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FLOP 11: I peggiori trasferimenti di sempre della Serie A (fine) – 19 lug

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Seconda parte dei peggiori trasferimenti di sempre del nostro campionato, classifica scritta d’istinto e senz’altro criticabile. Ho tenuto presente non solo la resa del giocatore, ma anche altri fattori come spesa sostenuta per averlo e aspettative dei tifosi. Oggi trattiamo le prime cinque posizioni, per leggere chi è entrato dal sesto all’undicesimo posto leggete l’altra parte della classifica, uscita una settimana fa, a QUESTO LINK


#05 – Ian RUSH (Juventus)

Anche la Juventus ha avuto i suoi bidoni. Il più eclatante di tutti, forse è stato Ian Rush, che nella stagione 1987/1988 arrivò tra squilli di tromba per scacciare via la paura che senza Platini, ritiratosi a sorpresa pochi mesi prima per numerosi malanni fisici, la squadra non sarebbe più stata vincente. In bianconero il centravanti gallese avrebbe dovuto emulare il suo connazionale John Charles, che alla fine degli anni ’50 aveva fatto sfracelli in Italia, ma purtroppo i dirigenti non tennero conto che si trattava allora di un altro tipo di calcio e che Rush – che in patria era un’istituzione e che arrivava da un’ultima stagione dove aveva messo a referto ben 40 gol – aveva bisogno di tempo per adattarsi ad un calcio molto più tattico di quello a cui era abituato. Il risultato fu che segnò un totale di 13 reti (la metà al povero Pescara) di cui soltanto 7 in campionato, dimostrandosi spesso abulico e fuori dal gioco e non riuscendo a integrarsi con l’Italia e con i compagni, non tentando neanche di imparare la lingua come se fosse consapevole che sarebbe stata un’avventura di breve durata. Lo fu, nonostante il fatto che fu comunque capocannoniere di una Juventus capace di qualificarsi per l’Europa all’ultimo tuffo indicasse che non era l’unico acquisto poco indovinato dai bianconeri. Tornato in Galles mestamente non ritrovò più la verve di un tempo, pur continuando a giocare fino ai quarant’anni. (foto: tuttocalciatori.net)

 

#04 – FÁBIO JÚNIOR Pereira (Roma)

Verso la fine degli anni ’90 la Roma riuscì a distinguersi per l’incredibile capacità di toppare in serie praticamente qualsiasi acquisto arrivasse dal mercato estero: in un’epoca in cui i campionati stranieri non avrebbero dovuto avere ormai più segreti, i giallorossi riuscirono a importare nel nostro campionato giocatori improponibili. Particolarmente interessante fu la tripletta ’96-’98: nel 1996 arrivava nella capitale la punta svedese Martin Dahlin, bomber implacabile in Germania e con la Nazionale e che alla Roma avrebbe giocato appena 3 gare in sei mesi prima di andarsene. L’anno successivo toccava al difensore centrale spagnolo César Gómez, preso per sbaglio dal Tenerife (Zeman non ricordava il nome e aveva chiesto “quello che finisce con la Z” confondendolo con il compagno Paz) e che si diceva fosse stato l’unico a fermare Ronaldo: in quattro stagioni il buon Gómez giocò tre gare prendendo sempre lo stipendio pieno e aprendo successivamente una concessionaria. Nel 1998 infine la tragedia Bartèlt, di cui vi ho parlato nello scorso numero. Logico che nel 1999 bisognava invertire la tendenza: l’Inter aveva acquistato Ronaldo, il Milan aveva virato su Shevcenko, a cui la Roma però aveva preferito (nonostante la preferenza di Zeman per l’ucraino) un certo Fábio Júnior. Arrivava dal Cruzeiro, in patria era considerato già il “nuovo Ronaldo”: costato 40 miliardi di lire, aveva intorno a se un hype pazzesco, tanto che un quotidiano sportivo se ne uscì con una videocassetta che lo celebrava, mostrando in pratica sempre le stesse azioni, e che è ancora possibile guardare su YouTube a QUESTO LINK. Peccato che alla prova dei fatti “l’Uragano Azzurro”, come veniva chiamato, si rivelò un misero venticello, tradito soprattutto da una tecnica a dir poco approssimativa e da una visione di gioco che portò il suo allenatore a dire che “non sa fare quasi niente e non ha la minima voglia di imparare”. Così finì la storia tra Fábio Júnior e la Roma, con il centravanti che ha continuato a cercare il gol scendendo sempre più di livello: dal 15 gennaio di quest’anno, a 38 anni, è un nuovo giocatore del Guaranì di Divinòpolis. (foto: calcioweb.eu)


