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Che scudetto per la Virtus Segafredo! Ma ora non si rompa questo giocattolo meraviglioso

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foto Virtus Pallacanestro

 

 

È stata la vittoria di Sale Djordjevic, su questo non credo possano esserci dubbi, Un’impresa come quella compiuta dalla Virtus Segafredo – non solo per il percorso netto nei play off, soprattutto per il 4-0 dato alla superfavorita Milano, terza squadra in Europa, guidata dal mitico Ettore Messina e con un roster iper milionario – se si è potuta concretizzare è ovviamente merito dei giocatori scesi in campo, fra i quali un fenomeno assoluto attorno al quale hanno gravitato campioni già grandi o quantomeno in fieri; tuttavia, la gestione del gruppo e le condizioni tecniche che lo potessero valorizzare al meglio sono tutte figlie di un allenatore che è stato, a suo tempo, un grande giocatore, un grande playmaker, ed è un enorme uomo  di basket a tutto tondo che ha saputo trasferire la sua scienza a questa Virtus Segafredo. Di lui qualcuno diceva non fosse un vincente: troppi secondi posti, nella sua storia di coach, compresi quelli di un’immensa Serbia. Djordjevic ha smentito tutti distruggendo in pratica il progetto del vincente per antonomasia, sul suolo italico, in un anno oltretutto in cui se è rimasto dov’è è quasi un caso, dopo il teatrino autunnale che tutti conosciamo bene. Confesso che pure io ad un certo punto ho peccato di alterigia non condividendo in pieno talune sue scelte che per un momento potevano apparire poco funzionali: ben contento di essere stato smentito (anche se per la verità ogni volta ho sempre premesso che la logica fosse quella che doveva avere ragione lui) perché una vittoria come questo scudetto alla fine non fa bene solo alla Virtus e ai suoi tifosi, ma all’intero pianeta cestistico che poteva sembrare soffocato dalla superiorità ostentata dal titanismo del progetto-Armani. Tutti, o quasi, pensavano che in Italia avrebbe vinto a mani basse; dico quasi perché certuni (e scusate se mi ci infilo anch’io, ma questo scrivevo già in occasione della Supercoppa) individuavano possibili mismatch, per esempio, sul piano fisico: certo, Milano aveva un roster lunghissimo per contrastare un possibile surmenage, ma sul piano della stazza e della reattività fisiche si vedeva già che potenzialmente i virtussini avevano qualcosa di più. Per tutta la stagione, causa anche Covid ed infortuni, poteva essere parso di no; certe scelte sulle rotazioni di Djordjevic lo lasciavano anche percepire. Poi, il capolavoro di queste finali. Immagino che i giorni di sosta pre e durante i playoff possano essere stati utili come richiami anche da un punto di vista fisico. La sconfitta con Trento, le prestazioni bruttine contro Treviso erano figlie di gambe appesantite? Fatto sta che se alla base c’era una programmazione si deve riconoscere essere stata eccellente, tanto che i giocatori dell’Olimpia probabilmente sogneranno a lungo di notte la reattività difensiva dei bolognesi. Loro, che si vantavano di essere fra i meglio organizzati in Europa. Ovvio che poi devi avere un “SanTeodosic” che guida la nave come solo lui sa fare; un Markovic da antologia del basket (si è capito quanto sia costata la sua precaria condizione fisica contro Kazan?); un “Pajolic” sempre più sulla strada di diventare l’erede del capitano virtussino per eccellenza; uno Weems che ha riscattato con gli interessi  quanto di discutibile potesse aver fatto in alcune occasioni precedenti; un Belinelli che farà anche arrabbiare, a volte, in difesa, ma la zampata del campionissimo alla fine la mette praticamente sempre (fra parentesi, nessuno ha mai vinto in Italia come lui: anello NBA, gara da 3 all’All Star Game, doppio scudetto a Bologna ed alcuni ancora preferiscono cercarne i difetti invece di tesserne gli elogi!) e così via, ce ne sarebbero per tutti perché la qualità del gruppo è stato uno dei segreti principali, ancorché a tratti sottovalutato, di questa Virtus Segafredo

Che, appunto, si è dimostrata essere un giocattolo quasi perfetto e sarebbe un delitto romperlo; sì, piccole addizioni potrebbero essere logiche. Io, nella mia ignorante sicumera, suggerirei il solo acquisto di un lungo di stazza che tiri anche da fuori, che possa giocare da 4 e all’occorrenza da 5. Chiaro che un Melli sarebbe il massimo, ma non osando sperare in un simile regalo dal pur lungimirante Massimo Zanetti ci si potrebbe accontentare di un nuovo Ksistof Lavrinovic, se in giro ce ne fosse uno (aggiungete emoticon che ride). E io terrei pure il bistrattato Josh Adams, perché nella prospettiva di un anno lunghissimo potrebbe allungare con profitto le rotazioni in particolare in campionato, dove ha dimostrato di poter comunque dare soddisfazioni considerevoli, mentre non si può trascurare il peso della carta d’identità dei dioscuri serbi e delle divinità di Persiceto. Insomma, il detto squadra che vince non si cambia a volte è ingannevole, ma mai come nel caso di questa Virtus Segafredo potrebbe rivelarsi fondamentale per dare continuità ad un progetto che si è dimostrato, alla lunga, inequivocabilmente vincente. Così, passata la sbornia del dopo scudetto, il tifoso potrà cominciare a rivivere l’ansia per quello che accadrà.

Ma una soddisfazione come quella di questo scudetto, uno probabilmente dei più clamorosi della storia, per come si è concretizzato (una vittoria tanto netta fa davvero storia, se poi si pensa, oltretutto, come fosse in pratica l’altro ieri quando la Segafredo si affacciava per rilevare una società agonizzante…), rimarrà in ogni caso per sempre.

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