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Monica Zanetti: «La mia passione nasce dalla famiglia. Ho sempre voluto fare il meccanico»

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La storia di Monica Zanetti è sinonimo di forza, passione e difficoltà superate per riuscire a vivere il proprio sogno. La volontà di volerlo realizzare l’ha portata lontano, in una realtà d’élite per il motorsport e l’automotive. La sua carriera penso possa essere d’ispirazione a tante persone che vivono con la voglia di realizzare i propri desideri, alimentati dalla passione. 

Monica, partiamo dall’inizio, da dove nasce la tua passione per i motori e la meccanica?

«La mia passione nasce in famiglia e dalle persone che frequentavano casa mia. Parte tutto da quando ero piccolissima. Enzo Ferrari istituì una scuola, di nome IPSIA, per formare coloro che avessero voluto lavorare in Ferrari, così da avere delle conoscenze di base su meccanica e motori. A Maranello erano quasi tutti contadini e con questa possibilità chi voleva frequentare le lezioni poteva imparare per poi entrare in fabbrica. Mio zio lavorava in Ferrari, nella Formula 2 e quando poteva, dava ospitalità a ingegneri, piloti o meccanici che lavoravano lì con lui, ma venivano da molto lontano, quindi io, ero continuamente a contatto con loro, e sentì che mi nasceva qualcosa dentro: io volevo fare il meccanico alla Ferrari e diventare una di loro».

Come è arrivata la chiamata da parte dell’azienda di Maranello e come ti sei sentita nel realizzare quello che per te era un sogno?

«Come donna era difficile che io potessi entrare in Ferrari. Forse con un percorso di studi adeguato e un titolo sarei potuta arrivare a lavorare negli uffici. Ma io volevo sporcarmi le mani. Mi dissero che con la scuola specializzata sarei riuscita ad entrarci e quindi decisi di iscrivermi al corso per diventare meccanico. L’ufficio personale della Ferrari chiamava la scuola per sapere se c’era qualche ragazzo da poter assumere e invece in quell’occasione cercarono una donna, perché secondo loro per i lavori di cui avevano bisogno, una figura femminile poteva andare bene. Lo chiesero a me e io non ci pensai due volte nonostante avessi completato solo un anno di lezioni. L’iter burocratico per essere assunti era lungo, quindi ci misi dei mesi prima di essere assunta. Poi è arrivato il 1° febbraio del 1979, io avevo 15 anni ma ero già nel mio 16° anno di età e sono entrata ufficialmente a lavorare in Ferrari. Inizialmente dovevo entrare come meccanico, ma poi mi dissero che c’era un’emergenza in carrozzeria e quindi iniziai a lavorare in quel reparto».

In cosa consisteva il tuo ruolo?

«Erano 12-13 stazioni, con fasi di lavoro da un’ora e un quarto. Sembra facile detta così, ma in quel lasso di tempo di cose da fare ce n’era. Dovevi ricordarti tutti i passaggi a memoria e se sbagliavi dovevi smontare tutto e iniziare nuovamente. In quel caso potevano anche rovinarsi i componenti. Essendo tutto manuale, i primi tempi ho cercato di acquisire le capacità che mi servivano per lavorare al meglio. Per esempio noi ci occupavamo di fare i buchi per l’altoparlante sul pannello porta. Adesso le macchine sono prodotte con quasi tutti i pezzi assemblati, il montaggio è più rapido, semplice e perfetto, ma a quel tempo noi lavoravamo anche sui dettagli più piccoli, nei quali servivano le mani. Questo rendeva il tutto molto complicato. Non c’era mai una macchina uguale all’altra e poi dvi mettere in conto che il pezzo quando arriva nella tua postazione, magari può avere dei difetti minimi che tu puoi provare a correggere come no. Oppure se stavi male, andavi a lavorare, ma non riesci a rendere al meglio e questo può compromettere le lavorazioni da svolgere».

Monica Zanetti in produzione mentre lavora portiera di una Ferrari – credits to Monica Zanetti

Come sei stata accolta nel tuo ambiente di lavoro che, ancora oggi, è considerato un ruolo maschile per molti? C’erano colleghi scettici o hai trovato chi ti ha preso sotto la sua ala e ti ha aiutato a crescere?

