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Monday Night – Luis Cesar Menotti, allenatore Mundial

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Deutschlandfunk Kultur

 

 

Ringraziamo Remo per questo secondo racconto su Cesar Menotti, quando inizia la sua carriera da allenatore. Buona lettura!

 

Menotti rimane due stagioni al Rosario Central come assistente di Juarez. Le sue grandi doti di organizzatore di gioco, le sue capacità di valorizzare i calciatori, specie i più giovani, e il suo innegabile carisma iniziano inevitabilmente a circolare nell’ambiente calcistico. E così nel 1972 arriva la proposta dell’Huracan che lo vuole come primo allenatore con l’obiettivo di far crescere i giovani di una promettente cantera e di riconquistare una posizione di prestigio nel calcio argentino.

L’impatto di Menotti è devastante; l’anno successivo l’Huracan conquista il campionato, primo e unico successo nell’era moderna del calcio argentino (1931-attuale). Ma quello che maggiormente colpisce l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori è il calcio implementato da Menotti e la qualità eccelsa dei suoi ragazzi. L’Huracan va in campo a “giocare a calcio”, a gestire la palla, ad attaccare e a divertire. Di quella squadra facevano parte giocatori che poi si sono rivelati fondamentali nella storia del calcio argentino e alcuni di loro sono addirittura entrati a far parte della rosa che conquistò il Mondiale 5 anni dopo.

Brindisi, Babington, Houseman, Basile, Carrascosa (si proprio lui, quello che diventò il capitano della Nazionale di Menotti salvo poi rinunciare e ritirarsi dalla nazionale stessa alla vigilia dei Mondiali del 1978) Avallay, Larrossa …

Di quel periodo resta in particolare una trionfo contro il Boca Juniors, per 5 a 0 che in molti definiscono “la più grande esibizione calcistica di un club argentino nella storia del calcio”.

L’anno successivo l’Argentina gioca, senza convincere, i mondiali di Germania. I risultati sono mediocri e il gioco espresso dalla biancoceleste è di basso livello. Occorre dare una sferzata netta ad una nazionale che da troppo tempo non raggiunge i livelli di gioco e di risultati che singolarmente i propri campioni sono, secondo molti,  invece in grado di raggiungere. Il nome prescelto dai vertici dell’AFA (la federazione argentina) è proprio quello di Cesar Menotti, a dispetto della sua giovanissima età (36 anni all’epoca)

