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Calcio

I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (15^ puntata): U.S.A. 1994

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Il Mondiale delle prime volte, il più atipico della storia, quello degli eroi inattesi e degli errori che verranno ricordati una vita. Il Mondiale che vede tornare sul tetto del mondo il Brasile. Stati Uniti, anno 1994.

Le precedenti puntate:

– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954 
– SVEZIA 1958 
– CILE 1962

– INGHILTERRA 1966

– MESSICO 1970

– GERMANIA OVEST 1974
– ARGENTINA 1978
– SPAGNA 1982
– MESSICO 1986
– ITALIA 1990


#IL MONDIALE
Quello del 1994 è il Mondiale delle prime volte: per la prima volta la vittoria vale 3 punti, per la prima volta la finale finisce a reti inviolate e per la prima volta il titolo viene assegnato ai calci di rigore. Per la prima volta, soprattutto, la Coppa del Mondo abbandona l’Europa e l’America latina per approdare negli Stati Uniti d’America, paese a digiuno di calcio e dove la FIFA intende renderlo popolare come gli sport nazionali. Il tentativo riesce solo in parte, la Major League Soccer viene infatti fondata appena nel 1993 e non prende il via che nel 1996, due anni dopo il Mondiale.
Pur non essendo commercialmente un flop (gli impianti sono adeguati, il pubblico presente) il torneo delude sotto il punto di vista tecnico, anche per gli assurdi orari in cui si svolgono le partite per permettere all’audience europea (la più numerosa) di seguire le gare in TV: molti match vengono giocati in tarda mattinata o nel primo pomeriggio, con temperature e umidità che rendono proibitivi gli sforzi fisici prolungati. Il risultato è un torneo atipico, con squadre che badano a non sprecare energie e con un livello di spettacolarità molto basso, che contribuisce alla mancata presa del football (o per dirla all’americana del “soccer”) in America.


Gli anni che precedono il torneo sono stati anni politicamente molto turbolenti che hanno portato alla fine dell’URSS e della Jugoslavia e alla nascita di tanti piccoli stati. Anche la Cecoslovacchia si è sciolta, seppur pacificamente, in Repubblica Ceca e Slovacchia, mentre la Germania – dopo il crollo del Muro di Berlino – è di nuovo una sola.
I tedeschi sono i campioni in carica e tra i naturali favoriti, pur presentando una squadra che paga con un età media elevata la riconoscenza ai senatori di Italia ’90. Per la vittoria finale vengono ben considerate anche l’Italia, che si è affidata all’allenatore più vincente e innovativo della sua storia, Arrigo Sacchi; l’Argentina, qualificatasi all’ultimo tuffo e con tanti stenti ma che può vantare tra le sue fila diversi campioni ed il redivivo Maradona; il Brasile, con un attacco atomico supportato da un impianto molto solido, per i tifosi verde-oro persino troppo ma adeguato al clima. Un outsider su cui molti, all’inizio del torneo, punterebbero i propri risparmi è la Colombia del futurista CT Maturana, seguace di Sacchi e che può contare su campioni veri in ogni reparto: i suoi uomini hanno sconfitto per ben 5 a 0 l’Argentina durante le qualificazioni, e l’entusiasmo è alle stelle.
Il torneo viene vinto dal Brasile meno spettacolare della storia dopo quello di Lazaroni a Italia ’90: perlomeno questo è vincente, pur se bisogna ricorrere ai rigori (primo caso nella storia di una finale decisa dal dischetto) per stabilire chi vince tra i verde-oro e l’Italia di Sacchi e soprattutto di Baggio, partita male ma rivelatasi poi squadra vera.


La Colombia si scioglie come neve al sole uscendo al primo turno, ed il suo posto di “outsider di lusso” viene preso dalla Bulgaria: gli uomini guidati da Penev stanno vivendo la propria “generazione d’oro”, una squadra capace di tutto e del suo contrario che nelle qualificazioni ha eliminato, sconfiggendola all’ultima giornata in trasferta, la Francia. I “Bleus” sono una delle grandi assenti del Mondiale, come l’Inghilterra, il “solito” Uruguay e i campioni d’Europa in carica della Danimarca. Altre squadre rivelazione sono la Romania, che giunge fino ai quarti di finale grazie alla classe di Hagi e ai gol di Raducioiu, e la Svezia che elimina i rumeni e che raggiunge le semi-finali, miglior risultato di sempre dopo la finale del 1958: gli scandinavi hanno in Dahlin e Andersson due attaccanti con i fiocchi.


