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Bologna FC

The Day Before – L’importante è finire: un’agonia lunga cinque stagioni – 18 Mag

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Ed infine retrocessione fu: meritata, senza dubbio, ma non inaspettata.

La giusta conclusione di sei anni, calcisticamente parlando, da dimenticare: un lustro e passa vissuto in balia degli eventi, come una nave alla deriva tra le onde dell’oceano, in attesa del definitivo sprofondo negli abissi. Perché, ad essere onesti, mai, dal ritorno in serie A datato giugno 2008 all’odierno maggio 2014, a Bologna si è fatto calcio per davvero: in un senso più ampio, si potrebbe dire che è da quasi un decennio abbondante, per intenderci dal primo Gazzoni, che sotto le Due Torri si vive alla giornata senza uno straccio di progetto.

Cinque stagioni in fotocopia ( o quasi), tra squadre fatte alla rinfusa e presunti cambi societari mai realizzatasi: in principio furono i Menarini , nella stagione del ritorno, ad ottenere risultati, come fin troppo bene ricordiamo, tutt’altro che soddisfacenti. Una salvezza ottenuta più per meriti altrui che propri, una trattativa (quella col petroliere albanese Taci) saltata all’ultimo, ma soprattutto un rapporto mai nato con la città non solo per colpa di una chiara inettitudine di fondo, ma anche di amicizie sbagliate capaci di far perdere in fretta, presso i tifosi, un consenso mai effettivamente concretizzatosi.  Pochi soldi (anche se oggi l’acquisto di Osvaldo per 7 milioni pare roba da fantascienza), poche idee, pochezza di fondo: dopo due stagioni, padre e figlia lasciano il timone, favorendo l’ingresso in società dell’imprenditore sardo Sergio Porcedda. E’ l’estate 2010.

L’inizio del nuovo condottiero pare rassicurante: guidato dal saggio d.s. Longo, il calciomercato estivo sarà il più esaltante degli ultimi vent’anni, con un Bologna mai così attivo e frizzante in sede di mercato, capace di spendere e spandere per fare finalmente una squadra ambiziosa.

Ma sarà l’ennesimo bluff: il sogno-Porcedda si rivelerà nient’altro che una chimera, per colpa di un patron ambizioso ( e questo, dati i soggetti in sella al Bfc negli ultimi anni, bisogna comunque riconoscerglielo come merito), ma evidentemente ignorante in fatto di principi basilari dell’economia. Dopo neanche due mesi di gestione sarda, infatti, il Bologna rischia il tracollo finanziario: e siamo al dicembre 2010, con la squadra rossoblù salvata dal team di imprenditori messo insieme dall’ingegner Consorte con in testa il tanto citato, sui giornali di questi giorni, Massimo Zanetti, alias mister Segafredo.

Sembra l’inizio della rinascita, ma così non è: a gennaio, per colpa di diatribe interne mai ben chiarite, il re del caffè lascia, favorendo ad aprile (dopo un tentativo di rientro di Cazzola) l’incoronazione dell’ormai tristemente noto Albano Guaraldi da Cento. E’ l’inizio della fine.

Perché d’accordo, nella prima stagione targata mister Futura Costruzioni il Bologna fa 51 punti, ma la squadra, ad onor del vero, era stata assemblata precedentemente dalla coppia Setti-Bagni ( presto silurati) su basi preesistenti poste dal tanto vituperato tandem sardo-napoletano: in poche parole la presidenza, già messasi in luce per qualche episodio a dir poco dubbio, si appropria di meriti decisamente altrui.

Ed eccoci al definitivo punto di rottura, datato estate 2012: invece che rinforzare o quantomeno confermare la squadra dei 51, per alzare la famosa asticella, la dirigenza si avvia in quel percorso di autodistruzione capace di portare, due anni dopo, al baratro. In meno di ventiquattro mesi viene infatti venduta un’intera rosa (per quasi 50 e passa milioni) non solo non adeguatamente sostituita, ma  ricambiata in toto da calciatori decisamente più scarsi tecnicamente e con ingaggi stratosferici.

Nel 2012-2013 le prime avvisaglie di quello che sarà un terremoto prima o poi inevitabile: sette punti in meno rispetto all’anno precedente e squadra ancora più indebolita, stavolta in maniera irreversibile.

A febbraio scorso, dopo l’ennesima estate di indebolimento, il punto di non ritorno: cessione a mercato chiuso di Alessandro Diamanti e fine già pressoché scritta, ma  concretizzatasi solo lo scorso 11 maggio, con una giornata d’anticipo a conclusione di sei anni nel loro complesso da riporre nel dimenticatoio, per quello che sono stati ed hanno rappresentato.

La degna conclusione di un disastro epocale, lungo un decennio e passa, dal quale la città dovrà assolutamente rialzarsi: “ L’importante è finire” cantava Mina. L’agonia è finalmente terminata e questo, considerate le premesse, pare già un successo.

Ma il futuro spaventa come non mai: che ne sarà del Bologna? 

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