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Calcio

FLOP 11: I peggiori trasferimenti di sempre della Serie A – 12 lug

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Luglio, per ogni appassionato di calcio, significa calciomercato. Vero che ormai nel calcio frenetico del 2000 le trattative tra i club durano tutto l’anno, ma è a luglio che si aprono ufficialmente i battenti, è in questi giorni che i tifosi cominciano a sognare e a disegnare le proprie squadre. Nel giorno dell’ufficialità legata all’ennesima ripartenza del talento perduto Freddy Adu (giocherà nei Tampa Bay Rowdies in America, la sua storia l’ho raccontata QUI) ho pensato di stilare una personale classifica dei peggiori affari di calciomercato mai conclusi in Serie A. Naturalmente è una classifica personale e scritta di getto, per cui sentitevi liberi di commentare e dire la vostra nella nostra Pagina Facebook.

 

#11 – Márcio Santos (Fiorentina)

A Firenze e dintorni tutti ricordano questo altrimenti anonimo difensore brasiliano per diversi motivi, il più eclatante dei quali è legato al presunto “bonus” sul contratto messo dall’allora proprietario del club viola, Vittorio Cecchi Gori, per convincerlo a trasferirsi in riva all’Arno: produttore cinematografico, Cecchi Gori avrebbe convinto l’attrice Sharon Stone (ai tempi icona sessuale per “Basic Instinct”) a uscire a cena con Márcio Santos se questi avesse segnato 9 reti in campionato. Purtroppo per lui il brasiliano, arrivato per oltre 5 miliardi dal Bordeaux e preferito a un certo Lilian Thuram, si fermò a quota 2, segnando inoltre 2 autogol ed essendo il cardine difensivo di una Fiorentina tanto anonima da finire decima, esattamente a metà classifica. Lento e impacciato, soprattutto distratto e dotato di un’autostima a dir poco eccessiva, incredibilmente Márcio Santos appena l’anno precedente aveva vinto da titolare (per via di numerosi infortuni occorsi ai compagni) i Mondiali con il Brasile, superando proprio l’Italia in finale ai rigori a USA ’94. Da un difensore campione del mondo ci si sarebbe aspettati decisamente di più, e fu così che dopo una sola stagione la Fiorentina lo sbolognò in Olanda, all’Ajax, dove deluse ulteriormente prima di tornare in patria. 

 

#10 – Darko Pančev (Inter)

Al di là di tutto quel che si può dire, l’Inter a vincere ci ha sempre seriamente provato, acquistando di volta in volta quelli che erano ritenuti i migliori calciatori del pianeta: i nerazzurri non hanno vinto poco, nella propria storia, ma è certo che la bacheca dei trofei sarebbe ben più splendente se qualcuno degli acquisti non si fosse improvvisamente involuto appena arrivato ad Appiano Gentile. Una cosa è certa, questo non è il caso di Darko Pančev, che fu invece semplicemente un abbaglio estivo, pur acquistato con tutti i migliori propositi. Certo che sulla carta l’idea di affiancare a Totò Schillaci eroe delle “notti magiche” appena due estati prima a questo macedone Scarpa d’Oro in carica (34 reti, secondo dietro Papin nel Pallone d’Oro e Campione d’Europa con la Stella Rossa di Belgrado) era buona, ma guardando a fondo le gare degli jugoslavi il dubbio che non fosse tutto oro quel che luccicava poteva venire: nella Stella Rossa infatti Pančev riceveva assist a profusione da due talenti cristallini come Robert Prosinečki e Dejan Savićević, e nel non esageratamente competitivo campionato jugoslavo aveva così tante occasioni da sbagliare molto eppure segnare con regolarità, cosa che senz’altro aiutava anche la sua autostima. Che crollò rapidamente quando a Milano si accorsero che questo centravanti (pagato ben 14 miliardi di lire) non era che un giocatore normale, forse persino mediocre: ci vollero tutti e quattro gli anni previsti dal contratto (a 2 miliardi a stagione) per liberarsene, e poco dopo arrivò il ritiro. Anni dopo Pančev fu usato come termine di paragone proprio dall’ex-compagno Savićević, che per descrivere Ronaldo disse: “A lui bastano due occasioni per fare almeno un gol, a Darko ne servivano una decina”. Affermazione a cui Darko, probabilmente, ha risposto facendo spallucce: del resto fu lui a dire “tifosi fischiano, giornalisti criticano. Io? Io compro Ferrari”.

