Seguici su

Bologna FC

Radiocasteldebole e My dire My – Crossover

Pubblicato

il


Quando due “serie” televisive distinte confluiscono in unica puntata dove recitano gli attori dell’una e dell’altra serie,  si ha il cosiddetto “crossover”. Ecco allora che oggi Radio Casteldebole e My dire My si uniscono per una puntata speciale e per un fine speciale: Forza Robert! Buona lettura


Di corsa. 4 Gennaio, ore 14, meridiano di Via dello Sport, adiacente piscina Carmen Russo, fianco a fianco Stadio Dall’Ara. Di corsa. Salire le scale, infilarsi in un bugigattolo, una specie di toboga, fin dentro alla pancia della Tribuna Gold, finendo nella sala stampa del Nostro Catino. Di corsa, fino ad incontrare i colleghi della carta stampata (loro sì ma solo  loro) che aspettavano Robert e con loro, infine, anche io. Avevo ancora negli occhi le istantanee di Andalo,  un ragazzo scolpito nella bontà,  fiore ancora non sbocciato totalmente ma già portatore sano di una malattia che era conosciuta come “sindrome del  goleador”,  morbo di cui già negli ultimi mesi gli erano stati diagnosticati i sintomi.  A Bologna  aveva assunto il ruolo di Vice Di Vaio, tunica scomodissima da indossare per quello che Marco aveva sempre rappresentato e rappresenta tuttora: da allora non era stato curato benissimo e la malattia correva il rischio di  trasformarsi in male incurabile.

La sala stampa assomigliava molto ad un bagno della  Gare Du Nord, che utilizzi solo nel momento di massima impellenza. Ovviamente di corsa.  Mi accorsi del suo arrivo solo all’ultimo momento,  la bontà l’aveva portata con sé e con un gigantesco sorrise mi strinse la mano, per poi accomodarsi sulla seggiola in attesa di  dare risposte alle curiosità degli “inchiostratori”, che con estrema delicatezza incominciarono a modellare le loro domande.  Avevo già visto quell’espressione sul suo viso,  senza filtro, come le Nazionali, una malinconia che raccontava un disagio, situazione distonica per un ragazzo di venticinque che dovrebbe avere l’intera vita davanti. E, soprattutto, gli occhi della Tigre.

Avevo contato, durante le sue risposte,  la parola “professionista” almeno 7 volte uscire dalle sue labbra: segnale di una certa difficoltà a rientrare negli ordini di scuderia (però mai parlare male del Tuo datore di lavoro), anche se era  evidente quel “non volere disturbare nessuno “(  la bontà, in fondo,  è un vizio che Ti rimane attaccata addosso negli anni), e  la sensazione che quel groppo alla gola non riuscisse andare ne giù ne su;  così come quei solo “1000” minuti di impiego nel campionato scorso era un monito a chi lo aveva, pur apprezzandolo,  reso socio della “panchina fan club”nelle ultime 18 giornate.  NO! Non sentiva la fiducia, lo si percepiva,  e per l’ottava volta la parola “professionista” era uscita a fatica, inciampando nei suoi denti.  Nei minuti finali, distraendoci dal problema principale, ci aveva raccontato un ricordo offuscato della terra di sua madre, la Polonia,  e del tentativo delle federazione polacca di  farlo giocare con la casacca bianco rossa agli ultimi europei , organizzati  con la vicina Ucraina, della scorsa estate: lui aveva la doppia cittadinanza ma il suo cuore era Italiano e voleva si riconquistare la Nazionale maggiore, ma quella di colore azzurro.

Solo la domanda su  questo benedetto infortunio che da due lunghi mesi e mezzo  lo aveva tenuto lontano dai campi di allenamento, lo aveva scosso dai suoi ricordi: ma solo ascoltandolo si percepiva nettamente come questo stato delle cose aveva  acuito la sofferenza di chi vive per il manto verde, mentre il distacco forzato da esso lo vive come una profonda ingiustizia, qualunque ne sia la causa. Ma un “professionista” da tutto per la causa, anche il proprio cuore e lui in fondo era ed è proprio così.

Poi si era alzato, con in tasca la bontà e un sorriso amaro stampato sul viso. “Cosa mi aspetto per il 2013? Egoisticamente spero di giocare il più possibile e spero di essere utile alla causa della squadra, con magari qualche goal”. E quasi di corsa era uscito lasciando pochi dubbi sul suo stato d’animo.  

Per questo Vi chiediamo, quando domani Vi collegherete col Ferraris, di cercarlo con gli occhi e quando lo vedrete entrare in campo, fategli arrivare il Vostro incoraggiamento: perché anche un “professionista”, soprattutto se ha 25 anni, ha bisogno di 1000cuori intorno per sostenerlo in uno dei momenti più bui della sua carriera. Perché Robert è uno di Noi.

Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *