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Umarells rossoblu – Bologna – L’Aquila – 17 Agosto

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A volte è dura. A volte fa male. Avete presente quando di notte avete sete e andate verso la cucina, benissimo. Nel tragitto c’è sempre una sedia in mezzo e voi puntuali come Equitalia ci sbattete contro, ovviamente con il mignolo.
Ecco, la retrocessione di Maggio per me è stata più o meno così. Fastidiosa, da morire di rabbia, ma un qualcosa di atteso, di quasi, come dire, oh si: chirurgicamente atteso e puntuale. Basta che io ripensi alle manovre societarie di questi anni.
Rabbia, bisogno di una birra, una sigaretta. Ovvero quasi tutto ciò che possa stemperare una flebile rabbia da tifoso.

Oggi è metà Agosto, si ricomincia. Questo penso mentre esco e inizia la mia passeggiata verso lo stadio.

Oggi è metà Agosto e il Bologna esordisce in Coppa Italia giocando contro L’Aquila, inizia così la nostra stagione.

Oggi è metà Agosto. In pochi di voi mi conoscono.

Mi chiamo Paolo, sono un tifoso come tanti, un po’ acido, quasi antipatico, abito in Viale Carlo Pepoli, vado allo stadio a piedi, mentre raggiungo il Dall’Ara fumo un paio di sigarette, a volte tre. Mi fermo in un paio di bar. Bevo caffè e una birra.
Arrivo davanti all’ingresso con l’emozione della prima volta, la porto sempre in tasca, come il mio abbonamento. Fatto col cuore, fatto di cuore, sempre nonostante tutto. Quest’anno ancor di più.
La partita la guardo da solo, ogni tanto saluto qualche ragazzo della curva.

Sono un lupo solitario dentro lo stadio. Brutto e cattivo.

Quando rientro a casa si vinca o si perda ho sempre un sorriso per mio nonno, Walther. Un sorriso per lui e da lui, un aneddoto, un consiglio, un modo per vederla meglio nel caso sia andata male, o un modo per condividere ed essere felice ancor di più, nel caso sia andata bene.

In un lampo, la mia vita da stadio, che ho deciso di condividere con voi. Poi, il vuoto. La gara, i novanta minuti più recupero che so raccontare, discutere e analizzare solo quando esco dallo stadio. Solo quando torno a casa.

I minuti volano, volano e scivolano via dalle mani, corrono sul rosso e il blu della mia sciarpa. Poi sarà il tempo di pensare a cosa questi minuti ci hanno dato.

La gara è finita.

Poi mi dicono che sono cattivo, penso mentre esco dallo stadio, supero alcuni umarells di gran carriera e raggiungo un ameno baretto per una lattina di birra.

Entro, pago, esco. Non sorrido.

Mi incammino verso casa, Via saragozza a passo lento, svogliato. Sembro Garics.

Apro la lattina e mi faccio male all’indice, mi esce mezza birra. Un disastro, sembro la difesa del Bologna.

Mi concentro, mi fermo: devo accendere una sigaretta. Non vorrei darmi fuoco, magari correrei il rischio di sembrare Morleo. Devo focalizzare e ricordare bene gli istanti che mi fanno essere così feroce ora.

A cosa stavo pensando? Ah, vero!

Sei retrocesso e già il tifoso medio ti rincorrerebbe con un nodoso randello. Come minimo ci si aspetta che chi rimanga della squadra che è precipitata ci metta l’anima, come minimo ci si aspetta dai nuovi fuoco e fiamme. Come minimo ti aspetti che un allenatore nuovo ci metta del suo.
Come minimo. Perfetto. Tutto in vacca. Neanche il tempo di acclimatarmi, di essere felice di essere tornato allo stadio, di respirare l’aria di casa che L’Aquila prende palla e colpisce un palo. Bene. La ragazza che mi sta vicino ha appena imparato un discereto campionario di improperi.
Mi scompongo, si non sono di certo educato. La mia voce roca, rauca, insomma ho una voce orrenda, scandisce i cori, ci credo. Urlo. Mi girano, ma ci credo.