E’ il trionfo di un Brasile mediocre per quel che riguarda il gioco – tuttavia non così scadente considerato il contesto generale – ma solido quanto basta per eliminare una dopo l’altra le rappresentative di Stati Uniti (che ben si comportano), Olanda, Svezia e appunto Italia in finale, seppur come detto solo ai calci di rigore. Decisivi sono gli errori degli azzurri Baresi, Massaro e Roberto Baggio, che calcia alto entrando nell’iconografia di questo torneo – ingiustamente – come il responsabile principale della mancata vittoria italiana quando in realtà è stato probabilmente il miglior giocatore della rassegna insieme al brasiliano Romàrio. Toccante la dedica dei campioni, che conclusa la finale indicano il cielo: un omaggio al campione brasiliano di automobilismo Ayrton Senna, scomparso pochi mesi prima.

#GLI EROI
Il Brasile campione vanta una solida difesa, sorretta da uno dei migliori portieri della sua storia, Claudio Taffarel: davanti a lui agiscono Jorginho, Aldair, Marcio Santos e Branco, mentre il centrocampo prevede solo corridori come Mauro Galvao, Dunga, Mazinho e Zinho che occasionalmente si alterna con il più talentuoso e incostante Raì. In attacco Romario e Bebeto sono una coppia d’oro così forte e completa che il giovane ma già fortissimo Ronaldo finisce per fare solo la comparsa, così come il bravissimo e polivalente Leonardo, che becca una pesante squalifica però per una gomitata rifilata a un avversario durante la sfida con gli USA.


Sacchi ha modellato l’Italia sul suo consolidato 4-4-2: Pagliuca tra i pali da sicurezza a una difesa che perde subito Baresi (lo ritroverà solo nella finale) ma che può contare su Maldini e i due esterni del Parma-rivelazione in campionato, Mussi e Benarrivo. A centrocampo spiccano la quantità di Dino Baggio e Berti, la lucida regia di Albertini e le corse sulla fascia di Donadoni, mentre in attacco accanto a Roberto Baggio finisce per giocare l’anziano Massaro, preferito a talenti quali Signori, Zola e Casiraghi. Anche in questo caso abbiamo un campione come Tassotti che, squalificato per un colpo dato a Luis Enrique, in pratica termina qui la carriera internazionale: è il primo caso di “prova TV” al Mondiale nella storia.


La Svezia finisce terza come detto grazie al duo d’attacco composto dal lungo eppur tecnico Kenneth Andersson e dalla sua spalla, il dinamico “colored” Martin Dahlin. In panchina spicca un altro svedese di colore, Henrik Larsson, mentre a centrocampo Brolin, Schwarz e Mild sono giocatori di livello conclamato. La Bulgaria punta molto sulla classe infinita di Hristo Stoichkov, il fiuto del gol di Kostadinov e le sgroppate sulle fasce di Yordan Lechkov, che con Trifon Ivanov in difesa è sicuramente il giocatore più pittoresco della sorprendente pattuglia messa insieme da Penev.



Altri eroi sono il russo Oleg Salenko, che finisce per essere il capocannoniere del torneo con 6 reti segnate in appena 3 gare: 5 gol arrivano contro il Camerun, in una gara che oltre al record della meteora russa (massimo numero di gol in una singola gara del Mondiale) vede anche un altro record, stavolta da parte africana. In un Camerun dimenticabile, infatti, scrive il suo nome nella storia Roger Milla, che diventa il più anziano realizzatore di un gol al Mondiale segnando la rete della bandiera per i “Leoni” all’età di 42 anni. Anche la Romania presenta quella che sarà poi considerata la sua squadra migliore di sempre, che esce solo ai quarti e dopo i rigori: Belodedici, Selymes e Petrescu in difesa, Dumitrescu, Popescu, Munteanu e Lupescu in mediana, Hagi a rifinire per Raducioiu (4 gol per lui) consentono al CT Iordanescu di fare una bellissima figura.


Negli Stati Uniti padroni di casa spiccano gli “europei” (impegnati nei campionati d’Europa) Harkes, Wynalda, Ramos e Wegerle, oltre a future icone come il difensore Alexi Lalas (lo vedremo in Italia al Padova) ed il talentuoso regista di origine portoghese Claudio Reyna, che però passa tutto il torneo in panchina per via di un infortunio: gli USA escono con il minimo scarto agli ottavi di finale contro i futuri campioni del Brasile, rimediando comunque apprezzamenti unanimi per voglia e applicazione.


