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Intervista a Alberto Facchinetti (“Il romanzo di Julio Libonatti”, Edizioni inCONTROPIEDE”) – 29 mar

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Nella settimana che ha portato i nuovi oriundi – con le inevitabili polemiche – in Nazionale, ho pensato martedì nell’ultimo numero di “Tutto calcio che Cola” di raccontare la storia di questi “figli di ritorno” in maglia azzurra. Una storia lunga e intricata, piena di successi e alcuni fallimenti, di un amore a volte sincero e altre di facciata che però ci racconta una verità incontrovertibile: i “cugini d’Italia” hanno dato un contributo importante nella storia del calcio nostrano. Il primo di loro, uno dei più grandi, è stato un asso che negli anni ’20 infiammava gli stadi d’Italia e suscitava ammirazione particolarmente nei tifosi del Torino, la squadra nella quale giocava.
Il suo nome era Julio Libonatti, il suo nome forse non è noto a tutti ma è uno di quei nomi fondamentali nella storia del calcio: primo sudamericano ad essere ingaggiato da un club europeo, primo ‘oriundo’ di oltreoceano della Nazionale italiana, vero e proprio eroe di due mondi. Libonatti fu un campione assoluto della sua epoca, eppure oggi è un nome non molto conosciuto: per ovviare a questo lo scrittore e giornalista Alberto Facchinetti gli ha dedicato un’opera letteraria, unica biografia di questo importante campione, e io l’ho contattato per fare quattro chiacchiere di calcio. Anzi, di fútbol.

Alberto tifa Sampdoria, ma in realtà è un amante del calcio a 360 gradi, specialmente di quello sudamericano. Non a caso, insieme a due amici, è socio fondatore di “Edizioni inContropiede”, una casa editrice fresca e nuova che si pone come obbiettivo la pubblicazione di libri dedicati allo sport: calcio ma non solo calcio, dunque. Alberto stesso ha pubblicato qui ‘Il romanzo di Julio Libonatti’, primo oriundo della storia del calcio italiano e numero uno anche in molti altri frangenti. Del libro, e del campione che ne è protagonista, vi parlerò domenica prossima. Oggi invece vi presenterò chi ne ha scritto, della sua visione del calcio di oggi e dell’interessante progetto editoriale che ha lanciato – e il cui sito trovate QUI.

Alberto, ti ho “scoperto” cercando informazioni su Libonatti e ho pensato tu fossi un tifoso del Torino, invece scopro che tifi Sampdoria. E allora…come mai un libro su un eroe granata?

Beh, tifo Sampdoria ma è vero che amo il calcio a 360°. Il primo libro che ho scritto effettivamente aveva tinte blucerchiate (“Doriani d’Argentina”, NdR) ma più per un bisogno di scrivere di qualcosa di cui avevo conoscenza diretta. Ho proseguito il “filone sudamericano” con il mio secondo romanzo, “La battaglia di Santiago”, dove ho raccontato della sfortunata spedizione dell’Italia ai Mondiali di Cile del 1962 e specificatamente della contestata gara con i padroni di casa che dà il titolo al libro. Come sai quella Nazionale presentava ben quattro “oriundi”, quindi il discorso dei “cugini d’Italia” come li definisci tu mi ha sempre incuriosito.

E da qui Julio Libonatti.

Proprio così. Studiando la storia degli oriundi che hanno giocato in maglia azzurra ho scoperto che il primo di tutti fu proprio Libonatti, di cui avevo sentito comunque già parlare. Studiando la sua storia però si formava sempre di più dentro di me l’idea di raccontare questa sua vita così avventurosa, che lo vide essere il precursore in tantissime cose. Non solo il primo “oriundo” sudamericano a vestire la maglia dell’Italia, ma anche il primo calciatore ad aver attraversato l’oceano per essere ingaggiato da un club europeo. Altri italo-sudamericani avevano già giocato in Italia, un caso celebre lo avete avuto voi a Bologna con i quattro fratelli Badini: tuttavia si trattava in quel caso di intere famiglie tornate a vivere qui da noi, non di trasferimenti, di ingaggi, di professionismo insomma. Libonatti fu il primo.

Cito Wikipedia: “Oltre alle doti funamboliche, tipiche dei calciatori argentini, Libonatti ha un’intelligenza tattica che gli consente di offrire spettacolari palloni da rete (in futuro verranno chiamati assist) ai due interni.” Si può quindi definirlo un antesignano del “falso nueve” moderno?