Si ride, si urla, si suda anche se non è caldissimo. Accendo una sigaretta.

Mi guardo attorno. Compiaciuto. Un tizio a caso fra gli avversari, un’azione in puro stile difesa di guano. Gol. Perna. Bene, benissimo. Fenomenale. Solo noi possiamo.

Ecco, ho focalizzato tutti i miei incongrui atteggiamenti fino al gol dei nostri avversari.

Cammino piano, è iniziata oggi, ma sono già provato. Non sono un “maigoduto”, non sono di certo uno che vorrebbe solo vedere la propria squadra giocare sul velluto, con tocchi di prima eccetera. Mi basta un uno a zero brutto lercio. A volte basta poco. Neanche quel poco.
La mia birra è già calda. La nostra estate è stata piovosa, sulla città gocce infinite di pioggia e sulla nostra squadra, sui nostri colori, lacrime infinite. Non c’è pace, Dopo il tracollo del buon Gazzoni ad ogni estate abbiamo assistito al costituirsi e al dissolversi di improbabili cordate di fantaimprenditori.
Niente da fare. Capitani di ventura non ne abbiamo mai incontrati. Fino ad arrivare qui, a quest’ennesima partita scialba. Inutile. Che svilisce il cuore di Bologna che batte forte.

Sono stanco soprattutto di vedere la mia squadra regalare il primo tempo agli avversari. Il mondo non si sorregge solo sulla stanchezza, per fortuna. Ci sono momenti che sanno farsi apprezzare, anche quando la rabbia ti fa friggere il cervello.

Penso al gol del nostro pareggio, per terra vedo un gratta e vinci, mi viene in mente il mondo delle scommesse e rido, un sorriso amaro.

A Bologna si vedono molte scommesse, giocatori interessanti poco utilizzati. Quando sul giornale ho letto il nome di Giannone, lo ammetto, ho cercato su Wikipedia.

Ecco, questo ragazzo entra, incredibile: corre. Ho dovuto pulire gli occhiali, ero incredulo. Bene, poi fa anche gol. esulto, salto, pulisco ancora gli occhiali. Corre e fa gol? Controllo bene, ah, si gioca con noi.

Sono a metà strada, la mia birra è finita, butto la lattina. Respiro un’aria insolitamente fresca per una notte d’Agosto. Accendo una sigaretta per reprimere la rabbia nel pensare che abbiamo rischiato di non arrivarci neanche ai supplementari.

Poi decido di smettere di raccontarmi delle balle. Bisogna sempre crederci dicono alcuni amici. Oggi è ancor più dura di ieri. Perdi contro una squadra di Lega Pro, perdi male, perdi da cani.

Cammino e cammino sotto i portici di Via Saragozza. Cammino e la rabbia non se ne va mica. Qua dovremmo non cedere o comprare giocatori, qua dovremmo comprare “attributi” a quintali, da distribuire in simpatiche bustine ai giocatori all’ingresso del tunnel per il campo. Magari anche un bel vademecum per allenatori: far giocare gente che corre. Grazie.

Mi regaolo un sorriso.

E’ tardi ormai, rincaso. Una luce nello studio a piano terra è accesa. Nonno Walther è sveglio.

“Ciao Paolo, brutta partita.”.

Incasso, accetto.

“Sì, nonno, orribile. Ma come si fa? Ma come si fa? Almeno tu hai potuto vedere i trionfi!”.

Lui sorride, lui ricorda tutto, ricorda anche quando abbiamo sofferto, non solo i trionfi.

“Era il…non mi ricordo, ah sì, era il 1978. La Coppa Italia iniziava con alcuni gironi. Il Bologna era impegnato contro la Pistoiese, il Vicenza, la Lazio e il Bari. Tre scialbi pareggi e subito fuori. Che vergogna. Tuo padre era arrabbiato come te.”.

Sorrido.

“Come lo hai consolato?”.

Mi mostra un gelato confezionato.

Lo mangiamo insieme, entrambi con la nostra sciarpa, aggrappati ad una vecchia fede, io di ritorno dallo stadio e lui attaccato alla sua radiolina.

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