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RS-STADIO: Karim Laribi, un calcio alla banalità – 31 ott

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Bellissima intervista lunga due pagine quella che “Corriere dello Sport – Stadio” dedica questa mattina a Karim Laribi, “l’uno nell’uno più due” dell’attacco del Bologna primo in classifica in Serie B. Il trequartista è un ruolo atipico, che non si addice a persone ordinarie, e leggendo l’intervista al talento italo-tunisino in prestito (con diritto di riscatto, “colpo” di Fusco quest’estate) si capisce presto che no, Karim Laribi non è uno come tanti.
Mostra sicurezza in se stesso e forse un pizzico di presunzione solo quando parla dei prossimi obbiettivi (“L’obiettivo, oggi, è quello di portare il Bologna in serie A. Siamo forti. Abbiamo le carte in regola per farlo. L’avversario più duro sarà il Catania. Ora affrontiamo Livorno e Carpi. Ma non sono scontri al vertice, sono solo due partite, come altre che verranno.”) puntando alto quando si parla di sogni: Olimpiadi e Mondiale del 2018. “Per le Olimpiadi credo sia tardi, c’è già un ciclo in corso. Il mio ex compagno di squadra al Sassuolo, l’australiano Valeri, mi ha detto che alle Olimpiadi c’è un clima fantastico, si sta tutti insieme tra atleti, è davvero un’esperienza unica. Ma al Mondiale 2018 in Russia ci punto. Ricordo ancora quando, nell’estate del ‘98, ero in Tunisia con la famiglia. Seguivamo i Mondiali francesi, quelli vinti dalla Francia di Zidane: vedevo attorno a me tanta gente coinvolta, il cuore di un intero popolo che batteva per il pallone. E’ stata un’emozione fortissima.”
Si può prenderlo per presuntuoso, dunque, ma leggendo tra le righe si legge solo la legittima voglia di sognare di un ragazzo che a un certo punto ha rischiato di perdersi tra i tanti (“No, non tifo Inter, diciamo che non mi sono sentito trattato bene, così a sedici anni ho cominciato a fare provini in Inghilterra: Everton, Fulham, Liverpool, Portsmouth, partivo il giovedì e tornavo la domenica. Quando mi ha preso il Fulham ho pianto tre giorni, mi sentivo solo, lontano da tutto, non la smettevo più di piangere.”) e che adesso a Bologna sente di aver finalmente trovato la consacrazione che cercava: “Il mio calcio libero? È qui, a Bologna.”
Storia interessante quella di Laribi: cresciuto a San Donato, hinterland milanese, sordo di un orecchio dalla nascita (“Sono così dalla nascita, ma non è mai stato un problema. Però so ascoltare. Non è facile, sai. E’ per questo che presto molta attenzione quando ho davanti qualcuno. Non dimentico mai i visi. I visi raccontano molto delle persone.”) e figlio di una coppia mista: il papà tunisino, la mamma italiana: “Mia mamma l’ha conosciuta in un ristorante, faceva la cameriera. Si chiama Anna, è sarda, di Pula. Sono legatissimo a lei. E’ la persona più importante della mia vita. A Tunisi ho i parenti, ci vado, li vedo, anche se l’arabo non lo parlo più. Invece mi sento sardo. Ho un fratello, Omar, ha 28 anni, gioca nell’Olginatese. Sì, era più forte di me. Più tecnico, più strutturato. Ma gli è andata male.” Persona non banale, dicevamo, Laribi: quando parla della religione (“Sono cattolico. Credo nel Signore, ma non nella Chiesa, ne ha combinate troppe”) e di idoli dell’infanzia: “Il mio idolo era Harry Kewell, te lo ricordi? Australiano, un sinistro magico, giocava nel Liverpool di Benitez, quello che vinse la finale di Champions a Instanbul, da 0-3 a 3-3 con il Milan.” Ambizioso, ma sa riconoscere chi rimarrà nei libri di storia: “I calciatori veri sono Totti, Zanetti, Ronaldo, quella gente là. Io sono di passaggio. Tra dieci anni chi vuoi che si ricordi di me?”
Chiusura sul futuro. Non farà l’allenatore, Laribi: troppo buono, non saprebbe “cazziare” un giocatore. Meglio la Spagna, motivo per cui sta studiando lo spagnolo: “Il mio sogno è quello di andare a vivere a Malaga, prendo un albergo in riva al mare e sto lì, in spiaggia, all’ora del tramonto, gambe belle stese e un cocktail in mano: c’è qualcosa di meglio?” 

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