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Il personaggio della settimana – Il sogno in rosso di Michele Alboreto

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Correva l’anno 1953. Alberto Ascari si aggiudicava per la seconda stagione consecutiva, a bordo di una Ferrari, il campionato mondiale piloti di Formula 1. Da quel momento, altri otto alfieri della scuderia di Maranello sono succeduti ad Ascari nell’albo d’oro. Nessuno di questi però veniva accompagnato sul podio dal tricolore: un pilota italiano non ha più conquistato da allora il titolo iridato, né sulla Rossa, né guidando qualsiasi altra vettura. Il ripetersi di un binomio vincente di questo tipo fu a lungo impossibile, proprio per l’assenza di nostri portacolori al volante della Ferrari. Dal 1967, a parte qualche sporadica eccezione, i piloti scelti da Enzo Ferrari furano rigorosamente stranieri. Quell’anno infatti fu segnato dalla tragedia costata la vita a Lorenzo Bandini durante il Gran Premio di Monaco. Il dolore provato per la perdita di un pilota così amato sia dagli addetti ai lavori che dalla gente, simile a quello che seguì alla scomparsa di Luigi Musso nove anni prima, fu enorme. Ciò indusse il Drake ad evitare di affidare le sue macchine a connazionali, con i quali era più difficile mantenere un distacco professionale, necessario a non percepire eventuali fatalità come insostenibili. Diversi, tra gli italiani che popolavano la griglia a cavallo degli ’80, andarono vicini all’approdo alla scuderia emiliana, ma il tabù non venne spezzato. Fino all’arrivo a Maranello di Michele Alboreto nel 1984. Un ragazzo talentuoso, gentile e amato dal pubblico. Mai una polemica o un lamento di troppo, ma sempre con la testa alla ricerca del modo in cui migliorarsi. Gian Carlo Minardi gli riconosce la sua abilità nello sviluppare l’auto che aveva a disposizione, dalla quale era sempre in grado di estrarre il massimo del potenziale. Seppe costruirsi da solo la propria fortuna partendo dal basso, e non fu lontano, alla sua seconda stagione vestito di rosso, dall’eguagliare Ascari. Il sogno più grande sfumò, ma non per colpa sua. Tanto che Enzo Ferrari confidò ai suoi collaboratori: “A Michele dobbiamo un mondiale”. La sua carriera non si limitò agli anni in Ferrari: le prime vittorie arrivarono in Tyrrell, ma si tolse diverse soddisfazioni anche nell’endurance, finché un maledetto incidente non se lo portò via. Prima di quel terribile giorno, era sempre accompagnato da Nadia, che conobbe quando ancora era un normalissimo ragazzo, senza neppure la patente, e che dal 1983 divenne sua moglie. Ma prima di diventare pilota, Michele Alboreto, classe ’56, aveva già capito che la sua passione erano le automobili e le corse: ciò lo spingeva ad assieparsi sulle reti a Monza, durante i Gran Premi, dove poteva ammirare il suo idolo, Ronnie Peterson, che omaggerà riportando sul casco i suoi colori.

 

Le formule minori e l’endurance

Le prime esperienze in competizioni a quattro ruote di Michele risalgono al 1976. A differenza di molti suoi colleghi, il debutto non avviene su i kart, ma su una piccola monoposto. Con i suoi risparmi e l’aiuto degli amici della scuderia Salvati riesce a pagarsi una Formula Monza, con la quale partecipa a delle gare sul tracciato junior della pista lombarda. In poco tempo si fa notare nel settore, e nel 1978 gli viene offerta la possibilità di passare alla Formula Italia, dove impressiona, ottenendo un quarto posto finale nel campionato. Il 1979 è l’anno del passaggio in Formula 3, categoria della quale campione europeo la stagione seguente, lasciandosi alle spalle un pilota del calibro di Thierry Boutsen. Contemporaneamente prende il via il suo impegno nel campionato del mondo Sport Prototipi, con la Lancia Corse che dal 1981 si doterà dell’inconfondibile livrea Martini Racing. Il suo impegno nell’endurance proseguirà per quattro stagioni, con diverse soddisfazioni, tra cui la vittoria nella 6 ore di Watkins Glen nel 1981 e altri tre successi l’anno successivo. Il suo impegno nelle auto a ruote scoperte non si interrompe: sempre nel 1981 è al volante di una Minardi nel campionato continentale di Formula 2, dove la scuderia faentina si trova a competere contro marchi molto affermati. Ciò non impedisce ad Alboreto di aggiudicarsi il primo posto nella gara di Misano, regalando a Minardi la vittoria più prestigiosa della sua storia.