Come detto delude la Colombia, che cade con Romania e Stati Uniti arrivando ultima nel suo girone e finendo quindi eliminata subito: un risultato incredibile per una squadra che può vantare tra le sue fila talenti come il difensore Escobar, i centrocampisti Serna, Rincòn e Valderrama e gli attaccanti Asprilla e Valencia. La precoce eliminazione dei colombiani avrà una pesante ripercussione: il difensore 27enne Andrés Escobar, autore dell’autorete che ha condannato i suoi contro gli Stati Uniti, viene ucciso a colpi di pistola in un locale di Medellin pochi giorni dopo il ritorno in patria. Si dice che dietro all’omicidio, commesso dall’ex-guardia del corpo Humberto Munoz Castro, ci sia una vendetta del cartello del narcotraffico che sul cammino della Colombia aveva scommesso ingenti somme di denaro. 
Castro, condannato inizialmente a 43 anni di carcere, si vede prima ridurre la pena e poi nel 2005, a seguito di una sentenza molto controversa, riacquista addirittura la libertà.


La Spagna è la solita bella e incompiuta, non riuscendo a combinare alla classe di centrocampisti come Guardiola, Bakero, Luis Enrique e Guerrero attaccanti di buon livello. Spagnolo è anche il CT Azkargorta, che guida una Bolivia deludente nonostante gli altisonanti proclami che accompagnano il duo d’attacco composto da Marco Etcheverry e Erwin Sanchez.
L’Argentina è squadra fortissima, impressiona nelle prime gare ma poi crolla agli ottavi con la dipartita di Diego Armando Maradona: “El Pibe de Oro” è stato ripescato all’ultimo ed è stato decisivo nello spareggio con l’Australia, contro la Grecia ha impressionato ma poi è stato pescato positivo ad un controllo anti-doping. Il suo sostituto, Ariel Ortega, è molto fumo e poco arrosto, e la squadra ne risente fatalmente pur potendo contare su campioni come il portiere Goycoechea, i centrocampisti Redondo e Simeone e le punte Balbo, Caniggia e soprattutto Batistuta, destinato a diventare uno dei migliori centravanti al mondo. Riscuote consensi unanimi la Nigeria, che il CT olandese Westerhof schiera sfruttando al massimo le qualità tecniche ed atletiche di ottimi giocatori come Jay-Jay Okocha, Oliseh, Finidi George e Mutiu Adepoju a centrocampo e Amokachi, Yekini e Ikpeba in attacco. Pittoresco il portiere Peter Rufai, che in futuro rinuncerà ad essere Re della sua tribù nella regione nigeriana di Idimu per continuare a giocare a calcio.


L’Olanda si presenta al torneo parzialmente rinnovata: sotto la guida di Dick Advocaat emergono i giovani talenti di Marc Overmars, i gemelli Frank e Ronald De Boer, gli interisti Wim Jonk e Dennis Bergkamp. Uniti a vecchi lupi di mare come Rijkard, Koeman, Blind e Wouters dovrebbero garantire una buona squadra, ma il mix sarà invece deludente. Come deludente risulterà anche il Belgio, che ai talenti noti di Preud’homme (miglior portiere del torneo) e Scifo abbina mezzi talenti come Nilis e Wilmots, sufficienti per passare il turno ma non per lasciare il segno sul torneo, così come non lo lascia il Messico di Hugo Sanchez e del pittoresco portiere Jorge Campos. Segno che viene invece lasciato da Saeed Al-Owairan dell’Arabia Saudita, che proprio contro il Belgio segna il gol più bello del Mondiale, uno slalom irresistibile effettuato partendo dalla propria area di rigore.

#L’EPISODIO
Gli americani saranno anche a digiuno di calcio, ma nel marketing sono degli esperti e hanno capito che più stelle ci sono più il prodotto risulta accattivante. E qual’è il calciatore più famoso di tutti nel mondo?
Diego Armando Maradona nel 1991 ha concluso tra polemiche e cocaina la sua esperienza in Italia, e dopo un anno interlocutorio al Siviglia è tornato in Argentina firmando con il Newell’s Old Boys.