 

# 09 – Gustavo Javier Bartelt (Roma)

Sembrava Caniggia. Non lo era. Si potrebbe definire così, a voler essere lapidari, la carriera di Gustavo Javier Bartelt, uno dei più grossi flop di mercato di sempre della Roma in un periodo tra l’altro dove i giallorossi faticavano ad indovinarne una appena gettavano un occhio fuori dai confini nazionali: nel 1998 arriva per 15 miliardi di lire (utile ricordare che lo stipendio medio di un operaio superava di poco il milione) questo centravanti argentino che si è messo in mostra nel Lanùs, dove ha giocato una buona stagione segnando 13 reti in 18 gare. Una media più che buona, ci mancherebbe, ma stilata in un periodo davvero troppo ristretto. E se fosse solo un exploit? La Roma non ci sta troppo a pensare e lo acquista, scoprendo poi che si, era solo un exploit. Bartelt non è né carne né pesce, come centravanti è leggero e come seconda punta manca di tecnica e visione di gioco. Gioca bene solo 5 minuti, contro la Fiorentina, quando Zeman lo inserisce per disperazione e lui giganteggia servendo i due assist (a Aleničev e Totti) che permettono ai giallorossi di ribaltare il risultato da 1-0 a 1-2. Gli arrivi la stagione successiva di Capello in panchina e di Montella in attacco significano che il tempo per lui è già scaduto: la Roma è lungimirante, visto che nelle successive 8 stagioni Bartelt giocherà poco e segnerà pochissimo, la miseria di 2 reti. Profetico era stato proprio Zeman, che così aveva commentato l’entusiasmo dei tifosi ai primi gol (in amichevole) dell’argentino: “Bartelt un fenomeno? Non giudicatelo perche’ ha preso a segnare. È bravo, ha numeri, ma aspettiamo gare vere e avversari veri.” Appunto.


#08 – Gianni Comandini (Milan)

Sfondare, nel mondo del calcio, non è solo una questione di talento. Conta anche il carattere, la costanza, più di tutto conta l’amore per la disciplina. Gianni Comandini era uno a cui piaceva giocare e a cui piaceva segnare, e di talento ne aveva in quantità: il Vicenza lo acquista giovanissimo, lo lascia a Cesena e lui segna 14 reti a vent’anni, per poi la stagione successiva vestire il bianco-rosso e mettere la palla in fondo al sacco per 20 volte. È promozione per i veneti, è consacrazione per questo talento che passa al Milan per circa 30 miliardi di lire proprio a ridosso del 2000, l’anno in cui con l’Italia Under-21 Comandini si laurea Campione d’Europa. In rossonero, però, succede qualcosa: chi lo sa se Comandini, che ha carattere profondo e sensibile, non reagisce male alle prime inevitabili critiche che giocare in rossonero porta con se, chissà se sente la responsabilità di tutti quei miliardi spesi per lui. Segna 2 reti in un clamoroso derby della Madonnina vinto dal Milan per 6 a 0, sembra l’inizio di tutto e invece siamo già quasi ai titoli di coda: dopo aver tentato un rilancio in provincia (l’esperienza rossonera dura appena una stagione) Comandini cala sempre di più in resa e in motivazione, e a 28 anni si ritira precocemente, scoprendo il surf, i viaggi, la pace della vita di provincia, dove può finalmente essere se stesso. Al Milan resta il ricordo di un ragazzo che poteva essere fortissimo ma che forse non è stato capito e che certamente è stato acquistato con un po’ troppa fretta.


