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Da Milano a Bologna, la rinascita di Roberto

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“Con Baggio andiamo in serie B”. Renzo Ulivieri, il toscanaccio che non le mandava a dire, aveva colpito ancora. Gazzoni si era accordato per l’arrivo del codino in rossoblù, dopo due stagioni tra alti e bassi in rossonero. Uno scudetto, sì, ma mille sostituzioni e una squadra a fine ciclo dopo la scorpacciata di trionfi targati Sacchi e Capello. Milan e Bologna incrociavano i loro destini sul mercato, e si dipingeva una favola d’altri tempi, con il grande giocatore, il pallone d’oro 1993, il mammasantissima, che scendeva giù, dove si doveva lottare al massimo per un piazzamento in Europa. Signori e Baggio: ciò che Bologna era stata per l’ex laziale, una autentica clinica ricostituente, lo fu anche per Roberto: “Solo il primo periodo che ho passato a Firenze è paragonabile al piacere che ho provato nello stare a Bologna”.

Ma Ulivieri non voleva saperne di minare i delicati equilibri dello spogliatoio. La solita solfa: il grande campione ingombrante, quando dovrebbe essere visto come la più bella freccia all’arco di ogni allenatore. Una piazza ingorda di calcio e di basket, insomma di sport a tutto tondo, si stropicciava gli occhi. Baggio a Bologna? Sì, per cinque miliardi (provate a pensare a quanti ne varrebbe oggi) e Renzaccio nulla. Impassibile. Un rapporto tormentato e colmo di spine, almeno fin quando il Bologna non è talmente smarrito senza il suo campione che le cose cambiano: 22 reti in campionato, la qualificazione alla coppa Uefa centrata.

Prima c’erano stati i Bologna-Juventus e i Bologna-Milan. Quelli dove Roberto parlava tutta la settimana. Di cos’era ritornare da ex contro il suo passato, di quali erano le sue sensazioni alla vigilia. E puntualmente, al sabato, arrivava l’esclusione. Contro i rossoneri (finì 0-0 a San Siro) Baggio la manda giù. Quando al Dall’Ara invece arrivano i bianconeri (3-1 per loro) Roberto, saputo di una nuova esclusione, proprio non ci sta e lascia l’allenamento. In serata, al ristorante ‘Amadeus’, a Casteldebole, volano gli stracci. “Ti metto in campo quando gli altri sono stanchi, cerca di capire”, gli dice il tecnico. “No, io non devo capire nulla, è da inizio anno che mi prendi in giro”. Apriti cielo: il pubblico, come sempre è stato nella sua carriera, non ha dubbi su chi scegliere. Ulivieri è accerchiato e vuol dimettersi, anche lo spogliatoio è diviso. “Sono tornato a casa e mia madre mi ha guardato dicendomi: ‘ma che gli hai fatto a Baggio?’”.

Ma proprio quello spogliatoio fa da ago della bilancia, cercando di ricostruire i rapporti tra due fuochi che avevano scaldato troppo l’ambiente perché si sopissero. Ulivieri aveva preso il Bologna in C e lo aveva portato di nuovo in A dopo anni turbolenti e il rischio di sparizione dal mappamondo del calcio nazionale. Baggio… era Baggio. Era un codino tagliato, tante magliette vendute, una umiltà e una disponibilità fuori dal comune per uno così. E un’offerta rifiutata, quella che a gennaio ’98 gli fece l’Inter. Voleva crederci a Bologna, perché Bologna credeva in lui. Quarantamila tessere staccate in abbonamento (record di sempre da quelle parti) erano lì a testimoniarlo.

Il resto, come detto, lo sapete. All’Inter, Baggio, ci andò a giugno. Pronto per rilanciarsi dopo aver preso la rincorsa sul trampolino di Bologna. Una sola stagione. Un attimo, un lampo. Ma che importa quanto dura, se il sogno (realizzato) si chiama Roberto Baggio. Anche un solo minuto può essere abbastanza per restare impresso nel cuore e nella mente.

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