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Calcio

Monday Night – San Patrizio con Ronnie Whelan

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The Independent

 

 

Una manciata di casi di coronavirus, abbastanza per annullare, a Dublino e Cork e un po’ in tutta la Repubblica, tutte le manifestazioni per San Patrizio. Il 17 marzo il Liffey, fiume della capitale, non si tingerà di verde e gli irlandesi non si riverseranno in strada con i loro colori, fieri e orgogliosi della loro indipendenza dalla corona, indossando bandiere e strani cappelli in testa.

Nemmeno il Temple Bar  diventerà un formicaio di passione e patriottismo. Ci fu un tempo però in cui l’Irlanda calcistica solcava i mari internazionali e una macchia verde occupava gli spalti. Nel 1988 la nazionale del trifoglio si presentò al via del campionato europeo per nazioni in Germania, inserita in un girone dove, guarda che caso, una delle favorite era proprio la perfida Albione. Allenata da Jack Charlton, fratello del più noto Bobby, lo stesso tecnico che qualificherà l’Irlanda anche al Mondiale italiano due anni dopo, la squadra fa il suo esordio proprio contro l’Inghilterra. E vince: al sesto minuto è Houghton a piegare gli inglesi, incapaci di pareggiare nei restanti ottantaquattro minuti.

Curiosità, anche nel 1994, altro Mondiale in cui l’Irlanda si presenta, sarà proprio lui a piegare l’Italia all’esordio segnando ancora una volta nei minuti iniziali della gara. La seconda partita, oppone l’Irlanda alla ex Unione Sovietica. È qui che ci focalizziamo sul protagonista della nostra storia: al minuto numero 38, sullo 0-0, Mick McCarthy batte una rimessa lunga, che più lunga non si può. È direttamente un assist: la palla infatti non viene sfiorata da nessuno e viene raccolta direttamente Ronnie Whelan, classe 1961, che gira al volo di sinistro un tiro imparabile e bellissimo, che si insacca alle spalle di Dasayev. Varrà a poco: l’attuale Russia pareggerà, e nella terza partita l’Irlanda verrà sconfitta ed eliminata dall’Olanda, futura campione d’Europa.

Ma quel casco di capelli chiari aveva illuminato la marea verde quel pomeriggio ad Hannover, così come abitualmente faceva già da anni con una folla di un altro colore, quella rossa. Nato a Dublino, Whelan legò il suo nome a un solo club, il Liverpool, nel quale militò dal 1979 al 1994. Alto tasso tecnico, movimento e imprevedibilità: tutto questo era Whelan, uno dei simboli di Anfield. Il club se lo porta a casa nel ’79 per 35.000 sterline, prelevandolo dall’Home Farm, una piccola squadra di Dublino in cui iniziò a mettersi in luce. Non era il solo in famiglia a praticare: il fratello Paul giocò per diversi anni nella Lega irlandese. Servono un paio d’anni al ragazzo per mettersi in mostra, ma il 3 aprile 1981, in un anno intenso di emozioni contrastanti per il Liverpool (vittoria in Coppa Campioni in maggio e scomparsa dello storico manager Bill Shankly in settembre) il nostro debutta e segna subito in un 3-0 allo Stoke City davanti al suo pubblico.

Irlandese in Inghilterra, un profeta non in patria. Ma la Kop lo adotta quasi subito. Gol d’autore, tocchi vellutati dalla grande distanza che si insaccano a girare alle spalle dei portieri. Nel 1982 ferisce anche il suo mentore, quel Jimmy McLaughlin che gli aveva consigliato di andare al Liverpool e non di prendere la strada di Old Trafford, Manchester United, dove Whelan aveva trascorso un periodo di tirocinio. Il Liverpool affronta il Dundalk in coppa dei Campioni, e il nostro fa doppietta nell’andata in Irlanda (4-1) e decide la partita ad Anfield (1-0). Ronnie Whelan è uno dei grandi protagonisti di quei favolosi anni Ottanta in cui i reds vincono sei campionati su nove, ingaggiando un duello cittadino con l’Everton di Howard Kendall.

La bacheca di Whelan e del Liverpool è impreziosita anche da tre coppe di Lega (una nel 1983 con una sua rete allo United in finale), due FA Cup e la Coppa dei Campioni conquistata nel 1984 a Roma contro i giallorossi. Nel 1988-89 diventa capitano e alza con quei gradi la Coppa d’Inghilterra vinta contro l’Everton, nella finale giocata poche settimane dopo la tragedia di Hillsborough. Spettacolare anche negli autogol: nel 1990 ne segna uno con un pallonetto delizioso che scavalca il compagno di squadra Grobbelar. Innocuo: il Liverpool vince a Old Trafford per 2-1. Dopo il titolo del 1990, inizia la parabola discendente. Con Souness in panchina, nei primi anni Novanta, si vede togliere la fascia di capitano e anche il numero 5 dalla schiena (prenderà il 12), non nascondendo la sua delusione. Gli infortuni si susseguono sempre più frequenti, e Whelan non riesce a ritagliarsi più un ruolo da protagonista.

Chiude con il calcio giocato dopo quasi quattrocento partite e 54 reti con la maglia rossa, e allena: primaal Southend, poi in Grecia. Disse di lui Bob Paisley, un altro pezzo pregiato della dinastia di grandi manager dei reds: “Quando mi chiedevano chi poteva essere l’uomo decisivo per noi, se Grobbelar, Rush o Dalglish, io avevo in mente un nome: l’uomo delle grandi occasioni è Ronnie Whelan”. L’irlandese profeta fuori dalla sua patria.

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