 

La Tyrrell: trampolino di lancio

Lo stesso anno però aveva già compiuto il salto in Formula 1, andando a occupare un sedile alla Tyrrell. Disputa la prima gara a Imola: è in lotta per le prime dieci posizioni quando è costretto al ritiro per uno sfortunato contatto con Beppe Gabbiani. Pur non andando oltre un nono posto come miglior risultato, convince Ken Tyrrell a confermarlo anche per la stagione 1982. Il proprietario non si pentirà della scelta: sempre a Imola, nel giorno della doppietta Ferrari che porterà però alla rottura del rapporto tra Villeneuve e Pironi, sale per la prima volta sul podio. Nell’ultima gara del campionato a Las Vegas, Michele Alboreto coglie il primo successo della sua carriera. Nonostante l’interesse di altre scuderie, Tyrrell non vuole privarsi del giovane milanese. Nel 1983, in una stagione in cui la zona punti verrà raggiunta raramente, arriva a Detroit una grandissima prestazione e il secondo successo per Alboreto. L’italiano riuscì ad approfittarsi di alcuni ritiri e del fatto che sul circuito cittadino americano il motore aspirato che equipaggiava la scuderia inglese era meno penalizzato del solito nei confronti dei più prestazionali propulsori turbo. Diverse scuderie continuano a corteggiare Alboreto per la stagione 1984, tra cui la McLaren. Ciò che Ron Dennis, il quale ha insistenti contatti in estate col pilota milanese, non può sapere, è che già a maggio egli aveva siglato l’accordo per il passaggio in Ferrari, rimasto poi segreto fino a settembre. Piero Ferrari ricorda ciò che convinse suo padre a ingaggiare nuovamente un pilota italiano: «Alboreto si era presentato come un pilota professionale, capace, veloce. […] era un ragazzo serio, che non viveva di gossip. Si capiva che era un giovane molto promettente».

 