#03 – Hristo STOIČKOV (Parma)

È un Parma che sogna e che fa sognare i suoi tifosi, quello che da poco prima della metà degli anni ’90 è gestito dalla Parmalat dei Tanzi: poi si scoprirà amaramente come quei sogni fossero alimentati, ma allora si parlava di una squadra venuta fuori dall’anonimato e decisa, provinciale terribile e bellissima, a contendere lo Scudetto ai grandi squadroni metropolitani. Vi furono in quegli anni stagioni più o meno fortunate, e nel 1995 tutti si pensava che si sarebbe giunti a una svolta: i ducali infatti affiancavano a un campione come Gianfranco Zola e un giovane di grandi prospettive come Filippo Inzaghi il Pallone d’Oro in carica, il bulgaro Hristo Stoičkov, prelevato dal Barcelona per 12 miliardi di lire dopo che in azul-grana il talentuoso trequartista era finito ai ferri corti con l’allenatore Cruijff. Un acquisto epocale, il miglior giocatore al mondo (capace di trascinare la Bulgaria al quarto posto al Mondiale sempre nel ’94) che veniva a giocare per i giallo-blù. Qualcuno tentò di far notare che effettivamente le caratteristiche tecniche di Stoičkov erano molto simili a quelle di Zola, e che ciò avrebbe potuto creare un pericoloso dualismo, ed ebbe poi ragione quando a campionato in corso il tecnico Scala cominciò a lasciare sempre più spesso l’asso bulgaro in panchina, relegandolo ad un ruolo di riserva di lusso che uno come lui non avrebbe mai potuto accettare. Era noto infatti come il talento enorme e cristallino di Stoičkov fosse inferiore soltanto al suo ego, fatto che lo aveva portato ad essere più un problema che una risorsa in ogni squadra che semplicemente non si era consegnata in tutto e per tutto a lui e al suo estro. Altero, frustrato, rabbioso, in campo si faceva notare più per il suo continuo gesticolare chiedendo il pallone ma poi combinò molto poco, intestardendosi in numeri malriusciti che finivano soltanto per innervosirlo ulteriormente. Stoičkov segnò soltanto 5 reti senza mai prendersi davvero la maglia da titolare e a fine stagione salutò l’Italia per sempre tornando al Barcelona, prima di finire la carriera in Giappone e Stati Uniti. (foto: blogdisport.it)


#02 – Marcos VAMPETA (Inter)

Un bidone? Qualcosa di più. “Marcos Andrè Batista Santos, in arte Vampeta (derivante dalla fusione delle parole “vampiro” e capeta, che significa “diavolo”), non è una semplice meteora, ma qualcosa di più. Possiamo considerarlo uno dei desaparecidos per eccellenza.” Così lo definisce Cristian Vitali nel suo sito Calciobidoni.it, e in effetti è davvero difficile dargli torto: arrivato all’Inter in pompa magna per la bella cifra di 30 miliardi di lire (l’amico Ronaldo, che ne aveva consigliato l’acquisto alla società, era stato pagato 48 due stagioni prima, ma era già considerato il miglior giocatore al mondo) fu descritto come il prototipo del calciatore del 2000: sagace tatticamente, dotato tecnicamente, potente fisicamente e versatile, capace di giocare in ogni ruolo del centrocampo. “Un Tardelli moderno” lo aveva definito Giancarlo Antognoni, che lo aveva seguito per la Fiorentina. Esagerato? “Un po’ Rivelino e un po’ Dunga” aveva rincarato Vanderlei Luxemburgo, all’epca CT del Brasile. Insomma, i presupposti affinché l’Inter avesse fatto il colpo decisivo, quello della svolta e che avrebbe portato il tanto desiderato Scudetto, c’erano tutti. Peccato che poi a parlare sia il campo: da settembre a gennaio Vampeta gioca soltanto una gara in campionato, apparendo spesso in Coppa Italia e in Europa e mai lasciando il segno. Anzi, si fa notare per una lentezza esasperante, che lo porta a gestire il pallone come neanche vent’anni prima, e ovviamente la voglia di strafare e di non tentare mai la soluzione più semplice non aiuta: Lippi, che non lo vedeva, viene sostituito in panchina proprio da quel Tardelli a cui era stato incautamente paragonato, che lo emargina per disperazione. A gennaio, orgogliosamente, Vampeta dichiara che se non deve giocare allora è inutile che resti in nerazzurro: viene subito accontentato, scambiato in prestito con il Paris Saint-Germain, che non è lo squadrone di adesso e che in cambio manda alla Pinetina un certo Stéphane Dalmat, non certo un campione da trenta miliardi. Nemmeno il successivo ritorno in Brasile riaccende un talento durato lo spazio di un estate e su cui molti giurano ma di cui non molti ricordano. Ed è così che Vampeta entra nella storia come il peggior acquisto di sempre dell’Inter. (foto: calciomercato.it)


