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Christmas Tale – Mi pento!

Mi Pento! – Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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Christmas Tale: Mi Pento!
Christmas Tale: Mi Pento!

Il cigolio dell’inginocchiatoio era devastante; sinistro, si prolungava all’interno della navata come a segnalare a tutti il sottile disagio che Ettore stava in quel momento provando. Non era avvezzo a soste prolungate in quella posizione e il poco conforto che ne riceveva era sottolineato da quel rumore che, riverberando, si liberava tra le volute in gesso bianco e aria. Ogni minimo movimento del penitente, ne era causa.

Nonostante tutta questa “scomodità”, dal confessionale e con uno spigolo d’occhio, Ettore era riuscito a mettere sotto mira una bella signora che, orante, sedeva in una panchina, nei suoi pressi; la donna attendeva il perdono dall’Alto, con un abito a righe. Alcune bianche, alcune nere. Ma con un’alternanza banale. Ettore strinse il morso, rigonfiando i piccoli muscoli delle mascelle e mentre stava per bofonchiare qualcosa, sentì sedersi qualcuno, di là della grata che lo separava dal confessore.

Ascoltò il movimento sussurrato e rituale del segno della croce e l’aprirsi del piccolo portello che ne occultava la grata: “Ah, sei tu?” disse poi una voce giovanile e stupita.

“Eh, sì” rispose Ettore. D’impeto e didascalico.

“Deve essere proprio Natale, allora!” continuò divertito il sacerdote.

“Fuori nevica e fa freddo!”, fu la secca risposta.

Ettore e don Carlo. Più semplicemente: Cerbottana (per la maestria con cui, a 15 anni, Ettore colpiva, con il telaio cavo di una penna, le terga della compagna di scuola che sedeva tre banchi avanti a lui in classe) e Sputo (per l’’accuratezza di Carlo nell’insalivare i proiettili di carta dell’amico Cerbottana).

Due amici, dunque. Profondi. Con lenti diverse nell’osservazione del mondo. Ma con la stessa identica propensione a volerlo salvare.

“Beh, il Signore non ha tempo per ciance. Di cosa ti penti?”

La voce del sacerdote assunse un tono quasi severo, ingrugnito ma meditabondo. “Potere del ruolo”, potrebbe osare un laico. Ma tant’è. E Cerbottana si adeguò con altrettanta rapidità.

Segno, comunque, di coesione di intenzioni.

“Non so se sono pentito” grattò con la voce Ettore “Però è come se fossi diventato, d’improvviso, cosciente” e la frase laminò, tra le feritoie circolari della grata, con una secchezza e lucidità che quasi impressionò Sputo.

Liberandosi di un profondo sospiro che era rimasto taciuto nel torace, Ettore proseguì:

“Questa volta ho esagerato. L’ho capito”.

 “Spiegati meglio. Per lo meno, spiega meglio a me. Chi ti sta ascoltando davvero, già sa di cosa parli” sentenziò col tono bonario di un amico.

“Allora lo spiego meglio a te… che in realtà dovresti saperne di più di quell’altro”. Cerbottana si puntò sulle ginocchia e si avvicinò ancor di più alla faccia in quel momento traforata di Sputo.

A fare da equilibrio, i gomiti ancorati agli stretti lati del confessionale: “Lo sai che cos’era ieri? Era il nostro anniversario. Mio e della Fede…”

“Mmh, ho sempre pensato che fosse la tua donna ideale: Cerbottana e Fede! E pensare che per te avrei immaginato più possibile il fidanzamento con una Speranza. O una Carità” rispose con sarcasmo peccaminoso, il sacerdote.

Ettore non rise. Preferì continuare come se nulla avesse potuto interrompere il suo monologo:

“Da dieci anni so qual è la data del nostro anniversario. E da dieci anni, andiamo a cena da mia suocera perché è anche il suo onomastico. E ringrazia che sono ospite tuo perché altrimenti accenderei le candele qui dietro con un’imprecazione, al pensiero del MIO anniversario e del SUO onomastico… Sono dieci anni che lo faccio. Ma anche quest’anno, se non c’inciampo su facebook, me lo scordo”

“E quest’anno su cosa eri concentrato, invece? Ettore, mi devo preoccupare?”

“Ma no, no. O, almeno, “forse” no”

“Ti vedi con qualcuna?” chiese duro don Carlo.

“Sì, una tedesca”, sbuffò a mezza voce Cerbottana.

“Che dici!?”

“È una battuta. Dovevo vedere Borussia-Augsburg”

“Borussia?”

“Dortmund”

“Bene. Vai avanti”. Era in qualche modo conciliante, Sputo.

“Ci avevo giocato sopra duecento euro…”

“Ti ricordi che siamo in chiesa e ti stai confessando, vero?”

