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Cinema nel Pallone: La grande passione (2)

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Anche se il football in Inghilterra esisteva ormai da tempo, il concetto di “sport mondiale” nacque a Parigi il 21 maggio del 1904, quando un gruppo di appassionati di vari paesi europei, rifiutati dai maestri inglesi, fondò la F.I.F.A. – Fédération Internationale de Football Association – che avrebbe sostenuto lo sviluppo del calcio in ogni angolo del mondo e a stabilire regole certe e uguali per tutti. La prima e più importante tappa fu la creazione di un proprio trofeo, la Coppa del Mondo (o Coppa Rimet) che si sarebbe giocata ogni quattro anni a partire dal 1930, quando furono organizzati i primi, storici, Mondiali di calcio. Il film “La grande passione” di Frédéric Auburtin cerca di riassumere la storia di questa organizzazione – e insieme a essa del calcio e dei Mondiali – in meno di due ore, un’impresa per niente facile.


Come prevedibile, “La grande passione” fallisce nel suo tentativo. Divisa tra due obbiettivi (omaggiare la FIFA e denunciarne gli scandali seppur in modo davvero troppo morbido) la pellicola finisce per essere una ricostruzione storica parziale e dai sentimenti troppo contrastanti. Se infatti la prima parte, incentrata sul calcio degli albori e sulla fondazione della Federazione, è abbastanza ben fatta, si perde forse un po’ troppo tempo in inutili salamelecchi, considerato che dai Mondiali del 1930 ci si ritrova poi direttamente al 1950, la tragedia del Maracanà, con le edizioni del 1934 e del 1938 che vengono appena accennate – e non con bei toni, anzi, si parla di edizioni “rubate” da Mussolini quando è storicamente provato che non fu così – insieme alla cosiddetta “Partita della Morte” giocata a Kiev tra prigioneri ucraini e occupanti nazisti. 
Questo è il problema principale di un film che aveva un enorme potenziale sulla carta ma che non lo esprime per via di una sceneggiatura confusa, dove certi passaggi importanti vengono accennati o quasi saltati e altri sono tirati davvero troppo per le lunghe. È il caso del personaggio di Sepp Blatter, controverso e interessante, vero mattatore del film e interpretato da Tim Roth. Il suo personaggio e il dualismo con João Havelange (un discreto Sam Neill) rimane interessante solo nelle intenzioni, sulla carta, finendo per diventare un polpettone poco saporito di rivalità e scandali – affrontati peraltro con un tono a dir poco da educanda.


Alla fine non si capisce quale sia l’obbiettivo della pellicola, che tra uno scandalo mezzo accennato e un altro tenta anche di raccontare quanto sia bello il calcio nella sua profondità senza però riuscirvi neanche in questo caso anche per la poca cura con cui viene raccontato “il pallone” di per se: significative sono le scene d’intermezzo tra una storia e l’altra, che vedono un gruppo di ragazzini giocare a calcio e una bambina in porta, sola e annoiata, fino a quando non si impossessa del pallone e con un azione che nemmeno Holly & Benji scarta tutti e segna. Scena che dovrebbe essere segnale di “un gioco per tutti” ma che risulta invece pacchiana, inverosimile, scontata e fuori luogo. In ogni caso questo riassume la confusione del regista, che da una parte sembra voler denunciare la “troppa politica nel calcio”, tra l’altra con alcuni colpi di mano e altri “colpi di spugna” quasi finisce per beatificare una figura controversa come Blatter.
Il calcio, inteso come gioco, non ne esce bene. Troppe cose appena accennate (il calcio degli albori, i suoi primi campioni, l’Italia di Pozzo e il “Maracanazo”), altre completamente omesse (la Grande Ungheria, l’affermazione di Pelé, l’Olanda del Calcio Totale) per un film senza né capo né coda che si conclude con la FIFA che sancisce il fatto che i Mondiali del 2010 si giocheranno in Sud Africa: il calcio, come voleva Jules Rimet (che nel film è interpretato da Gerard Depardieu in modo convincente) tocca finalmente tutti i continenti, questo era l’obbiettivo per cui la FIFA era nata e questo è ciò che è stato raggiunto. Non sorprende che, pur essendo stato girato nel 2014, il film non mostri alcunché dei Mondiali africani ma anzi si concluda sulle note di “Pata Pata” di Miriam Makeba che festeggiano la vittoria sudafricana, anche in questo caso in modo pacchiano ed edulcorato viste le tante controversie sorte nell’occasione. Del resto questo è il limite principale che rende questo film difficilmente guardabile persino da un appassionato nonostante gli indubbi sforzi attoriali dei protagonisti e di chi ha ricostruito certe ambientazioni – cosa che alla fine, con un budget di 19 milioni di dollari, era però da dare come minimo per scontata.


Un film di calcio e sul calcio che però di calcio parla molto poco. Un omaggio che la FIFA (che ha finanziato interamente il film) ha fatto a se stessa finendo però in questo modo per influenzare troppo il regista, che ha lamentato scarsa libertà di espressione: e allora se si rifiuta di indagare – come prevedibile – sulla figura di Sepp Blatter, si può semplicemente metterla in secondo piano e parlare per un’ora e mezzo di calcio e di quanto questo sport sia bello e ricco di storie da raccontare. Altrimenti si può scegliere la via degli intrighi di potere, spiattellando nude e crude tutte le controversie di una federazione che era nata per tutelare lo sport più bello del mondo e che invece ha finito spesso per danneggiarlo in nome di importanti interessi economici, ma questo era logico non aspettarselo. Ma tentare di fare entrambe le cose, in meno di due ore, saltando di palo in frasca dagli albori ai giorni nostri è una scelta senz’altro suicida e che non può portare da nessun’altra parte se non che al fallimento.
Meglio sarebbe stato parlare – magari – solo dei pionieri, la nascita del calcio, l’ingresso nella storia della FIFA, l’organizzazione dei primi Mondiali. Auburtin tenta di raccontare invece un po’ tutto, e quel che rimane, alla fine, è che – a parte la trasformazione di Blatter in un improbabile e altruistico eroe del calcio – finisce per raccontare un po’ nulla. Il che è un vero peccato, visto quanto il calcio potrebbe offrire in termini di storie. Un’occasione persa. 


Di mille modi che c’erano per raccontare la storia dei Mondiali, Auburtin sceglie il peggiore: a metà strada tra il racconto entusiasta e il film di denuncia, “La grande passione” è un film di calcio che non parla di calcio se non in alcune parti, persino ben fatte, che fanno soltanto capire quanto potenziale avrebbe avuto una pellicola del genere se avesse avuto tutto un altro taglio. Non bastano le ottime prestazioni di Neill, Depardieu e Roth, il film non decolla mai e alla fine la sensazione che rimane è quella di una grossa occasione sprecata. La storia del calcio scopritela in altre sedi. 

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