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Bologna

La nostra giornata tipo

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Dove eravamo rimasti?

Al mio sogno quasi quarantenne e alla trasferta di Coppa Italia in casa Inter.

Bene, il mio sogno non si realizzerà neppure quest’anno, ma a Milano siamo andati, eccome se siamo andati.

15 gennaio, sveglia alle sei e mezza come sempre.

E’ troppo bello svegliarsi per andare al lavoro il giorno di una partita serale del Bologna.

La testa è già sul campo da calcio, le ore passano lente ma piacevoli e tutto ha un sapore speciale.

Non si dice sempre che il momento tanto agognato non è mai emozionante come l’attesa delle ore che lo precedono?

Quel giorno è stato più bello del solito mettersi la sciarpa rossoblù intorno al collo prima di uscire di casa e sul lavoro mi ha fatto riempire di orgoglio sbandierare ai colleghi, già pronti a una serata al caldo sul divano davanti alla tv, il biglietto dello stadio.

L’ultima decisiva carica me l’hanno data gli sms degli amici di sempre, quelli che hanno vissuto una vita con me sui gradoni…messaggi semplici, con scritto: “dai allora!!!” oppure “oggi credici!!!”.

Sembriamo tutti matti in giornate come questa, ma la cosa bella è che fra noi tifosi, malati di BFC, basta una piccola frase o un’occhiata al volo per trasmettere sensazioni che altri non potrebbero mai capire.

Ed è questo che ci fa sentire bene insieme.

A un certo punto guardo l’orologio, sono le due e mezza…cavoli, il tempo non passa mai.

A che ora dobbiamo partire? Alle cinque, è vero.

Aspetta che chiamo i ragazzi per anticipare di un quarto d’ora, non si sa mai col traffico.

Alle cinque meno dieci si parte con due macchine e comincia il momento più bello di ogni trasferta, il viaggio d’andata, in cui sei ancora zero a zero con tutti e puoi sognare qualsiasi impresa, anche un 3-0 al Real Madrid.

Nessuna pausa in autogrill, arrivo a Milano alle sette e un quarto, mancano ancora quasi due ore e siamo già nell’acquitrino del parcheggio di San Siro.

Un panino, una birra e via, arrampichiamoci lungo l’interminabile salita della torre, verso il terzo anello.

I bolognesi continuano ad arrivare in quel settore buio, lontano dal campo e da ogni altra forma di vita.

Dei milanesi neanche l’ombra.

Meglio così, in casa stasera giochiamo noi.

Entrano in campo i ragazzi per il riscaldamento.

Dai, facciamoci sentire, devono capire che ci teniamo e che quella maledetta Coppa per noi è importantissima.

Gila, Alino, il Ruso, Daniele…ma allora ci sono tutti, ci credono davvero, altro che squadra di riserve e risparmio di energie per il campionato.

Grazie Pioli, questo volevamo, giocarcela alla morte, adesso vada come vada.

Il tifo è spettacolare, a memoria la seconda miglior prestazione da quando siamo tornati in A nel 2008, subito dopo la trasferta di Torino del 2009, quella del rigore di Marco a un soffio dal novantesimo.

In rapporto al numero, una delle migliori di sempre per continuità e intensità dei cori.

Ma non divaghiamo, c’è il Bologna che sta giocando benissimo e l’Inter che ci sta capendo poco.

Non faccio neppure in tempo a scrivere un sms a un amico a casa, per dirgli che dopo mezz’ora siamo sul pezzo e ce la giochiamo, che Guarin, proprio sotto di noi, pela la matta e infila nel sette un siluro imprendibile.

Ecco, siamo alle solite, anche perchè un attimo dopo Gila colpisce di testa come se calciasse di destro e non so come Handanovic ci arriva.

Insomma, bel primo tempo, ma il risultato, come spesso succede, ci condanna.

Durante il secondo tempo entrano Gabbiadini e Kone, i mille dell’anello sembrano dieci volte di più, noi continuiamo a giocare e il pareggio è sempre lì a un passo, lo possiamo quasi toccare….ma a un certo punto succede l’irreparabile, Palacio spara da lontano e chiude la partita, a meno di un quarto d’ora dalla fine.

La chiude nel 99,9% dei casi, ma il Bologna di San Siro è quello dei giorni migliori, quello che ci rende orgogliosi di essere suoi tifosi e di trovarci lì, a 50 metri d’altezza, con un freddo da lupi, a perdere la voce dopo una giornata di lavoro.

La punizione di Diamanti a dieci dalla fine rende un briciolo di giustizia alla partita, almeno possiamo giocare per il pareggio gli ultimi minuti.

E allora dai ragazzi, scateniamo l’inferno.

Quello che è successo dall’ottantesimo in poi è impossibile descriverlo.

Le maglie del Bologna non erano più bianche ma rossoblù, di un colore più intenso che mai, e quello non era più lo squallido terzo anello di uno stadio semivuoto, ma un meraviglioso angolo di follia, capace di sprigionare un tifo mai visto.

Io quei minuti non li dimenticherò mai, cascasse il mondo.

Palo, Gabbiadini che insacca, palle gol in serie, ma soprattutto la netta impressione di un dominio assoluto e di un Inter che, dopo l’illusione del due a zero di pochi minuti prima, ora pregava la Madonna di Medjugorje di andare ai supplementari.

Di quei maledetti tempi supplementari potrei solo dire che la squadra ha continuato a piacermi tantissimo, che gli ultimi cinque minuti mi avevano illuso e al colpo di testa di Gabbiadini avevo già gridato al gol, che avevamo in campo tutti i nostri rigoristi e mi stavo già immaginando la sequenza dei tiri dal dischetto, che il gol al minuto centoventi mi ha strappato il cuore, gettandomi per ore in una completa apatia, incapace anche solo di parlare.

Ma adesso non voglio ricordare il tre a due dell’Inter, quello va tristemente ad aggiungersi al dolore di cinque retrocessioni, al gol di Cornacchini, al rigore del Marsiglia, al 3-0 col Brescia, a mille momenti in cui ci siamo chiesti cosa avessimo fatto di male per essere maledetti da sempre.

Il motivo per cui scrivo solo adesso, a distanza di una settimana dalla partita, è che un’emozione irripetibile come quella provata al gol del due a due, con mille tifosi spiritati che si abbracciavano impazziti di gioia, non meritava di rimanere schiacciata dalla delusione del risultato finale e dall’insulsa inzuccata di un Ranocchia qualunque (che solo l’anno prima, con la sua classe immensa, lanciava a rete Marchino per il secondo gol del nostro tre a zero in quello stesso stadio).

Grazie ragazzi, ci avete provato, avete messo cuore e gambe per centoventi minuti e per una sera ci avete fatto davvero sognare.

Questo vi chiedevamo, di onorare la nostra amata maglia, niente di più.

Se avessimo preteso di più, non avremmo tifato Bologna, ma sai che noia…

Per quanto riguarda il mio sogno, confido nel 2014 e nei conti pari.

Quest’altr’anno saranno infatti passati 40 anni dall’ultima Coppa Italia e 50 anni dall’ultimo scudetto.

Dunque, sotto a chi tocca, il vecchio Bologna ci riprova.

E noi con lui, sempre….potrebbe essere altrimenti?

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