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Forcing – Radice: “Me ne andai da Bologna perché Fabbretti non mi accontentò”

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Il Cittadino MB


Magari, nel 1938, in pochi di noi c’erano quando Orson Welles riuscì a ingannare un paese intero, con il suo programma radiofonico “War of the worlds”, tratto dall’omonimo romanzo di Wells. Solo il giorno dopo il regista scoprì di aver mandato allo sbaraglio l’intero New Jersey.
Poco meno di quarant’anni dopo, viene proposta – in Italia – un’iniziativa simile a quella di Welles, con “Le interviste impossibili”, in cui uomini di cultura contemporanei reali fingono di trovarsi a intervistare fantasmi redivivi di persone appartenenti a un’altra epoca, impossibili da incontrare nella realtà. L’idea curata da Lidia Motta vive per due anni, dal 1973 al 1975.
Noi di 1000 Cuori Rossoblù, in occasione della sfida tra Bologna e Milan, seguiamo la scia fantàstica, proponendovi una chiacchierata impossibile con Gigi Radice.

Gigi, martedì ci sarà Bologna-Milan e – come spesso succederà – si affrontano due squadre in cui tu hai lasciato il segno.
“Sì, coi rossoneri, tra giovanili, prima squadra e panchina ho passato dieci stagioni e mezzo; sotto le Due Torri, invece, due stagioni a distanza di una decade”

Hai iniziato a giocare a calcio con la maglia della Speranza Cesano, finché qualcuno non si è segnato il tuo nome.
“Grazie a delle partite nelle selezioni provinciali sono stato chiamato dal Milan. Il problema, poi, è stato convincere mio padre, il quale non voleva che abbandonassi gli studi. Dopo aver preso il diploma da ragioniere, ho dato inizio alla mia carriera, a 18 anni”

Dieci anni tra gioie e dolori. Poi è arrivato il crack al ginocchio…
“I primi anni a Milano sono stati duri, siccome mi vedevano come un rincalzo. Dopo un paio di anni in giro tra Triestina e Padova, sono tornato e – grazie a Gipo Viani che mi ha trasformato in terzino di spinta – ho fatto parte del biennio d’oro rossonero, quello del ’61-’63. Il 3 marzo, poi, quello scontro con Cucchiaroni mise fine alla partita con la Samp e alla possibilità di alzare la Coppa Campioni a Wembley”

Un calvario lungo due anni, prima di salutare il calcio.
“A Bologna, il professor Gui dice che è rimasto un frammento di menisco, un corno, da togliere. Dopo aver giocato le ultime due gare di campionato nel ’65, dico a Walter Tobagi – che all’epoca lavorava per “MilanInter “ – che noi giocatori siamo merce variabile: per mantenere alta la mia quotazione devo giocare.
Allontano, allora, l’idea di avvicinarmi al campo dell’edilizia e riavvicinarmi a quello di gioco. Finché non mi tampona anche Trebbi…”

…facendoti iniziare il percorso da allenatore. Come hai iniziato?
“In modo singolare. Mio cognato mi dice che c’è un costruttore che vende appartamenti interessanti, e io mi affido a lui. Nel frattempo, costui diventa vicepresidente del Monza, mentre la squadra è in B. La chiamata è praticamente immediata”

Sempre dieci anni più tardi, hai la gioia più grande: lo scudetto a Torino. Seguìto dal dramma dell’incidente…
“Quel giorno, dopo aver pareggiato 1-1 col Cesena, Frajese mi dice che la Juve ha perso col Perugia. Io rimango impassibile, l’adrenalina inizia a scorrermi qualche minuto dopo.  Ho pianto, è vero, ma soltanto da un occhio. Dell’incidente preferisco non parlarne, posso solo ringraziare mia moglie Nerina e i medici”

‘Sergente di ferro’ non per nulla!
“Dal lunedì al sabato sono nell’imbarazzo ogni volta che devo incontrare i cronisti. Pretendono che io dica sempre cose nuove, a volte mi accorgo di reagire duramente e me ne pento: fanno il loro lavoro come io faccio il mio”

Gigi, avresti mai scommesso che avresti avuto vita dopo il Torino?
“Mi hanno cacciato via per un paio di partite perse in più, dopo avermi detto che le eventuali intemperie le avremmo superate senza traumi, discutendone serenamente. Poi sono arrivato a Bologna , in una circostanza nella quale il Totonero aveva infangato la società”

Che impatto hai avuto con le Due Torri?
“Impatto delizioso, l’impatto con una città che in ogni circostanza conserva sempre la sua compostezza”

Cos’hai trovato appena sei arrivato? E cos’hai costruito?
“Ho trovato una piazza di nobilissime tradizioni, una città serena, tranquilla e…in Serie A: mica poco. L’handicap iniziale è stato di 5 punti, ma ho dimostrato che Gigi Radice può mettere insieme una squadra capace di fare discreti risultati con un calcio sufficientemente apprezzabile”

Arrivasti insieme a Vullo, Pileggi e Garritano, concludendo settimi.
“Sì, quinti senza penalizzazione. Se solo le vittorie, a quel tempo, fossero valse tre punti…”

Come mai l’avventura finì?
“In poche parole, perché Mancini finì alla Samp. Io spingevo il presidente Fabbretti a venderlo al Milan e, se così fosse stato, avrei avuto la mia parte di guadagno. Non ero l’unico a farlo, a quel tempo”

Alla fine, al Milan, andasti/tornasti tu.
“Sì, dove chiesi Zico, Dossena ed ebbi un debole per Cruijff. Alla fine feci 12 punti in 16 giornate, e tornai a girare l’Italia”

Passando nuovamente in rossoblù, nel ’90-’91.
“Ho provato a salvarli, dopo aver preso il posto di Scoglio. Non ci riuscii”

Nel 1997 hai chiuso il cerchio, terminando la tua carriera da allenatore al Monza, dov’era iniziata.
“Sì, non metterò più piede in campo, ma ho continuato e continuerò a seguire il calcio, compresa la partita di martedì”

 

Fonti:
https://www.ultimouomo.com/gigi-radice-torino-roma/
http://www.magliarossonera.it/protagonisti/Gioc-Radicel.html

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