La Nazionale, nel frattempo, ha deluso nelle qualificazioni, perdendo entrambe le gare con la Colombia e finendo seconda nel suo girone, un risultato che significa spareggio con l’Australia per andare al Mondiale. Il popolo vuole a gran voce il ritorno di Diego, e questo è quanto accade: Maradona torna ed è decisivo con l’assist per il gol di Balbo, la nazionale “albi-celeste” va ai Mondiali e Diego rescinde il contratto con il Newell’s per preparasi da solo alla rassegna irridata. Al mondo, Maradona dichiara che arriverà in America in condizioni fisiche ottimali.
In effetti la prima partita è uno spettacolo, l’Argentina schianta 4 a 0 la Grecia con una tripletta di Batistuta e un gol proprio di Maradona, che dopo la rete corre verso la telecamera mostrando al mondo la sua determinazione e la sua rabbia contro chi lo aveva dato per finito.


E’ un Maradona nuovo in effetti, dal fisico più compatto e con lo scatto di un ventenne, fa letteralmente impressione. L’Argentina vince anche la seconda gara contro la Nigeria, un 2 a 1 firmato da Caniggia, ma qui accade l’episodio che segna la fine della carriera di Diego: il controllo anti-doping effettuato a fine partita (“l’ennesimo” dirà poi Maradona) evidenzia tracce di efedrina, una sostanza che aumenta le prestazioni. Maradona è dopato, in pratica: il suo Mondiale è finito, la FIFA lo squalifica dal torneo e l’Argentina, senza di lui, crolla nonostante disponga di una buonissima squadra. Fragili caratterialmente, Batistuta e compagni crollano prima con la Bulgaria nel girone, e poi con la Romania, che vince 3 a 2 grazie a quella che probabilmente è la miglior partita in carriera del talento bruciato di Ilie Dumitrescu. E Maradona? Abbandona furente il Mondiale ed ha parole di fuoco contro la FIFA, che a suo dire lo ha “voluto far fuori”: si difende affermando che la positività deriva da una bevanda energetica datagli dal suo allenatore personale, la “Ripped Fuel”, equivalente americana della “Ripped Fast” che prendeva in Argentina ma che negli Stati Uniti è introvabile. La versione americana però, a insaputa del medico personale del campione argentino, contiene efedrina.

“Mi hanno ucciso quando volevo rientrare per dimostrare alle mie due figlie che posso lottare con dei ventenni. Nel paese della democrazia non mi hanno lasciato parlare, e non mi hanno permesso di dire ciò che sento. Con la mia uscita dal mondiale è uscito anche un intero paese e sono usciti anche quelli che mi vogliono bene. Avevo detto che la Fifa mi aveva tagliato le gambe. Adesso dico che mi ha finito di tagliare il corpo, mi ha uccisoMi hanno ucciso quando volevo rientrare per dimostrare alle mie due figlie che posso lottare con dei ventenni. Nel paese della democrazia non mi hanno lasciato parlare, e non mi hanno permesso di dire ciò che sento. Con la mia uscita dal mondiale è uscito anche un intero paese e sono usciti anche quelli che mi vogliono bene. Avevo detto che la Fifa mi aveva tagliato le gambe. Adesso dico che mi ha finito di tagliare il corpo, mi ha ucciso.”


L’episodio segna in pratica la fine della carriera di quello che per molti è stato il più grande calciatore di sempre e una diatriba con la FIFA e con chi la governa da parte di Diego che ancora oggi presenta i suoi strascichi.

#IL PROTAGONISTA
Cresciuto nelle giovanili del Vasco da Gama, Romàrio de Souza Faria fin da giovanissimo si dimostra un predestinato: il fisico piccolo e tozzo gli vale il soprannome di “Baixinho” (“Piccoletto”), pur avendo un ottima tecnica non è il classico dribblomane stile Garrincha o Ronaldo, e anche la velocità è quella che è. Romario però ha un segreto: una feroce determinazione nel cercare il gol unita ad un istinto innato nel leggere le situazioni di gioco e anticipare le intenzioni di chi lo marca. Un fiuto del gol che gli porterà in dote oltre 1000 gol in carriera e che fin da giovanissimo gli permette di farsi notare dai dirigenti del PSV Eindhoven, squadra del campionato olandese.
Che forse non è il torneo più prestigioso d’Europa, ma di sicuro la dimensione ideale per chi vuole farsi le ossa prima di approdare a lidi più importanti: Romario accetta la sfida, a 22 anni è nella Eredivisie e ne è subito protagonista. In 5 stagioni vince 3 volte il titolo di capocannoniere, 3 titoli nazionali e una coppa d’Olanda: lascia con 174 reti segnate in 168 gare, chiamato dal Barcelona di Johan Cruijff. Al suo arrivo annuncia che farà 30 reti nello scetticismo generale, ma alla fine del torneo sono proprio 30 i gol, che valgono titolo nazionale e trono dei bomber.