No, non proprio. Libonatti aveva una straordinaria visione tattica che gli permetteva di servire i compagni meglio piazzati, certo, ma era primo di tutto un “vero nueve”, un realizzatore tremendamente efficace. Del resto i numeri lo dimostrano: appena ventenne decisivo nell’Argentina che vince il Sudamericano del 1921, oltre 150 reti con la maglia del Torino, lascia l’Italia dopo aver giocato anche in maglia azzurra, dove ha segnato 15 reti in 17 gare.

Un addio triste. Solo e povero, il biglietto per la nave pagato dagli amici.

“Libo” era un generoso. In vita sua prestò soldi ad amici veri e ad altri di facciata. Amava la bella vita, le camice di seta. Ma fu giocatore vero: del resto giocò fino in età avanzata, pur se un grave infortunio che lo tenne fermo quasi un anno condizionò il resto della sua carriera.

Tutto questo lo racconti nel tuo libro, “Il Romanzo di Julio Libonatti”. Dove però è spiegato che romanzo e realtà si mescolano. In che senso?

Ho fatto le mie ricerche qui e in Argentina tramite e-mail, parlando soprattutto con molti abitanti di Rosario, dov’era nato e dov’era tornato a vivere una volta chiusa la sua storia con il nostro Paese. La storia di Libonatti è reale, ma ho scelto di intrecciarla con un’altra storia, di fantasia, per raccontare il campione in un modo diverso. Una semplice scelta stilistica.

Cosa pensi a proposito delle polemiche relative alla scelta del CT Conte di convocare Vazquez e Eder?

Beh, è una scelta che ci può stare. Il calcio di oggi è questo, e del resto quella tra la Nazionale e gli “oriundi” è una storia lunga almeno ottant’anni. Posso capire che ci sia chi storce il naso parlando di giocatori che magari scelgono di indossare la maglia azzurra ma che dentro, intimamente, continuano a sentirsi argentini o brasiliani. Io non condanno la scelta di convocarli, ma allo stesso tempo posso capire chi vorrebbe giocatori completamente dediti alla causa. Naturalmente per me, appassionato dell’argomento, è interessante seguire queste storie. Gli “oriundi” hanno contribuito a farci vincere il primo, il secondo e l’ultimo Mondiale: pensa a Orsi e Guaita nel 1934 o a Camoranesi nel 2006. Vero però che ci sono state anche spedizioni sfortunate, come nel 1962 in Cile. Lì Altafini, Sivori, Sormani e Maschio non resero come si pensava e anzi, ci fu chi attribuì al loro “scarso spirito della patria” il fallimento. Esagerazioni, naturalmente, ma che dimostrano che sarà sempre un argomento delicato.

Ami il calcio nella sua interezza, però tifi Sampdoria. Contento di Mihaijlovic?

Ovviamente si. La Samp ha chiuso bene la scorsa stagione e sta facendo benissimo in questa. Sinisa è un grande, uno dei tecnici più carismatici che abbiamo in Italia. Non so quanto resterà, dicevano sarebbe andato all’Inter ma ora c’è il suo amico Mancini. Potrebbe andare al Milan, che ha senz’altro bisogno di uno come lui. Ma lui ha bisogno del Milan in questo momento?

Si dice anche che lo voglia il Bologna in caso di A.

La vedo difficile per voi. Credo che se Mihaijlovic andrà via sarà per tentare il salto in una squadra che lotta per lo Scudetto. Un obbiettivo che il Bologna potrà seguire in futuro ora che ci sono mezzi e uomini giusti, ma ci vorrà del tempo. Sicuramente però il ritorno in Serie A è un obbiettivo ampiamente alla vostra portata, e io avrei anche una soddisfazione – permettimi di dirlo – personale.

Perché?

Perché a Bologna da gennaio gioca Daniele Gastaldello. Grande capitano della Samp, ovviamente, ma anche persona squisita che viene dalle mie parti e che ho avuto modo di conoscere. Merita senz’altro di tornare in A, e credo sia venuto a Bologna non per caso.

Saluto Alberto Facchinetti con piacere, è stato bello parlare per più di mezz’ora di calcio: quello vero, quello che anche se cambia continuamente forma e modi rimane così meravigliosamente uguale allo sport romantico che i pionieri portarono alla ribalta, pieno di uomini e di campioni, di episodi e storie. Come quella di Julio Libonatti, il primo campione straniero del nostro campionato. Storie che “Edizioni inContropiede”, con coraggio e passione, cerca di raccontare a tutti noi. Io, per conto mio, domenica prossima cercherò di raccontarvi al meglio chi fu davvero Julio Libonatti, il primo “oriundo del Sudamerica” della Nazionale.

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