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Virtus Femminile – Abbiamo perso tutti

La Virtus femminile, dopo mesi di silenzio, chiude i battenti dopo 5 anni in seguito alle parole di ieri dell’AD della società bianconera

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Virtus Segafredo Bologna
Cecilia Zandalasini, capitano della Virtus femminile 2023-2024 (©Virtus Segafredo Bologna)

Fai le valigie, cara Virtus. Piega le divise e chiudi i borsoni. Assicurati che non ci sia più nessuno in spogliatoio, fai un passaggio in palestra, spegni l’ultima luce rimasta accesa poi, tirando la porta dietro di te, chiudi col lucchetto l’ingresso. Poi avviati verso casa, verso i tuoi progetti, perché potrai dire di averci almeno provato. Alla fine è questo che conta, no? In fondo, in tanti dicono che la Virtus femminile altro non fosse che una “creatura”, un capriccio nato dalla volontà della società di inserirsi in un “ramo minore” della palla a spicchi, spesso un “fastidio”, per cui qualcuno potrebbe anche rallegrarsi del fatto che non esista più. Non vogliamo parlare di successi, non successi, Eurolega e finali scudetto. Non c’è nemmeno la volontà di rivangare le lunghe questioni che negli anni scorsi hanno coinvolto il Civ e la Matteiplast, perchè non sarebbero attuali. E di cose da dire, oggi, ce ne sono.

La fine della Virtus femminile

É bizzarra la maniera in cui, quando le cose vanno male nel mondo del basket, d’improvviso questioni che hanno sempre interessato poco e nulla si trasformino in casi epocali. Alla stessa maniera, quando le cose sono andate (o sono sembrate andare) bene, sul carro dei vincitori ci sono state sempre una manciata di persone. Ma d’altronde, stiamo parlando di mali minori: in fondo, “chi ci ha creduto mai nella Virtus femminile?”

Le cose in cui si deve credere sono quelle che portano soldi, il resto è e deve restare solo un sogno su cui fantasticare, sì, ma sul quale scommettere, mai. Chi biasimerà mai qualcuno che decide di tagliare definitivamente qualcosa che non porta alcuna rendita? Lo sport, oggi, funziona così. Non è mai stato saggio rischiare, a maggior ragione nello sport al femminile. Serve incoscienza, ma soprattutto passione.

É finita. La Virtus femminile non c’è più. Non che ci fossero tanti dubbi, dato che il silenzio ostinato che ha regnato sovrano negli ultimi mesi ha progressivamente messo in evidenza una serie di crepe che già da tempo si erano andate a creare sulla superficie virtussina. Ironia della sorte, la Segafredo e Ragusa sono i due club che hanno salutato per quest’anno la serie A1, ma anche le due squadre che si sono affrontate ai quarti di finale playoff, dando inizio (o accodandosi), con la sconfitta bianconera, al tracollo che ha poi portato alle decisioni di ieri. La domanda sorge spontanea: perché ostinarsi, a suo tempo, a voler far qualcosa in cui già a priori si sapeva che non avrebbe creato incassi?

Abbiamo perso tutti

Ci si dimentica un po’ troppo spesso che sotto alle divise si trovano delle persone. Anzi, dietro a delle professioniste, si trovano delle persone, non atlete usa e getta. Quando si parla del mondo del basket femminile ci si scorda quasi sempre dell’una e dell’altra cosa, ma è un problema che serpeggia in quasi tutti gli sport in rosa. Perché ogni anno fallisce almeno una società di serie A, perché pensare di investire in una squadra femminile deve essere visto come un salto in un buco nero, perché in Italia sì, altrove no, perché, perché, perché?

Alla fine, però, l’importante è averci provato, no? A soffrirne saranno in pochi, dato che Basket City, per la maggioranza, ha sempre vissuto la V femminile come una sorta di buffo esperimento, senza mai prenderlo troppo sul serio. A rimetterci saranno in tre: per primo lo sport femminile, che ha oramai fatto il callo a dinamiche come queste, abituato come è a restare nell’ombra e, nelle poche volte in cui riesce a emergere, a essere schernito come meno spettacolare e più noioso. In secondo luogo, il movimento cestistico femminile italiano, sempre più isolato rispetto a quello maschile, destinato a doversi ristrutturare ciclicamente alla ricerca di toppe per chiudere le falle. La Virtus, Ragusa, Lucca, Crema, Moncalieri…E in ultimo, a rimetterci, è Basket City, che ha avuto per le mani per anni un tesoretto e non ha mai saputo valorizzarlo. Senza coinvolgere le fedi cestistiche, senza schierarsi coi propri colori da un lato o da un altro. Ieri abbiamo perso tutti. La Virtus Segafredo? É sembrata quasi una liberazione, per come la situazione è stata posta davanti alle telecamere di TRC. E allora perché, perché?

Le parole di Baraldi

«Non parteciperemo alla serie A femminile, una parte di queste risorse verranno orientati sui settori giovanili, sia maschile che femminile. Daremo una struttura anche al settore giovanile femminile». Speriamo, cara Virtus. Che la tempesta di oggi porti la serenità domani. Di ferite come queste il basket femminile ne ha viste a bizzeffe (no, Virtus, non sei originale, c’è chi ti ha anticipata), per cui si cicatrizzerà, probabilmente in un silenzio (quasi) generale. Restando così sempre, inevitabilmente, bloccato al punto di partenza.

Investire nel basket femminile non porta resa. Anzi, è solo e soltanto una spesa. Progetti del genere non si fanno con l’intento di guadagnare, con l’idea che un domani possano trasformarsi in un capitale. Oggi funziona così. Progetti del genere si fanno con la passione, spesso smodata. Progetti del genere hanno bisogno di una spinta in più, di crederci (follemente) un po’ di più, di darsi una possibilità in più. Il basket femminile sta affondando già di suo, non ha bisogno di grandi vetrine che si trasformino in fuochi di paglia e che ne affossino ulteriormente l’immagine. Per scommettere su questo sport, che purtroppo vive di dinamiche profondamente diverse rispetto alla versione maschile, bisogna conoscere bene quello a cui si va incontro. 

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