E’ in queste condizioni straripanti che si presenta in America come centravanti titolare del Brasile: ha già partecipato a Italia ’90, risultando però una comparsa. Adesso, a 28 anni, vuole essere protagonista, e restituire al Brasile quella Coppa del Mondo che manca dai tempi di Pelé. “O Baixinho”, schierato in coppia con l’amico di sempre Bebeto, è determinante fin da subito: apre le marcature nel 2 a 0 alla Russia, sblocca la gara anche contro il Camerun (3 a 0 il risultato finale, ma gara in bilico fino al suo gol) e contro la Svezia pareggia la rete di Andersson regalando ai suoi il primo posto nel girone. Contro gli USA agli ottavi favorisce la rete di Bebeto per una vittoria striminzita ma importante, ai quarti apre le marcature contro l’Olanda. Gli “Orange” rimontano fino al 2 a 2, e per stenderli è necessaria una punizione di Branco, mentre in semifinale i verde-oro ritrovano la Svezia che già li ha bloccati nel girone di qualificazione. E’ una partita durissima, gli scandinavi non concedono uno spazio che sia uno e nonostante dominino, i brasiliani non passano per sfortuna e la giornata di grazia del portiere avversario Ravelli. A 10′ dalla fine, però, Romario colpisce: Mauro Silva dalla destra mette dentro un cross, “O Baixinho” (alto 1,65 m) sbuca in mezzo ai giganteschi difensori scandinavi e di testa colpisce. E’ una sentenza: Svezia a casa, Brasile in finale, dopo 24 anni, contro l’Italia.


La finale non è la gara migliore nella carriera di Romario, che viene ben controllato dalla difesa azzurra. Prima della gara, il presidente del Brasile stesso ha chiesto l’utilizzo del giovanissimo Ronaldo, cosa che ha indotto il CT Parreira a convocare i giornalisti per dire un semplice e chiaro concetto: Ronaldo giocherebbe solo al posto di Romario, quindi non gioca. E aggiunge: “Se il Presidente sapesse condurre il Paese come io conduco la Selecao saremmo un paese da primo e non da terzo mondo”. In finale, come detto, non gioca bene Romàrio. Sbaglia anche una rete clamorosa, quasi dalla linea di porta. Si va ai rigori, che premiano però la squadra che in fondo ha meritato di più, e cioè appunto il Brasile, che torna sul tetto del mondo grazie anche al tiro dal dischetto realizzato da Romàrio, oltre che per gli errori di Baresi, Massaro e Baggio.


“O Baixinho” viene premiato come miglior giocatore del torneo, finendo davanti all’amico fraterno Bebeto, a Roberto Baggio e al compagno del Barcelona Hristo Stoichkov. Al ritorno in Catalogna però l’amore tra il centravanti ed il club sembra finito. I rapporti con Cruijff sono tesi, Romario non ama partecipare al gioco come richiede il “guru” olandese, bensì attendere in area l’imbeccata giusta per tramutare un pallone in gol. Annuncia il ritiro, lascia il Barcelona ma poi ci ripensa. Il resto della carriera la spende girovagando e segnando gol a grappoli: appena 11 gare e 5 reti nel Valencia, cinque stagioni al Flamengo dove arrivano 133 reti in 146 gare, 45 reti in 73 gare con la maglia del Fluminense, fugaci esperienze in Arabia Saudita, Stati Uniti e Australia per poi chiudere la carriera con la maglia con cui tutto era iniziato, quella del Vasco da Gama, con cui in totale in campionato ha segnato la bellezza di 546 reti in 705 partite. Chiude oltre i quarant’anni, ultima icona di un calcio che non c’è più, quello dei centravanti che vivono solo ed esclusivamente per il gol, che non hanno particolari doti fisiche, di manovra o di dribbling ma che ti garantiscono che se la palla capita dalle loro parti è molto probabile che qualche secondo dopo la vedrai gonfiare la rete. Questo è stato Romario, “O Baixinho”, un poeta, un mago degli ultimi 16 metri, l’ultimo esempio di rapace del gol.



Fonti: “Storia dei Mondiali di Calcio” (Bosco-Tocchio), Wikipedia

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