Menotti inizia pazientemente un lavoro di “ritorno alle origini” del calcio argentino. Basta scimmiottare il calcio europeo, fatto di corsa, aggressività e incentrato sulla organizzazione difensiva. Palla a terra, tecnica e creatività sono i nuovi dettami, costruendo il gioco dalla difesa con difensori “Hijos de puta” come caratteristica del calcio argentino ma che oltre a picchiare e a intimidire sappiano ANCHE giocare a calcio. Iniziano ad entrare nel giro giocatori come Passarella, duro, “sporco” e cattivo ma con un sinistro meraviglioso, capace di impostare dalla difesa o di servire i compagni con i suoi proverbiali lanci di 40 metri. Galvan, stopper arcigno ma molto intelligente tatticamente il giovanissimo Tarantini, abilissimo terzino forse addirittura di più in fase propositiva che di copertura o addirittura Olguin, che nasce come difensore centrale e Menotti trasforma in educatissimo terzino destro. Il lavoro da fare è tanto ma il carisma di Menotti fa si che i giocatori “sposino” con entusiasmo i nuovi dettami. Ma ben presto arriva un problema grave, enorme e inatteso; in Argentina, il 24 marzo 1976, c’è un golpe dei militari che prendono il potere nel Paese. Gli oppositori del regime vengono eliminati in maniera scientifica, saranno 30.000 a “sparire” in quei terribili anni. Per Menotti il problema è doppio; non è solo dovuto all’instabilità della situazione e al fatto che i due suoi principali collaboratori in Federazione, quelli che lo avevano voluto in carica come allenatore, Niembro e Bacutto, si dimettono ma ce n’è uno ancora maggiore; Menotti è dichiaratamente comunista. (“Non sono ne Peronista, ne progressista, ne Kirchneriano ora … io sono COMUNISTA”) e sa per certo che il suo nome è presente nella famosa lista nera degli oppositori al nuovo regime. Menotti decide di dimettersi. Presenta le sue dimissioni al Presidente Cantilo. “Cesar” gli dice Cantilo “Il tuo programma di lavoro preparatorio ai Mondiali che ho in questa carpetta è la cosa più seria e professionale che io abbia mai visto in Federazione. Ti prego, prendiamoci un po’ di tempo. Dal canto mio di garantisco che tutto quello che tu chiedi sarà fatto fino al minimo dettaglio” Cantilo mantiene la parola. Menotti decide di rimanere, sa buona parte di quello che sta succedendo in Argentina “l’unica cosa di cui non ero al corrente al tempo erano i terribili voli della morte (oppositori fatti salire su aerei della dittatura e poi gettati vivi nel Mar della Plata). Ero iscritto al Partito Comunista, avevo amici importanti in politica e nelle varie associazioni che mi convinsero che il mio lavoro e la mia lotta era più importante da dentro che da esterno. E così decisi di rimanere”. Altro aspetto non irrilevante è costituito ovviamente dal fatto che per Videla e soci era praticamente impossibile mettere a tacere Menotti come oppositore del regime almeno fino a quando lo stesso ricopriva una carica che, per il popolo argentino così “malato” di calcio, era forse la più importante del Paese !

L’Argentina vince il Mondiale, in casa, il primo della sua storia. Menotti è un eroe Nazionale. Il suo contratto scade alla fine del 1978. C’è un pronto un contratto miliardario con il Barcellona. Maradona sarebbe stato il suo primo acquisto nelle file dei Catalani, fu espressamente Menotti a chiederlo. Ma ancora una volta l’amore per la sua Patria finisce per avere la meglio. Grondona, lo storico presidente della Federazione Argentina, lo convince a rimanere “cambieremo insieme la storia del calcio argentino, abbiamo trionfato in Argentina … possiamo farlo in Spagna fra 4 anni). Un notevole ritocco economico convincono definitivamente il Flaco a rimanere.

L’anno seguente arriva un’altra enorme soddisfazione professionale; l’Argentina vince il Mondiale Under-20 (vero e proprio mondiale giovanile) in Giappone. Nelle fila di quella squadra due autentici fenomeni che diventeranno giocatori fondamentali per la Nazionale maggiore; Diego Armando Maradona (che sfiorò la convocazione anche l’anno prima nel mondiale di casa a 18 anni nemmeno compiuti) e il centravanti Ramon Diaz, oltre ad altri talentuosissimi giovanotti come Escudero o Calderon. L’Argentina vince il torneo in maniera netta ed inequivocabile e a quel punto pare che il dominio dell’Argentina nel calcio mondiale possa protrarsi nel tempo, a cominciare dagli imminenti campionati mondiali spagnoli

