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Tutto calcio che Cola #37: Il Principe scaccia la maledizione – 16 dic

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Il 4 settembre scorso avevo raccontato, nella mia rubrica “L’Uomo nel Pallone”, l’incredibile storia del Racing Avellaneda e della “maledizione dei sette gatti neri”. La squadra, che incredibilmente si trovava a corto di vittorie da tempi immemori, aveva appena riabbracciato Diego Milito, eroe del Triplete interista e operazione che sapeva tanto, per molti, di puro “effetto nostalgia”. Io sarà che sono un romantico, ma ci avevo invece visto una grande storia: il campione che a fine carriera mette il cuore davanti ai soldi e sceglie di tornare nel club, affascinante e ricco di storia, che lo ha visto dare i primi calci. E che magari spezza la maledizione.


“Il Racing è molto più che vincere o perdere. O ci credi o non ci credi.” Queste le parole di Milito quando raccontava di cos’era “La Academia”, la squadra del suo cuore, soprannominata così per via di un tradizionale stile calcistico che era sopravvissuto anche agli anni ’60 del calcio argentino, quando nel Paese che ha dato i natali ad alcuni tra i più grandi calciatori di sempre si resero conto che la tecnica pura, da sola, non bastava.
Già, perché gli argentini, complice anche un isolazionismo dovuto a varie crisi economiche e di governo, nel dopoguerra si era ritrovata calcisticamente fuori dal resto del mondo. Era allora stata sviluppata una cultura calcistica chiamata “Nuestra”, la “nostra”, intesa come “nostra scuola calcistica”. Un modo di giocare che esaltava i numeri fini a se stessi, quasi come se il risultato fosse una cosa secondaria in una partita di calcio.
Quando però si era riaffacciata nel calcio mondiale erano arrivate per la Nazionale una serie di scoppole epocali, che avevano fatto capire che la bravura tecnica, l’eleganza, sono solo parte della ricetta per vincere. Una parte di cui si poteva fare anche a meno, ed ecco che quasi tutte le squadre argentine misero da parte la tecnica per esaltare corsa e soprattutto aggressività. Tutte tranne il Racing, che continuò nel suo percorso per restare fedele al suo soprannome: “La Academia”, quella dove impari il calcio.

Lungo cappello per spiegare cosa rappresenta il Racing de Avellaneda nel panorama calcistico sudamericano. Qualcosa di più di una squadra, una fede. Una fede che la crisi di risultati che seguì dall’incredibile maledizione dei gatti neri – sotterrati nello stadio dai tifosi dei rivali cittadini dell’Independiente mentre la squadra era a vincere una Coppa Intercontinentale – non solo non aveva avuto crisi, ma anzi, aveva generato proseliti. Perché mentre nel calcio ci sarà sempre chi tiferà per le squadre vincenti da sempre, una parte forse più romantica sosterrà sempre le magnifiche perdenti, le squadre che una volta furono grandi. Del resto, se il mondo del tifo desse il suo cuore solo a chi vince, esisterebbero molte meno squadre.


Eppure al Racing ci credevano, quest’estate. Milito non era finito, affatto: si, ok, aveva un’età importante, ma soprattutto si era ritrovato a giocare le ultime due stagioni con infortuni pesanti e in un Inter in crisi di identità, non la situazione ideale insomma per lasciare il segno. Scelta conveniente? Non scherziamo, uno come lui, solo per i successi passati, avrebbe potuto benissimo trovare posto in un qualche campionato americano, indiano, arabo e chi più ne ha più ne metta. Non si pensi che al Racing lo hanno ricoperto d’oro infatti. L’inizio non è stato dei migliori, la sconfitta contro gli eterni rivali cittadini dell’Independiente – i due stadi in linea d’aria distano meno di trecento metri – aveva fatto scattare una dura contestazione verso il tecnico e i giocatori, e del resto Mister Diego Cocca aveva sancito prima della gara “meglio perdere questa e lottare per il titolo”. Ragionamento logico, ma per chi conosce il tifo argentino anche molto pericoloso. Infatti la panchina era stata salvata per miracolo, la squadra si era ritrovata ed ecco l’incredibile rimonta: 8 vittorie nelle ultime 9 gare, il River Plate avvicinato sempre di più e infine superato. Ultima giornata, tutto ancora in gioco: doveva vincere, il Racing, e si può soltanto immaginare la tensione che c’era. Ci ha pensato Ricardo Centurion, troppo presto a mio avviso bocciato dal calcio italiano dopo la scorsa stagione al Genoa. Un colpo di testa che è valso il ritorno alla vittoria dopo 13 anni, attesa lunga (considerando che in Argentina si giocavano fino a questo due campionati l’anno) ma nemmeno così lunga, vista la maledizione che pende sullo stadio “Cilindro”. Maledizione che adesso Diego Milito, il Principe, è riuscito insieme ai suoi compagni a spezzare. Un ultimo, bellissimo, capitolo di un calcio romantico che più che ripeti che “non esiste più” e più sa regalarti storie come questa.


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