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Chiacchiere da Bar…bieri – Michael Schumacher, il lavoratore infaticabile

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Tutti siamo stati bambini e tutti, chi più chi meno, abbiamo ricordi legati alla propria infanzia. I primi segni della mia esistenza rimasti impressi nella mia memoria sono quelli legati a quando, più o meno chiunque, mi rivolgeva la fatidica domanda: “Ma cosa vuoi fare da grande?” A rifletterci adesso, penso “Ma cosa ne saprà mai un bambino di quattro anni di cosa vuol fare da adulto”. Da bimbo invece, galoppavo con la fantasia.

Siamo nell’estate 1996, Juri Chechi era uno dei favoriti ai Giochi Olimpici di Atlanta. Essendo io suo omonimo, sarebbe stato semplice dire che avrei voluto volteggiare impugnando gli anelli proprio come faceva lui in maniera divina.

Invece no. Il mio nome russo, Yuri appunto, evocava in chi mi guardava anche altri grandi personaggi che hanno fatto la storia. Gagarin. E a me l’idea di andare nello spazio piaceva, molto. Quindi sì, volevo fare l’astronauta!

Se non fosse che… In quel 1996, un giovane tedesco, già due volte campione del mondo, arrivò a guidare la macchina che tutti i bambini sognano. Quella veloce, quella che fa esaltare, ma anche arrabbiare, se le cose vanno male, i grandi. Quella rossa. La Ferrari.

Ho un quarto di sangue modenese e mia madre, con il suo tifo misurato ma coinvolgente, me l’ha sempre ricordato. La mia prima casa non me la ricordo, ma la seconda sì. Dal soggiorno, al terzo piano, si vedevano chiaramente gli Appennini e il Monte Cimone quando era innevato. Molto più vicino però, si vedeva lei, la torre dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari.

Con questi ingredienti, e con l’entusiasmo che nel 1996 accolse la nuova Scuderia Ferrari, un bambino non poteva che incuriosirsi davanti a tutto questo fermento. Soprattutto se il ricordo della prima gara di Formula 1 è quello del GP di Spagna 1996. Sotto un autentico nubifragio, la Ferrari guidata da quel tedesco che non voleva parlare italiano, vinse.

La ricetta era fatta. La risposta a quella fatidica domanda ormai era formata. Volevo diventare Schumacher. Non un pilota di Formula 1, ma volevo diventare proprio come lui!

Dopo quell’esaltante domenica del Montmelò, mi ritrovai mesi più tardi in Autodromo con i miei genitori. Correvano anche loro, ma a piedi. Credo ci fosse una manifestazione, non ricordo bene. Forse era solo un’opportunità per loro di correre nel nostro amato circuito. Eravamo nella corsia dei box, vicino alla Torre Marlboro. Più indietro c’erano degli uomini con la maglia bianca. Da dentro il box si sentiva un rumore assordante. Un uomo alto, vestito di rosso, parlava animatamente con uno di quelli con la maglietta bianca. Gli diceva qualcosa, indicava noi.

Uno di questi uomini in bianco arrivò vicino a noi e ci chiese di metterci da una parte, perché Schumacher voleva uscire a provare la macchina un’ultima volta prima che facesse buio.

A sentire quel nome non mi sembrava vero. Ci facemmo piccoli piccoli contro il muro. Sentimmo quel suono farsi sempre più intenso, poi una punta rossa con sotto un largo vassoio nero uscì da uno di quei garage. Era la Ferrari, quella che avevo visto in TV! Riconobbi il casco, bianco, azzurro con le stelle sopra e con la bandiera tedesca ai lati. Era Schumi! Era lui che mi aveva chiesto di lasciarlo andare, di farlo passare, per fare un ultimo giro sulla sua F310!

Mi passò a pochi metri, immerso dentro quella meravigliosa auto rossa che già avevo imparato a conoscere, impegnato solo su un obiettivo. Riportarla a vincere, per la nostra gioia.

Auguri Schumi, buon compleanno. E grazie per essere un’ispirazione per tanti.

La pole position di Michael Schumacher alò Gran Premio di San Marino 1996 (YouTube – nachodinos3, copyright to the owners)

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