Le cose non vanno come sperato; l’Argentina, che sulla carta è praticamente la stessa del 1978 più un certo Diego Maradona (e Ramon Diaz) non mantiene fede alle attese e nel famoso “girone della morte” con Italia e Brasile finisce per venire eliminato, perdendo entrambi gli incontri. In particolare quello con gli Azzurri lascerà una cicatrice indelebile in Menotti che ancora oggi parla di quell’incontro come la più brutta giornata della sua carriera e la più cocente delusione. Gli argomenti di Menotti sembrano frutto di rancori mai sopiti e di rabbie forse esagerate … di certo c’è che un Argentina che schierava in campo contemporaneamente giocatori del calibro di Maradona, Ramon Diaz, Kempes, Bertoni, Ardiles e Passarella pensava probabilmente di fare un sol boccone di una Nazionale azzurra incapace fino a quel momento di battere Camerun o Perù. “L’arbitro rumeno che diresse l’incontro era un noto tifoso juventino, i falli su Maradona in particolare furono clamorosi nella loro durezza e ripetitività e ci negarono due evidenti rigori e ci fischiarono contro altrettanti fuorigioco inesistenti” Nonostante la delusione di un mondiale comunque sottotono il Barcellona è ancora lì alla porta e finalmente Menotti diventa allenatore del grande Club catalano a stagione inoltrata, nel marzo 1983 in sostituzione di Udo Lattek. L’impatto è immediato e il Barcelona vince dopo pochi mesi sia la Coppa del Rey che la neonata Coppa della Liga, manifestazione giocata a fine stagione tra le 18 squadre della prima divisione spagnola. (vittoria in finale contro il Real Madrid di Santillana, Juanito e del Bosque).

Al Barcellona le aspettative per la stagione successiva sono enormi; Maradona è nella sua piena esplosione, Schuster si rivela un genio nel centrocampo blaugrana, Migueli e Alesanco sono due colonne difensive di prim’ordine, el Lobo Carrasco è una eccellente spalla per Diego … Purtroppo le cose non vanno come sperato, in gran parte per il gravissimo infortunio patito da Diego Maradona nel primo big match della stagione, quello contro i Baschi dell’Athletic Bilbao (che poi vinsero la Liga) per un intervento durissimo del difensore basco Andoni Goikoetxea che tolse a Menotti e al Barça Diego per oltre 3 mesi di campionato di fatto togliendo ogni possibilità di vittoria ai catalani.

Al termine della stagione arriva la separazione del Club. Menotti sta fermo oltre un anno ma nel 1986 arriva la chiamata dal Boca Juniors. I risultati sono buoni e in un periodo non particolarmente felice per gli “Xeneises” arriva un ottimo 4° posto a soli 3 punti dai vincitori … il “suo” Rosario Central. I buoni risultati fanno si che dall’Europa e ancora dalla Liga arrivi un’altra importante chiamata, quella dell’Atletico Madrid, desideroso di tornare ai vertici del calcio spagnolo.

Menotti va al Vicente Calderon e con lui arrivano eccellenti giocatori come l’ala sinistra Lopez Ufarte dalla Real Sociedad e il sopracitato difensore dell’Athletic Goikoetxea a dare ancora più qualità ad un team che vedeva già nelle proprie file il centravanti Salinas e soprattutto il fenomenale (e sfortunatissimo) Paolo Futre. L’avvio è eccellente; Menotti sperimenta un sistema di gioco che attualmente è assai in voga; difesa molto alta e pressione nella metacampo avversaria per recuperare il pallone più vicino possibile alla porta rivale. Il sistema “spacca” e per quasi tutto il girone di andata le squadre della Liga sembrano incapaci di trovare le giuste contromisure. Il primo segnale importante di difficoltà arriva in una trasferta al San Mames di Bilbao dove i “Leones” infliggono un pesante 5 a 1 ai Colchoneros. Ma subito dopo arriva un match che rimarrà nella memoria collettiva dei tifosi dei biancorossi madrileni; un portentoso 5 a 0 ai danni degli odiati concittadini del Real Madrid … e per di più al Bernabeu !

Il girone di ritorno non è però all’altezza. Il sistema di gioco mostra qualche lacuna e la forma di alcuni dei suoi giocatori più importanti inizia a scemare vistosamente. Buona parte della tifoseria e soprattutto della stampa locale accusano Menotti di incapacità nel curare la preparazione fisica dei propri giocatori, privilegiando quasi esclusivamente tecnica e tattica. La verità probabilmente sta nel mezzo; per uno come Menotti che in tempi non sospetti dichiarò in maniera rotonda “da quando in qua per giocare bene a calcio occorre correre ?” è ovvio che la preparazione fisica non è al primo posto nelle peculiarità di una squadra ma è altrettanto vero che il sistema di gioco implementato dall’Atletico in quella stagione prevedeva un consumo di energie fisiche superiore a quello a cui erano abituati i giocatori fino a quel momento.

