Virtus Bologna
In alto stat Virtus, ricordi di un tifoso dopo l’ultimo Scudetto
Lo Scudetto della Virtus 2025, il diciassettesimo, è un modo per ricordare i trionfi vissuti da Luca Ferri nella sua lettera aperta
Dopo aver ripreso a scrivere per la vittoria del Bologna della Coppa Italia, l’amico ed ex collaboratore Luca Ferri ci manda la sua terza “lettera aperta”, passando questa volta al basket, per la vittoria del diciassettesimo Scudetto della Virtus. E noi come al solito, raccogliamo e pubblichiamo volentieri i suoi sentimenti e la sua voglia di condividerli con tutti i tifosi, perchè nascono dal fattore comune dell’amore per una maglia, in questo caso quella della Virtus.
In alto stat Virtus
Me li ricordo bene quei 10 scudetti.
Eccome se li ricordo.
Tutto cominciò quel giorno di settembre 1973, in cui chiesi a mio padre se a Bologna c’era una squadra di basket e lui, tifoso rossoblù da sempre, ma di sicuro non esperto di pallacanestro, disse, senza esitare, quella parolina magica: VIRTUS. Fu in quel momento che, oltre al mio amato Bologna, entrò nel mio cuore per sempre la V Nera. E devo dire che, in questo caso, la fortuna mi ha baciato.
Dopo un paio d’anni, nel campionato 1975/76, insieme al primo abbonamento arrivò anche il mio primo Scudetto e i miei eroi erano Charlie Caglieris, Bertolotti, Antonelli, Driscoll, Gigione Serafini e l’allenatore Dan Peterson.
Avevo 11 anni, ma chi se la scorda più quell’emozione.
Altri Scudetti, altri “idoli”
E poi venne il 1978 e, con lui, il vescovo mormone Kresimir Cosic. Il Creso fu protagonista per anni delle mie partitelle al campetto, perché ad ogni tiro immaginavo di essere lui, con quel suo modo distaccato di comandare il gioco e di guidarci alla vittoria. Due anni di Cosic alla Virtus e due scudetti.
Nel 1979 sbancammo Milano, vincendo 113 a 94 una memorabile partita e nel 1980 stesso finale da sogno, questa volta vincendo di 3 punti a Cantù. In quei due scudetti consecutivi, un eroe indimenticabile fu anche Renatone Villalta, cecchino infallibile e grande uomo, con l’aiuto, il primo anno, di Owen Wells e, il secondo anno, di un altro dei miti della mia adolescenza, Jim Mc Millian, il “Duca nero”. Un giocatore pazzesco, la perfezione assoluta, un vero manuale del basket.
E se ci fosse stato lui, in quel maledetto 26 marzo 1981, giorno della nostra prima finale di Coppa dei Campioni, persa di un punto col Maccabi Tel Aviv, non sarebbe finita così. Il Duca sarebbe stato più forte di tutto, anche di quell’arbitraggio vergognoso.
Ma veniamo al 1984, allo Scudetto della stella, a quelle 3 partite di finale con Milano, ad Albertone Bucci allenatore, alla mia felicità dopo la prima vittoria 86 a 82 al palazzone di San Siro, alla delusione atroce della sconfitta di 4 punti in casa, in una seconda partita da infarto, per finire alla gioia, all’incredulità, al tripudio di quell’ultimo atto a Milano, vinto 77 a 74, con una partita irripetibile di Villalta, suggellata nel finale da una schiacciata del mio nuovo eroe, Roberto Brunamonti da Spoleto, il numero 4, il nostro “capitano”.
Una pausa senza Scudetti, ma sempre con amore
Nel decennio successivo, in assenza di scudetti, ricordo soprattutto un grandissimo campione, Michael Ray Richardson, ex stella dell’NBA, caduto in disgrazia per problemi di droga.
