Venerdì mattina pensava alla sua piccola Eleonora, un pensiero che non finiva mai su quelle rotaie e che spesso lo accompagnava almeno fino alla Stazione Centrale di Bologna, la sua città da sempre, e oggi, che per amore aveva voluto abbandonarla, il destino gli aveva dipinto un’altra opportunità per ritornarci e Lui l’aveva colta. Ore 8.20, ultima fermata d’autobus, piazza dei Tribunali e poi la memoria incomincia ad offuscarsi. Pochi passi ancora, Beppe cade in ginocchio, come se stesse salendo il suo personale Golgota, e qualche secondo dopo il marciapiede gli fa da guanciale e la valigietta disperde i suoi pensieri sull’asfalto grigio della strada. Aiutatelo!!!! Beppe sta male!!!. Un vigile del fuoco in pensione, novello Simone di Cirene, è il primo a portargli soccorso, massaggio cardiaco e poi la chiamata al 118. Gli angeli alle volte usano il codice rosso per arrivare prima e salvare una vita, senza per questo scomodare il paradiso.

Ricordo gli attimi della telefonata che mi avvisava, la confusione interiore, e la collega che mi continuava a ripetere

“Ho chiamato anche Te perchè so che siete amici e perchè Lui mi parlava spesso di te e della Vostra passione per i colori Rossoblù”. Lui ed io due dei 1000cuori, per intima scelta e profonda vocazione, non poteva esserci situazione differente. La corsa in ospedale, l’abbraccio a Luciana e Michele, e…….il resto dei ricordi lo ha portato via un velo malcelato di preoccupazione. E qui finiscono i ricordi

 

 E se oggi entrando dal Pronto Soccorso, prendeste l’ ascensore, salendo al  terzo piano (cammuffato da quinto sulla plafoniera), e infilaste il corridoio di sinistra, arrivando alla camera 6, non lo trovereste più, perchè Beppe ieri sera, grazie a Dio, ha lasciato l’ospedale ed è tornato  a casa.

 

Bentornato a casa BeppeSavo.

 

Scritto sulle note di Last Train Home di Pat Metheny

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