Fatto sta che a fine stagione il vulcanico presidente dei Colchoneros Jesus Gil chiude il rapporto con Menotti. El Flaco torna in Argentina come Direttore tecnico del River Plate e da allora inizia un peregrinare continuo da una panchina all’altra, incluse un paio di stagioni alla guida della Nazionale messicana. Dopo un’altra stagione senza infamia e senza lode al Boca Juniors nel 1996 (dopo il classico anno sabbatico) dirige l’Independiente e i buoni risultati allertano altri team europei. Arriva così la chiamata dal campionato più importante del momento, quello italiano. A richiedere i suoi servigi sono i blucerchiati, la Sampdoria del Presidente Mantovani. L’Independiente è pronto ad offrire a Menotti un contratto principesco ed economicamente alla pari di quello offerto dai ricchi italiani. Ma El Flaco ha deciso. Vuole l’avventura italiana, pur sapendo che la Sampdoria sta per essere ridimensionata anche e soprattutto dalla cessione della sua bandiera: Roberto Mancini. Menotti regge solo 8 giornate. I risultati non sono affatto disastrosi ma a “spingere” alle sue spalle c’è il mito blucerchiato Vujadin Boskov che poi in realtà non farà niente di eccezionale portando la Samp ad un mediocre 9° posto. Tra l’altro quanto mai evocativa è la frase con cui Menotti decide di accettare l’offerta di Mantovani “La Sampdoria è una società serissima, che crede nei progetti e sa come costruirli … negli ultimi 10 anni la Samp ha avuto solo due allenatori … questa è una delle ragioni che mi ha spinto ad accettare questo incarico”. Il Biennale pattuito si trasformerà in 3 mesi scarsi.

L’Independiente lo riprende a braccia aperte e con i “rojos” rimarrà fino al 1999. Buoni risultati, a tratti un gioco ancora spettacolare e accattivante ma nessun trofeo.