#07 – Ricardo Quaresma (Inter)

Chissà cos’ha, José Mourinho, con le ali talentuose e anarchiche. Al Chelsea ha voluto Salah per poi disfarsene e sostituirlo con Cuadrado, altro amore che sembra già passato di moda. Non sono una novità, queste passioni estive del tecnico dei “Blues”, anzi: già quando sedeva sulla panchina dell’Inter fu così con Ricardo Quaresma, sedotto e abbandonato nel giro di pochi mesi. A tutto ciò, allora, contribuì certamente anche il carattere tutt’altro che docile del giocatore, che a vent’anni nel Barcelona si era recato dalla dirigenza per chiedere la testa dell’allenatore Rijkard, reo di non capirlo tatticamente. Ne aveva ottenuto una cessione al Porto, la squadra di sempre per “El Ciganito”, ala di talento assoluto ma anarchica e appunto dal carattere tutt’altro che semplice. Mourinho gli vede fare magie e vincere titoli in serie con il Porto e decide che è l’uomo che fa per lui, la qualità che serve alla sua Inter per vincere. E in effetti Quaresma vince, in nerazzurro, due Scudetti e una Champions League, ma purtroppo lo fa da comparsa, dando un contributo risicato e intestardendosi con la sua famosa “Trivela”, una sorta di tiro/cross effettuato sempre con l’esterno del piede. Un numero magico, senza dubbio, ma che non giustifica un rendimento fumoso ed un comportamento da prima donna che gli ha impedito di arrivare a grandi livelli nonostante mezzi tecnici di primissimo ordine. Il suo ricordi in nerazzurro, dunque, è quello di un inutile orpello costato oltre 20 milioni di euro.


#06 – Nicola Ventola (Inter)

Altro italiano in classifica, perché gli abbagli di mercato arrivano anche dal mercato nostrano. Nel caso di Nicola Ventola, però, si deve parlare soprattutto di tanta sfortuna. Cresciuto nel Bari, esplode giovanissimo (esordio in A a 16 anni) grazie a mezzi tecnici e soprattutto fisici strepitosi: quando parte in velocità sembra inarrestabile, è potente e talmente rapido da essere chiamato “il figlio del vento”. Con il Bari vince il campionato di B, con la Nazionale i Giochi del Mediterraneo e l’Europeo Under-21 in coppia con Comandini. All’Inter, che lo acquista per quasi 40 miliardi di lire, vive un rapido momento di gloria insieme ad un nuovo partner, Kallon: i due, giovanissimi, si trovano titolari per via di tanti infortuni dei compagni di reparto e giocano bene, ma alla lunga non gli viene data fiducia e si perdono. Kallon finisce per tornare in Sierra Leone e fondare una squadra con il suo nome dove gioca e fa il presidente, Ventola invece viaggia a due velocità: si sposa con la bellissima modella Kartika Luyet, ma nel calcio non riesce a rilanciarsi passando dal Siena all’Atalanta dopo un breve e sfortunato intermezzo al Crystal Palace. In Inghilterra si fa male in modo grave, un infortunio che è solo il primo di una serie di guai che ne condizionano il resto della carriera e lo portano al ritiro. Le sue enormi potenzialità (e l’ascendenza indonesiana della moglie) lo portano ad essere considerato “il calciatore preferito” di Erick Tohir, nuovo proprietario dell’Inter. Nel suo caso si può senz’altro parlare di sfortuna e mancanza di fiducia come le cause di un così rapido declino per un giovane che costò 40 miliardi. 

(Domenica prossima la seconda parte)

Ringrazio Andrea Bonomo per i suggerimenti e il sito dell’amico Cristian Vitali, Calciobidoni, per alcune citazioni e informazioni.

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