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Bologna

Savoldi, il…primo Verdi della mia vita – 6 giu

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Collezione Lamberto e Luca Bertozzi

Aveva ragione Giambattista Vico, la storia è ciclica e si ripete. Prendi Simone Verdi: arrivato a Bologna alla chetichella, per due lenticchie e un tozzo di pane, se ne va a Napoli riempiendo le casse del club rossoblù. I più giovani tifosi, i bambini soprattutto, saranno affranti. C’è un’epoca in cui il calcio si vive come una favola. E i principi, i buoni, gli eroi, sono i nostri beniamini, i calciatori, quelli che eleggiamo a nostri simboli a nostre bandiere. Si dovrebbe dire loro la verità, ai bambini intendo. E la verità è che il calcio, 43 anni fa, cominciò a cambiare.
C’è un giorno preciso in cui  cambiò qui a Bologna la storia del nostro pallone. Il giorno preciso? Quando Giacomo Bulgarelli appese le scarpe al chiodo, il presidente Luciano Conti, bolognese eh, ebbe il permesso di smontare tutto. Di trasformare un  bel salotto con mobili di pregio in un tinello versione svedese.
Avevo 18 anni, nel 1975, quando arrivò la ferale notizia. Il Bologna ha ceduto Savoldi. Al Napoli, però.  
Beffando la Juve, quella Juve che aveva fatto una corte spietata al nostro centravanti bergamasco, tanto che esattamente un anno prima, un bel giorno di luglio, la Gazzetta dello sport era uscita con un titolo a nove colonne: Savoldi è della Juventus. E all’interno dell’articolo si diceva che il calciatore era a Riccione all’hotel Savioli in vacanza ed era stato raggiunto dalla notizia. E nell’albergo era cominciato a scorrere champagne a fiumi… Lessi l’articolo, potevo essere a Rimini, e rimasi di stucco! Comperai allora gli altri giornali: nessuno dava per fatto l’affare. la cosa mi rincuorò e scoprii allora che i giornali sportivi, più di quelli generalisti, a volte inventano notizie, la materia in fondo lo permette, per qualche copia venduta in più!
In quegli anni della mia adolescenza, quando il Bologna occupava gran parte del mio cuore, ed era ancora un grande Bologna, non c’era sera d’estate, a luglio, che non inforcassi la mia bici e volassi alla stazione, verso mezzanotte, col permesso di mamma, per comperare la prima edizione del giornale e scoprire se quel Presidente, che aveva cominciato bene – comperando Bellugi – e poi aveva da tempo in mente la rivoluzione – fosse riuscito nel suo intento distruttivo.
Quell’estate del ’75, il cielo sopra Bologna ci piombò addosso: via Savoldi, ma anche via Pecci, via Caporale, Bulgarelli aveva smesso, smantellata la squadra, persino “il Biondo” – cioè Roversi, fu costretto a fare i bagagli, verso Verona. Rimase solo Cresci. Arrivarono Vanello, Cereser, Rampanti, Bertuzzo, tornò Clerici… una squadra esperta, per lo più. E cominciò l’era delle faticose salvezze, non subito, ma quasi.
Savoldi rappresentò il colpo del mercato. Mai un giocatore, fino ad allora, era stato valutato così tanto: due miliardi di vecchie lire! Cifra record.
Addio sogni di gloria, addio a estati – le mie – in cui sotto i monti delle Dolomiti un gruppetto di amici di Bologna, più o meno della stessa età, giravano San Vigilio di Marebbe gridando slogan incomprensibili ai locali: Conti/ricorda/che Beppe/non si vende”. Invece Beppe andò via.
La rivoluzione Contiana, Copernico è un’altra cosa, era cominciata. Purtroppo, aggiungo io.
Il Bologna non fu più lo stesso. Un cielo perennemente grigio, con squarci di sole improvvisi e passeggeri, perché il Presidente – bolognese, eh – aveva capito bene che salvando la squadra all’ultima giornata, riempiva l’allora stadio Comunale in ogni ordine di posto. Facendo invece una squadra da sesto-ottavo posto, i “milordini” in primavera preferivano il mare…
Si permise pure una battuta, il presidente, per spiegare che non avrebbe comperato giocatori: basta comperare due tre arbitri a fine stagione e la squadra resta in A…
Ecco, cari bambini rossoblù, ancora pieni di sogni e di chimere: eccovi spiegato che la cessione di Simone Verdi non è la prima eccellente. E che noi ormai ci siamo abituati a veder partire i nostri eroi, rassegnandoci. Imparando che non bisogna attaccarsi troppo al singolo calciatore. Perché, almeno qui, il campione passa e poi va. Per fortuna resta solo una cosa: il Bologna.

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