Menotti rimane al “palo” quasi 3 stagioni prima di accettare la chiamata dal suo club: il Rosario Central. E’ il 2002. L’avvio, costante nella carriera del Flaco, è eccellente. 5 vittorie nelle prime 6 partite di campionato, alcune con clamorose goleade e tra queste l’indimenticabile trionfo nel derby con il Newell’s sul campo degli acerrimi rivali. Non accadeva da 22 anni ! Menotti ricorda ancora quella vittoria come uno dei momenti più intensi della sua vita. “C’era gente che si abbracciava piangendo, gente che in ginocchio che pregava, caroselli di auto … una “locura”. Dopo quella storica ed emozionante vittoria arrivano però 9 partite di fila senza vittorie. Le Canallas precipitano in zona retrocessione e Menotti viene destituito con una coda tremenda per l’allenatore argentino; l’accusa, mai provata, di aver sottratto fondi alle casse del club. Passano altri tre lunghi anni senza allenare quando si rifà vivo, per la terza volta nella carriera di Menotti, l’Independiente. Come accadde alla Samp Menotti dura il tempo di 8 partite (con 2 sole vittorie all’attivo). Menotti ha 70 anni, la passione per il calcio è ancora enorme, ma il suo calcio, talmente tecnico da essere ormai definito “romantico” ha perso potenziale. Rimangono due discrete stagioni in Messico, con il Puebla prima e il Tecos in seguito ma ormai il declino è inevitabile. A questo si aggiungono importanti problemi di salute. Il suo noto tabagismo lo porta in pericolo di vita qualche anno dopo quando fu ricoverato d’urgenza in ospedale per una grave infezione polmonare. Ora a 76 anni suonati, Menotti è ancora un uomo innamorato del calcio e della vita. Ha smesso di fumare, guarda ancora tanto calcio e segue i nipoti che i suoi due figli, Cesar Mario e Alejandro gli hanno dato. Parla molto volentieri di calcio, ammira Guardiola (“lo sogno come allenatore della Nazionale argentina”) ammira giovani e brillanti allenatori argentina come Gallardo (River) el “Vasquito” Arruabarena (Boca) Pellegrino (Estudiantes) e soprattutto Diego Cocca, neo-campione con il Racing. Non stima particolarmente Simeone (“non mi piace il calcio che esprimono le sue squadre, ma è un grandissimo lavoratore e le sue squadre hanno sempre un’impronta chiara. Anche se lui pare preferire quando l’altra squadra ha il pallone che quando ce l’ha la sua”). Oggi c’è solo un ombra negli occhi di questo ex-grande allenatore e ora nonno sereno e affettuoso dei suoi due nipotini; l’evidente disagio per un Mondiale che, vuoi per il tragico contesto di quei giorni, vuoi per lo strascico delle polemiche per la partita con il Perù (un 6-0 per molti assai sospetto), non ha nella memoria del popolo argentino il riconoscimento e la considerazione che invece meriterebbe. Menotti fece un lavoro eccelso in una situazione difficilissima da gestire e la squadra era comunque  di grandissima qualità, sviluppava un gioco piacevole e offensivo e i suoi interpreti sono stati in gran parte giocatori di livello mondiale che non avrebbero sfigurato in nessun’altra nazionale dell’epoca o successiva. Mario Kempes, Daniel Passarella, Osvaldo Ardiles, Ubaldo Fillol … ma l’Argentina pare ricordare con maggior enfasi e passione il trionfo di 8 anni dopo in Messico, quello di Maradona e delle sue incredibili e probabilmente irripetibili giocate … dimenticando le brutte partite disputate, il gioco difensivo e assai poco spettacolare voluto dall’allora tecnico Bilardo (da sempre in rapporti pessimi con lo stesso Menotti … difficile immaginare due tecnici con una concezione del calcio così agli antipodi) che costruì una squadra di “manovali” (esclusi forse solo Valdano e Burruchaga) a disposizione di un genio assoluto come Diego Armando Maradona.

L’ultima nota è forse la più clamorosa e inaspettata di tutte, almeno per un argentino: alla domanda se il più forte è Messi o Maradona,la risposta è inequivocabile “Maradona è stato grande per un lungo periodo e in squadre diverse. Messi gli è molto vicino e non importa se vincerà un mondiale o no … Di Stefano e Cruyff non hanno mai vinto un mondiale ma sono tra i più grandi della storia” Ma allora il più grande di tutti chi è ? “Pelè, senza alcun dubbio. Ho giocato con lui, lo vedevo tutti i giorni in allenamento e in partita. Pelè era un extraterrestre, era di un altro pianeta. Aveva tutto quello che serve per giocare a calcio. Ricordo il grande Rattin (capitano di lungo corso della Nazionale argentina negli anni ’60) che era altissimo. Facevano marcare a lui Pelè sui corners: Pelè saltava di testa e Rattin gli arrivava si e no all’altezza “de los huevos. Barbaro !” 

Questo, Signori, è Cesar “El Flaco” Menotti.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Alla domanda se si è mai pentito di non aver convocato Maradona per i mondiali (vinti) del 1978 El Flaco rispose “Io ero perdutamente innamorato di Diego ! Non sono pentito perché fortunatamente li abbiamo vinti ! Ma immagina se ci avessero eliminati al primo turno … Diego mi sarebbe stato riconoscente per tutta la vita !”

Sempre su Maradona. “E’vero che Diego non le ha mai perdonato di non averlo convocato ?” “Verissimo. Diego non perdona e non dimentica mai nulla. Una volta in una partita contro Panama con la Nazionale lo sostituì prima della fine perché lo stavano massacrando di botte … non mi parlò per quasi un mese !”