«In realtà entrambe le cose. Quando sono entrata, devo dire, che c’era un po’ di dubbi intorno alla mia figura. Eppure io volevo sporcarmi le mani ed essere un meccanico come tutti gli altri. Ovvio che ho trovato degli ostacoli, ma la mia passione mi ha aiutato molto in questo senso. Cercavo di essere sempre disponibile e sorridente in modo da far capire che a me quel lavoro non pesava. Quando hanno capito il mio amore verso quel lavoro, allora dopo mi hanno anche aiutato nelle azioni più difficili del mio lavoro, oltre a coinvolgermi in tutte le altre attività. Avevo la possibilità di vedere le macchine girare oppure conoscere i piloti. Ho conosciuto molte persone anche in Formula 1, tanto che la mattina prima di entrare in produzione passavo da loro. Tra appassionati ci si capiva, poi c’era a chi non andavi a genio oppure solo a chi pensava alla carriera in azienda, ma tra noi che avevamo lo stesso puro amore per i motori andavamo molto d’accordo».

Enzo Ferrari. Tu che lo hai potuto conoscere, cosa ti ha lasciato come persona?

«Quando ci siamo incontrati, lui voleva sapere da dove si scaturiva la mia passione. Voleva capirla. Era un uomo che amava le persone, le quali avevano passione nel lavorare sulle sue vetture. Ti racconto una piccola curiosità: quando Ferrari passava dagli occhiali scuri a quelli chiari, era perché si fidava di chi aveva di fronte e lo fece anche con me. Io all’inizio non conoscevo questa dinamica, ma poi alcuni collaboratori vicini a lui me lo hanno confermato e questo per me è stato un onore, non melo aspettavo, perché significa che aveva compreso chi fossi e la mia passione per la sua azienda».

Invece il pilota che ti è rimasto più impresso?

«Gilles Villeneuve. Era un puro, una persona semplicissima. Arrivava alle piste con il suo caravan insieme alla moglie e i figli. Si faceva vedere sempre come era, non aveva filtri. Gilles andava sempre al massimo e non pensava mai di poter morire o che gli potesse succedere qualcosa, proprio perché viveva le corse con estrema gioia e genuinità».

Con la tecnologia di oggi, secondo te è più facile per una donna entrare in aziende di altissimo livello e ricoprire il ruolo di meccanico o ingegnere, oppure c’è ancora scetticismo intorno alla figura femminile nel motorsport?

«Io penso ci sia ancora scetticismo. Spero di sbagliarmi, ma questa è solo una mia sensazione. Secondo me fanno ancora fatica a far ricoprire quel ruolo ad una donna, perché gli costa lasciare che una ragazza si occupi del cambio gomme, metta le mani sulla vettura ai box, oppure esponga la tabella sul rettilineo. Purtroppo io penso anche che oggi sia più una moda quella di far entrare delle donne nel motorsport piuttosto che dargli una reale chance. Questo mi fa male e spero che non sia la verità, però ai miei occhi arriva questo. Secondo me le barriere si abbasseranno quando i team avranno il coraggio di mettere una donna sulla macchina di F1 a lavorare come fanno i meccanici adesso».

Cosa si potrebbe fare per aiutare il movimento femminile?

«Un mio sogno è quello di fare dei corsi da pilota per le donne, con degli insegnati illustri, come ex piloti. Una volta finito il corso a me piacerebbe rilasciare un attestato che faccia curriculum così che una ragazza si possa presentare in una grossa realtà e dimostrare di avere le carte in regola per poterci entrare. Non solo per la pista, ma anche per la strada come collaudatrice. Le donne valgono tanto. Se una ragazza è una pilota veloce, allora devi poter correre con gli uomini. Le macchine di oggi le possono tranquillamente guidare anche le ragazze. In passato persone come Lella Lombardi e Giovanna Amati hanno dimostrato di poter correre con vetture molto più complicate e fisicamente molto impegnative; oggi che le auto sono molto più semplici, fanno fatica a mettere una donna al volante. Sarebbe bello vederle correre in F1 con i piloti uomini, perché è con loro che dobbiamo guidare, non con le categorie solo per donne, anche se vanno benissimo che ci siano».

Monica, se dovessi ripercorrere la tua carriera al contrario, c’è qualcosa che cambieresti o rifaresti tutto uguale?

«Rifarei tutto, anche gli errori perché sono una forma di crescita. Io sono sempre riuscita a dire la mia e a volte per questo, ho messo in gioco la mia carriera. Per me è fondamentale essere sempre se stessi. La genuinità è fondamentale e questo mi ha portato a vivere il mio sogno. Ho fatto anche molti sacrifici per arrivare dove sono arrivata. Io spero che la mia storia possa essere d’ispirazione. Nel motorsport è giusto che una donna faccia ciò che più ama. Ci sono ancora troppi pregiudizi sulla figura femminile fuori dal proprio contesto, ma una donna può arrivare dove vuole se lo desidera veramente, spinta dalla passione».

Monica Zanetti al lavoro nella fabbrica Ferrari – credits to Monica Zanetti

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