Il volo del leggendario SUGAR con la V nera sul petto è durato 3 anni, in cui abbiamo vinto una Coppa Italia e una fantastica Coppa delle Coppe nella finale di Firenze contro il Real Madrid.
Era il 17 marzo 1990 quando cinquemila bolognesi riempirono il palazzetto per gioire di quel 79 a 74 insieme a Brunamonti, Richardson, Clemon Johnson, Lauro Bon, Gallinari, Coldebella, Binelli e Sylvester.
Un triennio magico per la Virtus
Due anni dopo, nel campionato 1992/93, iniziò il nostro triennio magico, con 3 scudetti vinti e un gruppo di italiani che hanno fatto la storia. Oltre a Brunamonti, Claudio Coldebella, Gus Binelli, Flavione Carera, Paolino Moretti, Ricky Morandotti e Picchio Abbio.
Contribuirono ai trionfi, nel 1993 Bill Wennington, nel 1994 Russ Schoene e nel 1995 Joe Binion, ma il filo conduttore, il collante, la polvere magica di quei successi fu il nostro profeta, Predrag Danilovic.
Quello che ha rappresentato Sasha per noi virtussini è impossibile da spiegare. Lui è stato tutto ciò che un tifoso può augurarsi per la propria squadra. Un giocatore formidabile, freddo, spietato, votato alla vittoria e pronto a tutto per aiutare i compagni. Se esiste il prototipo del condottiero, del guerriero, del leader, beh, allora non può essere che il nostro numero 5.
E per vincere il mio ottavo Scudetto da tifoso cosa doveva succedere? Che, dopo due anni in NBA, tornasse dagli USA Sasha, a mostrarci di nuovo i suoi miracoli. E quella stagione fu veramente un miracolo, con la prima vittoria in Eurolega, in una Barcellona invasa da seimila virtussini e diventata bolognese per 3 giorni.
Scudetto 1998, un anno “santo” per la Virtus
Il 23 aprile 1998, battendo per 58 a 44 l’AEK Atene, la Virtus di Danilovic, Savic, Rigaudeau, Binelli, Morandotti, Abbio, Nesterovic, Sconochini e Frosini ci regalò la prima delle grandi gioie di quell’anno santo.
La seconda doveva ancora venire, nel maggio sportivamente più folle della vita di noi virtussini. Finale scudetto Virtus Fortitudo, il massimo per uno sportivo bolognese, ma un attentato alle coronarie per chi vive il basket come me.
- Gara 1 in casa Virtus, 81 a 80 per la Fortitudo
- Gara 2 in casa Fortitudo, 78 a 76 per la Virtus
- Gara 3 in casa Virtus, 76 a 69 per la Fortitudo
- Gara 4 in casa Fortitudo, 59 a 57 per la Virtus
E veniamo a gara 5, di nuovo in casa nostra.
Partita condotta dalla Fortitudo, praticamente già persa dalla Virtus e salvata a 18 secondi dal famoso tiro da 4 del nostro Sasha, che ha dato inizio a un supplementare dominato e vinto 86 a 77, con uno show del ragno bianconero. “C’è chi può e chi non può, io può”, diceva Danilovic, ridendo, davanti alle telecamere. E mai come in quella domenica di fine maggio questa frase fu vera.
La sVirtus dei record e la vittoria “sotto” Covid
Poi venne l’anno 2000/01, in cui la squadra dei record, la formazione più forte mai vista in Italia su un campo da basket, vinse il triplete, Coppa Italia, Scudetto ed Eurolega.
Era la Virtus di Ginobili, Jaric, Griffith, Rigaudeau, Smodis, Abbio e Sconochini, una corazzata invincibile, l’ultimo abbagliante raggio di sole prima di un ventennio buio, con una radiazione e una retrocessione, alternate a rarissimi momenti di gioia, vedi le due promozioni, una finale Scudetto e una coppetta europea.