Il ritorno di un italiano in Ferrari

Bastano tre gare ad Alboreto per conquistare il suo primo successo in Ferrari. A Zolder il milanese parte dalla pole position e si aggiudica il primo posto in gara senza mai cedere la leadership. La vittoria per un italiano vestito di rosso non arrivava dal Gran Premio d’Italia del 1966, ottenuto da Ludovico Scarfiotti. L’affidabilità non fu sempre compagna della scuderia di Maranello nel 1984, ma le cose migliorano verso la fine della stagione, in cui arrivano altri tre podi. Le speranze per il 1985 sono molto forti. A inizio campionato, dopo il caotico Gran Premio di Imola, c’è un altro pilota italiano in testa al mondiale: Elio De Angelis, su Lotus, davanti proprio ad Alboreto. Ma nei successivi appuntamenti viene fuori la solidità delle prestazioni Ferrari, che unita all’impeccabile guida del pilota, lo porta in vetta alla classifica. Altre due vittorie, in Canada e in Germania, arricchiscono il palmares di Alboreto. Dopo l’appuntamento al Nürburgring sono cinque le lunghezze di vantaggio su Prost, al volante della McLaren. Improvvisamente però la Ferrari ha un crollo di prestazioni e il mondiale finisce nelle mani del francese. La ragione di questa svolta negativa risiede in un sospetto nutrito da Enzo Ferrari verso il fornitore delle turbine, la tedesca KKK, che lo porta a preferire le americane Garrett. Secondo il Drake, la KKK, che distribuiva i propri pezzi anche alla Porsche, costruttore all’epoca dei motori che spingevano le McLaren, avrebbe potuto iniziare a favorire la casa connazionale, svantaggiando la Ferrari. Purtroppo le Garrett si rivelano di qualità molto inferiore, e costringono Alboreto a diversi ritiri nelle ultime gare. Come già detto, questa sarà una delle rare volte in cui il vecchio Enzo ammetterà un proprio errore, costato un probabile titolo all’italiano. Un’occasione del genere non si è più presentata per Alboreto, che nel 1986 termina al nono posto in classifica, con un solo podio. La situazione si complica nel 1987, con l’arrivo di Gerhard Berger come compagno di squadra e di John Barnard come progettista. L’inglese non si dimostra aperto a idee diverse dalle sue, anche se i risultati della sua macchina furono al di sotto delle attese. Inoltre sembra da subito avere una maggiore confidenza con il pilota austriaco. Il team è ormai spaccato: Alboreto, dopo una serie sterminata di ritiri, esprime alla stampa la sua insoddisfazione, ma comunica che rimarrà in Ferrari anche nel 1988, nonostante la possibilità di accasarsi alla Williams. Pur non condividendo il modo di lavorare di Barnard, il legame con il commendator Ferrari è ancora molto forte. È convinto che Berger non disponga di una macchina migliore della sua e di dover trovare una soluzione per tornare ad eguagliare le prestazioni del compagno. L’anno successivo però non sarà molto più roseo. Al Gran Premio d’Italia ottiene il suo ultimo podio in rosso, giungendo secondo al traguardo proprio dietro a Berger, a neanche un mese dalla scomparsa di Enzo Ferrari. Con la scomparsa del Drake, viene meno forse l’unica motivazione che ancora aveva per rimanere in Ferrari, viste le prestazioni non soddisfacenti e i cambiamenti nell’ambiente. A fine stagione Alboreto abbandona Maranello. Dopo di lui, un solo italiano chiuderà una gara nei primi tre posti su una Ferrari: Nicola Larini nel Gran Premio di San Marino 1994, risultato passato in secondo piano in quanto quel weekend sarà funestato dagli incidenti mortali occorsi a Roland Ratzenberger e ad Ayrton Senna. A seguire: Alboreto coglie la sua prima vittoria in rosso a Zolder 1984, sulla stessa pista dove due anni prima aveva perso la vita Gilles Villeneuve al volante della Ferrari numero 27:

Gli ultimi anni in Formula 1 e il ritorno all’endurance

Nel 1989 Alboreto fa ritorno alla Tyrrell. In Messico ottiene il suo ultimo podio della carriera, ma la sua esperienza si interrompe a metà stagione: la scuderia non ha nemmeno i fondi per sviluppare la vettura, e per ragioni di sponsor gli viene preferito Jean Alesi. Conclude la stagione, senza raccogliere punti, alla Larrousse. Seguono tre stagioni molto difficili alla Arrows, anche se nel 1992 riesce a raggiungere la zona punti in tre gare consecutive, e a sfiorarla in molte altre occasioni. Nel 1993 passa alla Scuderia Italia, e nel 1994 chiude la sua carriera in Formula 1 tornando alla corte di Minardi. Contribuisce alla crescita della scuderia faentina, a cui regala un preziosissimo punto con un sesto posto a Monaco. Ma Alboreto non ha intenzione di smettere di guidare e torna nell’endurance. Si aggiudica nel 1997 la 24 ore di Le Mans, su una Porsche del team Joest Racing condividendo la macchina con Stefan Johansson, già suo compagno in Ferrari, e Tom Kristensen. Nel 1999 diventa pilota Audi, con la quale torna sul podio a Le Mans e alla 12 ore di Sebring, che si aggiudica nel 2001. E proprio in vista della famosa corsa francese, il 25 aprile 2001 effettua alcuni test con la sua Audi R8 al Lausitzring. Un incidente causato dall’afflosciamento di una gomma avvenuto a una velocità elevatissima non gli lascia scampo. I soccorritori, giunti prontamente sul posto, non possono fare nulla. Il motorsport italiano perde una figura che avrebbe potuto dare ancora tanto, sia in pista che fuori, grazie alla sua esperienza e ai suoi modi gentili. Dopo vent’anni, il vuoto lasciato da Alboreto si fa ancora sentire.

 

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