“Sì, va bene. Giusto. La faccio breve. Insomma… abbiamo litigato”

“E alla fine ci siamo arrivati! Parlami di questa litigata. Non trascurare i dettagli”

“Questo lavoro ti sta facendo diventare un voyeur” disse caustico Cerbottana, ma senza alcuna malizia. E con tono più riverente, continuò: “Abbiamo litigato. Di brutto. Mi ha perfino detto che preferirebbe che avessi un’amante… Che la farebbe sentire meglio… E che preferirebbe cento volte essere in competizione con un’altra donna piuttosto che ritrovarsi in una gara dove ci sono dei baldanzosi giovanotti che giocano coi calzoncini anche quando è inverno… E poi è andata avanti, senza fermarsi. Sembrava che tutta quella roba che stava tirando fuori si fosse impolverata da qualche parte nella sua testa e d’improvviso eccola di nuovo qui, alla luce del sole. E ha incominciato a dirmi che quando si era tagliato i capelli Neymar io me ne ero accorto subito e che invece non avevo posto alcuna attenzione a quando lei era andata dalla nuova parrucchiera quella che sta in periferia ma che ci si arriva benissimo con la tangenziale e io le ho detto che con la tangenziale ci si arriva benissimo solamente quando è vuota e che in fin dei conti io sono fatto così che vivo solo per quel pallone che non ha mai sfamato nessuno se non quei giovani baldanzosi di cui aveva parlato prima e che butto i soldi in scommesse su partite talmente sconosciute che nemmeno gli stessi giocatori sanno che dovranno disputare e che se andiamo avanti così ma che coppia potremo mai essere e io le ho detto quello che già siamo da dieci anni e lei mi ha tirato un piatto che per poco mi colpisce ma fortunatamente sono uno abbastanza atletico perché ogni settimana si va a giocare a calcetto ma anche questo sembra che non le vada più bene perché dice che sto invecchiando e che se mi faccio male a quest’età recupero nel doppio del tempo e che invece non sarebbe il caso che incominciassimo a fare dei figli ad allargare la famiglia e io le ho chiesto se voleva continuare a portare la famiglia allargata all’onomastico di nonna che guarda caso è anche il giorno del nostro anniversario e che sì è vero non me lo ricordo mai ma Facebook mi serve per questo…”

“Fermati, per carità” lo interruppe con forza esasperata don Carlo. “Così non è una confessione! È uno sproloquio che nemmeno uno psicanalista alle prime armi potrebbe consentirti di proseguire! Ascolta, per nostra fortuna, il buon Pastore è più intelligente sia di me che faccio fatica a seguirti, sia di te che pensi di proporre questo insopportabile farfugliare di parole di fronte a Lui. E poi sei più ripetitivo di una litania! Dunque, facciamo come se fossi giunto alla fine del racconto. Non sei felice di aver litigato con Federica, vero?”

“No” il tono della voce di Cerbottana aveva preso il gonfiore mugghioso del borbottio dei bimbi.

“Perché sai che il litigio nasconde le pieghe dell’abito del diavolo. E che è solo l’Amore che è produttivo. E che è l’Amore quello che dobbiamo perseguire. Perché la terra sia fertile non dobbiamo seccarla con l’intemperanza. Perché la tua intemperanza rischia di scontrarsi con l’intemperanza di un tuo fratello. E chiunque utilizzi l’intemperanza per sentirsi parte del mondo non fa che aumentare il disordine. Dio non è quello che vuole. Dio si nutre di Amore. Tutti noi, suoi figli, dobbiamo nutrirci d’Amore”

Ettore non respirò nemmeno. Il suo sguardo era basso. Era tornato ad assestarsi in una posizione più comoda ma al contempo dimessa: “Ora che devo fare?”

“Sei pentito? Ti penti, agli occhi del Signore, del tuo atteggiamento?”

“Mi pento, Carlo. Mi pento!”

“Bene. Ego te absolvo a peccati tuis…”

“Amen”

“E ora alzati e lasciati abbracciare, scemo!”

I due si liberarono del confessionale all’unisono. Si abbracciarono e Sputo diede un piccolo schiaffo al mento di Cerbottana. “Stai con noi a Santo Stefano?” chiese poi quest’ultimo.

“Potrei mancare?” fu la retorica ghignante della risposta.

Quando Ettore uscì dalla chiesa, il portone diede un forte scossone sugli stipiti, facendone uscire un suono sbrindellato e ridondante. La donna, ancora orante e in abito a righe bianco e nere, trasse un sussulto dal suo rosario. Don Carlo le si avvicinò e con un’amichevole stretta delle dita sulla spalla della donna, la confortò: “Non aver paura, sorella. Questa è la Casa del Signore. E nulla può turbare la pace che qui vi regna. A tal proposito: prova ad entrare un’altra volta in questa chiesa vestita da juventina… che la prossima volta ti battezzo il figlio col nome di Robertobaggio! Scritto così, tutto attaccato. Chiaro? Continua a pregare ora, sorella. Continua a pregare”

La donna rimase spaventata. Il conforto fu solo per Sputo.

 

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