Il mio decimo Scudetto da tifoso, nel 2021, in pieno Covid, è stato illuminato da una stella splendente, un giocatore straordinario, il più talentuoso playmaker che abbia mai visto giocare in oltre 50 anni di basket. Sto parlando del “MAGO”, di Milos Teodosic, un giocoliere capace di incantarti e, al tempo stesso, di farti vincere uno Scudetto insperato, con un incredibile 4 a 0 all’odiata Olimpia Milano e una fantastica Eurocup l’anno successivo, al termine di un’emozionante cavalcata.
Lo Scudetto 2025 della Virtus, rocambolesco a dire poco
Ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati finalmente ai giorni nostri, al 2025, all’anno più strano, assurdo e rocambolesco mai vissuto da quando seguo le V nere.
Partiamo dalla premessa: dopo una vita in curva, non ho fatto l’abbonamento, stremato da 3 finali Scudetto perse in 3 anni e da una dirigenza che, negli ultimi tempi, mi aveva fatto riaffiorare antichi fantasmi e sinistri presagi, ma anche ammaliato da un Bologna europeo che stava per farmi vivere la stagione più gloriosa degli ultimi 50 anni, con la vittoria della Coppa Italia.
Quindi, durante un anno complicatissimo, ho visto poche partite al palazzo e ho sofferto da casa. E di sofferenza si può veramente parlare, considerando il penultimo posto in Eurolega, con 25 sconfitte, solo 9 vittorie e alcune batoste che hanno fatto veramente male, soprattutto in un mese di marzo da dimenticare.
In campionato, dopo una stagione modestissima, con 7 sconfitte nelle prime 23 partite, un filotto di 7 vittorie consecutive nell’ultimo mese e mezzo ci ha regalato un insperato primo posto nella griglia play off.
E a un certo punto, una squadra con almeno un paio di cronici punti deboli, con alcune assenze importanti, reduce da un anno di rimpasti societari e con la previsione di un budget dimezzato e di un ridimensionamento dato da giocatori fondamentali già sul piede di partenza, ha deciso di unirsi con un patto d’acciaio, creando, soprattutto a partire dagli ultimi minuti di gara 5 con Venezia, partita ormai persa, un blocco granitico e praticamente invincibile.
Da quel momento, con 7 vittorie e una sola sconfitta, la Virtus ha prima eliminato Venezia, poi spazzato via Milano con due vittorie clamorose in trasferta e, per finire, battuto 3 a 0 Brescia nella finale Scudetto, con una terza e decisiva partita assolutamente perfetta.
Il bilancio di una vita passata a tifare Virtus
E quindi, escludendo il 1998, se dovessi dire quale è stato lo Scudetto più bello di quelli vinti dal 1973 a oggi, direi questo, il mio undicesimo, il più sporco, il più sofferto, il più incredibile, quello che nessuno avrebbe immaginato e pronosticato dopo le umiliazioni in Eurolega, dopo essere stati sotto di 9 punti a pochi minuti dalla fine con Venezia e dopo aver perso di 20 gara due con Milano.
Grazie Toko, campione infinito e grande guerriero; grazie Alessandro, cuore virtussino e nostro orgoglio; grazie Marco, meraviglioso capitano; grazie Isaia, Daniel, Brandon, Matt, Mouhamet, Nicola, Ante e Will. Grazie per avermi fatto emozionare a 60 anni ancora di più di quel primo Scudetto del 1976. E grazie per aver fatto di nuovo risplendere la mia amata V nera.
E un ultimo abbraccio fortissimo a te, Achille, per quanta passione hai messo in ogni minuto giocato con la casacca bianconera e per la tua partita più importante, che vincerai anche grazie alla splendida dedica dei tuoi meravigliosi compagni.
Questo atto d’amore per la mia squadra può finire solo con le parole cantate migliaia di volte sulle gradinate: il cuore bianconero batte ancora, la nostra lotta è cominciata ora.
Forza Virtus.
Luca Ferri
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