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A TU per TU – Carlo Nervo: “Bologna mi ha dato tanto. Gazzoni un signore, Mazzone un padre. Quel gol al Siena…”

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minutidirecupero.it


Ci sono calciatori e calciatori. C’è chi non viene ricordato troppo spesso e chi, invece, rimane per sempre stampato nelle menti dei tifosi. Carlo Nervo è uno di questi. 13 anni in rossoblù, 417 presenze all’ombra di San Luca: è stato un pilastro, per Bologna e per il Bologna. Abbiamo ripercorso insieme la sua carriera in rossoblù, tra ricordi emozionanti e rapporti speciali.

La prima cosa che le viene in mento se le nomino Bologna?

“Lo stadio Dall’Ara”.

Perché?

“Ogni domenica lì era una festa, e per 350 ho avuto modo di gioire giocando in quello stadio stupendo”.

Perché Carlo Nervo e il Bologna devono per forza essere presi insieme e non separati?

“Ho fatto 13 anni in rossoblù, abbiamo fatto insieme una scalata dalla C alla semifinale di Coppa Uefa: Bologna è stato il mio mondo”.

Continuiamo per nomi: Giuseppe Gazzoni Frascara.

“Era un signore, non se ne vedono più così. Lo era in tutti i sensi: nell’atteggiamento, nell’eleganza, aveva creato una famiglia. Ha contribuito molto a far conoscere il Bologna in giro per l’Europa”.

Per un 23enne come lei, trovarsi Renzo Ulivieri come allenatore, era un trauma o una fortuna?

“Ho sempre detto che il mio primo giorno di allenamento ebbi un trauma, poi siamo stati 4 anni insieme dove da lui ho imparato molto, ad esempio come stare in campo. Ho imparato a diventare un professionista serio: devo molto a lui”.

E’ più difficile o più entusiasmante giocare in una piazza come Bologna, vista l’esigenza dei tifosi?

“Senti tanta responsabilità, all’inizio non è mai semplice: la gente però è fantastica, ti segue sempre e non ti abbandona mai. I tifosi rossoblù sono molto attaccati alla propria squadra”.

Dopo il suo arrivo ci fu subito il doppio salto in A. Quanto diede Nervo a quella squadra?

“Eravamo un gruppo coeso, ci conoscevamo e l’ambiente era carico: avevamo grandi campioni come Andersson e Kolyvanov. Da lì abbiamo fatto un primo anno sorprendente, ci siamo sorpresi anche noi. Eravamo forti però, c’era poco da fare”. 

Il gol di Bresciani al 96′ contro il Chievo si può interpretare come un segno del destino?

“E’ stato un campionato difficile ma alla fine abbiamo raggiunto un traguardo ampiamente meritato. Il gol di Bresciani è stato il coronamento di una stagione faticosa, un’esplosione di gioia per tutti perché nel corso dell’anno abbiamo dimostrato di essere davvero una grande squadra”.

Nel 96/97 il ritorno in A. Quale doveva essere l’obiettivo stagionale?

“Dovevamo pensare alla salvezza, la presidenza non ci chiese altro. Il primo obiettivo doveva essere quello, poi come sempre una volta che raggiungi il tuo obiettivo puoi sognare”.

La stagione successiva arrivò Baggio. Con un calciatore così era doveroso pensare più in grande?

“Baggio è stato un grandissimo campione, siamo stati fortunati ad averlo in squadra con noi. All’inizio è stato difficile gestirlo, perché non riuscivamo a trovare un equilibrio in campo: poi arrivammo all’Intertoto, in campionato finimmo settimi quindi l’equilibrio, alla fine, lo trovammo”.

La sua cessione che colpo fu per l’ambiente?

“Fece male, ma nella vita ci sono scelte: sicuramente è stato molto importante averlo in squadra, poi la scelta l’ha fatta lui e io non mi permetto di giudicare”.

Nel 1998/99 arrivò Mazzone. Un’altra figura importante per lei.

“Un padre di famiglia lui, una persona squisita che aveva una grande mentalità nella gestione della squadra. Faceva sentire tutti importanti, anche quelli che non giocavano: aveva creato un clima piacevole, amavamo stare tra noi. Da lì, poi, arrivarono i risultati”.

Arrivò però la vittoria nella Coppa Intertoto. Che sapore ha una vittoria in campo europeo?

“Un significato enorme, una coppa europea ha sempre un sapore particolare perché davvero ti carica e ti emoziona. Sarà per sempre una gioia che mi porterò nel cuore”.

Ora le nomino invece lo Sporting Lisbona.

“Fu il mio esordio in Coppa Uefa in uno stadio dove un’italiana non vinceva da tanto tempo. Eravamo tesi, l’ambiente era complicato: ho avuto la fortuna di sbloccare il risultato e alla fine vincemmo la partita. La stessa cosa accadde al ritorno: diciamo che tutto andò bene”.

Perché quella con il Marsiglia fu una finale maledetta?

“Abbiamo giocato bene, loro erano forti ma nemmeno così tanto. Prendemmo un gol che non esisteva, poi ci fu caos: questo è un grande rammarico”.

Nel ’99 altro allenatore nella sua carriera: arrivò Guidolin.

“Rispetto a Ulivieri e Mazzone aveva modi diversi nella gestione del gruppo, Guidolin aveva un’impronta più tattica: i suoi allenamenti erano più veloci, nel suo sistema di gioco dovevi sempre pressare molto alto. Con lui eravamo quarti quella stagione, poi abbiamo perso a Brescia e il campionato si concluse male”.

Il gol segnato in campionato che ricorda con più gioia?

“Il primo in Serie A, a Verona, è uno di questi. Era la seconda giornata di campionato. Il più bello, però, è stato contro il Siena in una gara vinta a Bologna”.

Nel 2004 tornò Mazzone. Lei crede, ha mai creduto ai ritorni romantici nel calcio?

“Difficile parlare di minestre riscaldate, a volte però succede. Molto dipende dal legame tra le due parti, credo però che questi ritorni nella maggior parte della volte non funzionino”.

Poi arrivò la retrocessione.

“Il mio rimpianto più grande, da allora non mi son più ripreso. Eravamo partiti anche bene, poi ci mancavano pochi punti per salvarci. Abbiamo iniziato a pensare “dai, vinciamo la prossima”, e ogni domenica pensavamo così. Alla fine non vincemmo più”. 

Quali sono stati i tre passaggi fondamentali nella sua esperienza al Bologna?

“La vittoria della Serie C, la vittoria della Serie B e l’esordio in Serie A”.

Cosa ha dato Nervo al Bologna e il Bologna a Nervo?

“Il Bologna mi ha dato tanto, tantissimo. Io in 13 anni ho dato tutto quello che poteva dare, non ero un grande campione ma mi sono sempre impegnato per dare il massimo: a volte ci son riuscito, a volte un po’ meno ma l’importante è aver dato tutto”.

 

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