Prima della finale con l’Olanda ai mondiali del 1978. L’unico giocatore che Menotti davvero temeva nell’Olanda era il centravanti supplente Nanninga. Era altissimo e fortissimo di testa. Menotti decide di mandare uno dei suoi più stretti collaboratori, Saporiti, a seguire l’ultimo allenamento degli “Orange”. Al rientro Menotti gli chiede di Nanninga “Tranquillo Cesar. E’ infortunato, non sarà neppure in panchina”. A quel punto Menotti, che aveva preso in considerazione di portarsi in panchina il difensore Killer, alto e forte di testa, nell’eventualità di dover fronteggiare la torre Olandese, rinuncia all’idea e lascia Killer in tribuna. Solo che Nanninga nella finale è in panchina, entra e a pochi minuti dalla fine segna di testa il gol del pareggio. “Sapo, se perdiamo ti uccido” disse Menotti al suo imbarazzatissimo collaboratore.

Il suo primo incontro con Sergio “El Kun Aguero”, nell’Independiente. Aguero, che allora aveva solo 17 anni, ma che aveva già esordito in prima squadra più di un anno prima. E’ lo stesso Menotti a raccontare:”Come sempre faccio nel primo incontro con la squadra metto i giocatori in fila e poi ad uno ad uno mi presento.” “Cesar Luis Menotti” dico loro per poi stringergli la mano. Arrivo all’ultimo della fila, Aguero. Prima ancora che finisca di dire il mio nome allunga la mano e mi dà “un cinque”! “Io sono Aguero … el Kun Aguero” e si fa una bella risata. Che meraviglioso “hijo della reputa madre que lo pariò” !!! ricorda un ammirato e divertito Menotti !

“Le uniche due squadre che hanno veramente cambiato la storia del calcio negli ultimi 50 anni sono l’Ajax di Michels negli anni ’70 e il Barcellona di Guardiola”

La filosofia calcistica di Menotti ridotta all’osso “nel calcio ci sono 4 fasi ben distinte; difesa, recupero della palla, gestione della palla e definizione (conclusione) Due le puoi insegnare e migliorare con il lavoro (recupero e gestione) le altre due, quelle che si fanno nelle due aree difensiva e offensiva, dipendono quasi esclusivamente dalle capacità individuali dei giocatori”

Ad una cena con argomento il calcio chi vorresti a tavola con te ? “Cruyff, Michels, Cappa, Romario e a capotavola Adolfo Pedernera. Nessuno ha mai capito tanto di calcio come lui”.

Infine i giorni più belli e più brutti della sua carriera sportiva … “il più bello l’esordio come calciatore con il Rosario Central ! Si, più ancora del trionfo nel campionato del Mondo. Il più brutto la sconfitta contro l’Italia ai mondiali del 1982 … “fue un robo … nada menos” 

E infine la frase più emblematica, quella che è rimasta nella memoria di tutti i suoi giocatori di quel Mondiale “insanguinato” del 1978. Prima della finalissima con l’Olanda, guardando la tribuna con Videla e i militari del golpe, Menotti così si rivolse ai suoi giocatori “Andate in campo ragazzi e ricordatevi che dobbiamo vincere non per quei maiali in tribuna, ma il per il popolo argentino”.

Nei video allegati una partita (intensissima e spettacolare) che rappresenta una delle più grandi vittorie in chiave personale di Menotti; espugnare con il suo Independiente nientemeno che la Bombonera del Boca allenata in questa occasione dall’odiatissimo Carlos Bilardo, allenatore che guidò l’Argentina a conquistare il Mondiale del 1986 e la cui filosofia di gioco, basata su un calcio ruvido, molto attento in fase difensiva e decisamente pragmatico, era la più lontana possibile da quella del “Flaco” e poi una serie di brevissimi (e di grande impatto) video relativi al trionfo del 1978.

 

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