#01 – Gaizka MENDIETA (Lazio)

“È stato deciso nel vertice di giovedì a Formello. Il sogno di Cragnotti è Gaizka Mendieta, formidabile e completo centrocampista del Valencia. Costa 120 miliardi, li vale tutti. Con Mendieta, Fiore (già acquistato, come Giannichedda) e Nedved, Zoff potrebbe puntare a vincere la Champions League, il prossimo anno.” Così “La Repubblica” nel marzo del 2001 accosta per la prima volta il nome di Gaizka Mendieta alla Lazio e al calcio italiano. E pazienza se quando poi in estate il basco arriva in bianco-celeste venga proprio a sostituire quel Nedved che avrebbe dovuto essere il suo dirimpettaio a centrocampo e che invece è stato ceduto alla Juventus per 70 miliardi di lire. Lui, che di miliardi ne è costato 90, è quel che serve per calmare una piazza inviperita con il presidente Cragnotti. Il crac della Cirio, come quello della Parmalat, è ancora lontano, e i tifosi dell’Aquila sognano di riconquistare lo Scudetto vinto appena due anni prima. Per farlo si affidano a questo centrocampista che si è distinto nel Valencia per completezza, tenacia e fiuto del gol: ha segnato ben 19 reti nella stagione precedente, mostrando un’incredibile capacità d’inserimento in area e un tiro mortifero. Invece a Roma nasce subito un equivoco tattico: dove piazzarlo? All’ala destra dove però sembra non avere velocità e qualità tecniche così eccellenti da permettergli di saltare l’uomo in scioltezza? O nel mezzo dove però lascia voragini quando si spinge in avanti e se non lo fa non sfrutta la sua miglior qualità? L’equivoco andrà avanti per tutta la stagione, un’annata deludente per la Lazio e i suoi tifosi: i bianco-celesti agguantano la qualificazione UEFA all’ultimo tuffo, con Mendieta ormai già dato per partente dopo 20 presenze impalpabili condite da uno “zero” alla voce relativa ai gol segnati. “Il suo arrivo ci da’ sicuramente piu’ forza e piu’ qualita’ e la squadra non potrà che trarne beneficio” aveva detto al suo arrivo l’allenatore Zoff, che però salta dopo appena cinque giornate sostituito da Zaccheroni. “Non sono venuto con l’idea di andar via tra due o tre anni. Restero’ a Roma almeno cinque anni.” E invece, nonostante questa dichiarazione d’amore, dopo soltanto 12 mesi la storia è finita: un anno di prestito al Barcelona (!) e poi Middlesbrough, cinque anni in Inghilterra abbastanza anonimi che però gli aprono la strada per quella che è la sua attuale occupazione, e cioè DJ per i vari locali del North Yorkshire. Una carriera che gli darà senz’altro più soddisfazioni di quelle ricevute alla Lazio, dove arrivò come miglior centrocampista al mondo o giù di lì e finì per andarsene con l’etichetta di “bidone da 90 miliardi”. (foto: icampionidellosport.com)


Come per il numero precedente desidero ringraziare gli amici Andrea Bonomo e Cristian Vitali. Il primo mi ha aiutato a stilare la classifica, mentre dal sito del secondo, calciobidoni.it, ho preso diverse citazioni.

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