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Messina a Milano e gli orfani di Ettore

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Ettore Messina ha firmato con Milano. Un triennale che lo porta a sostituire in panchina Pianigiani (pochi giorni dopo la conferma della fiducia , da parte della società, al tecnico toscano) con l’aggiunta dell’incarico di responsabile dell’area tecnica che è come una sorta di assicurazione, per l’ormai ex vice di Popovich a San Antonio, sul fatto che potrà decidere in prima persona su tutto ciò che riguarderà la squadra. Comprensibile, viste le voci che girano da sempre sull’ambiente milanese e l’apparente inspiegabilità dei controversi risultati dell’ultimo decennio in casa Olimpia. Di per sé, la notizia è una bomba, nell’ambiente del basket europeo, in teoria il colpo dell’anno: il ritorno in Europa dell’ipotetico erede di Popovich si può leggere in mille modi, di certo però c’è che questa posizione da plenipotenziario assunta da Messina avvicina decisamente la situazione milanese al sistema sportivo NBA.  Una bella notizia, in ogni caso, per il basket europeo e italiano innanzi tutto. Messina nella personale bacheca europea conta quattro Euroleghe, cui si aggiungono quattro campionati italiani e otto titoli in Russia. Non brillano per risultati l’esperienza a Madrid e il temporaneo ritorno a Mosca alcuni anni fa, ma è indubbio che stiamo parlando del più prestigioso allenatore europeo vivente, quanto meno alla pari, potremmo dire, di Zeliko Obradovic, che ha vinto più di lui ma non ha all’attivo esperienza nel gotha NBA. La Milano di Armani evidentemente tenta il tutto per  tutto per accedere definitivamente a quell’empireo che nogni anno le sbatte la porta in faccia.

La notizia, inevitabilmente, ha suscitato particolare scalpore negli ambienti del tifo virtussino. Per un insano motivo i tifosi tendono ad appropriarsi dell’oggetto del loro affetto. Il condottiero del Grande Slam, dell’epico tiro da quattro è stato posto su un piedistallo e lo si vorrebbe cementato per sempre in quella posizione. A suo tempo si è sopportato il “tradimento” di andare a Treviso giacché in fondo era stata la società la prima ad averlo allontanato. Poi, il lungo esilio moscovita e l’avventura al Real potevano starci perché quello era diventato un altro mondo, per una Virtus alla ricerca di una nuova identità. Bene, infine, il viaggio in USA: là vivono gli eroi del basket, era l’equivalente di una consacrazione, e tutti più o meno a tifare San Antonio, complice la presenza di Ginobili.

Ora, il “tradimento”. Lo scontro sui social imperversa: “un colpo al cuore”, “mercenario”, “traditore”, addirittura un “piccolo uomo”. C’è perfino chi arriva a scrivere “Mai piaciuto. Ci ha fatto perdere due Euroleghe con le due squadre più forti di sempre. Se in NBA non lo vogliono come primo allenatore un motivo ci sarà”.

È bello il mondo dei tifosi. Non sono tutti così, naturalmente, ma per quale motivo un  professionista avrebbe dovuto rifiutare l’offerta che potrebbe consacrarne definitivamente la carriera? Tornare in Italia gli costa, sul piano ambientale, lo ha affermato diverse volte, ma qui ha l’occasione di raccogliere i resti di un Frankenstein e dargli finalmente vita. Immaginiamo che Armani gli abbia dato carta bianca, Ettore si carica così un fardello assolutamente affascinante quanto gravoso: dovesse riuscire nell’impresa di portare l’Olimpia alla vittoria in Eurolega sarebbe qualcosa di titanico. Il rischio che si prende è altrettanto enorme: dovesse fallire “alla Pianigiani” la sua immagine ne uscirebbe estremamente sminuita, ancorché ricoperta di dobloni. Chi gliel’ha fatto fare? Presumibilmente, l’entusiasmo di uno sportivo vero, che non ha saputo rinunciare a quella che potrebbe rivelarsi la più grande sfida della propria carriera, che potrebbe concludersi sull’Olimpo ma anche in un tonfo. Personalmente, applaudo l’uomo e lo sportivo, il nuovo temibile avversario per una Virtus che ci si augura di trovare in rampa di lancio e l’antico “amico” che ha condiviso con le Vunere alcune delle sue più prestigiose soddisfazioni. Solo alcune, però, perché Messina gode di una dimensione mondiale che va ben oltre l’Arcoveggio e il PalaDozza, non dimentichiamocelo.

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