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Polvere di stelle: BRUNO CONTI – 7 apr

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L’ALA DELLA FANTASIA

Aveva un sinistro fatato, Brunetto Conti, nato a Nettuno, in provincia di Roma, il 13 marzo 1955 in una famiglia numerosa quanto povera,il padre muratore, sei tra fratelli e sorelle, uno stanzone a pianterreno come casa. Ma, soprattutto, aveva quel luogo di nascita, che escludeva di poter “nascere”allo sport senza una mazza da baseball tra lemani. Nella squadretta della parrocchia San Rocco, il lanciatore Brunetto Conti faceva faville: «Un giorno mi videro e vennero a parlare con mio padre per portarmi via. Dissero che a Santa Monica,in California, avrei studiato e fatto fortuna con questo sport. Mio padre non volle. Il figlio, finché posso, finché ho queste mani, me lo tengo, disse. A me lì per lì dispiacque, l’America è sempre l’America». Finì che, convinto da alcuni amici, provò il sinistro con un pallone di cuoio e si ritrovò a un provino per la Roma del mago Helenio Herrera, che tuttavia scosse il capo: troppo piccolo, troppo individualista, nada de nada. Qualcun altro lo vide, d’estate in un torneo dei bar. Si chiamava Biti, era allenatore e talent scout e rimase rapito dal piccolo fenomeno che faceva vincere le partite. Ma non fu facile diventare fuoriclasse. Il fisico,piccolo e gracile, non aiutava. Ripetuta la quinta elementare, portato con sé dal padre muratore e poi dirottato verso un lavoro meno pesante (garzone nel negozio di alimentari della sorella), la segnalazione di Biti lo proiettò tra i ragazzini del Nettuno; da li si trasferì a Latina, all’Anzio, e finalmente il cerchio si chiuse, a diciassette anni, nelle giovanili della Roma. A diciannove anni, dopo l’esordio in A una sfilza di dribbling in un fazzoletto contro la Juve , venne mandato tra i cadetti, al Genoa, dove diede spettacolo, riguadagnando la Capitale. Per sfondare, però,non bastava il suo senso un po’ anarchico del gioco e i ricami a zigzag gran prelibatezza del pubblico. Si ritrovò di nuovo al Genoa, quando la Roma volle Pruzzo nel motore. Il ragazzo reagì talmente male da buttar via la stagione, scoraggiando i dirigenti rossoblù.Tornato alla Roma, trovò Liedholm. Il maestro di cui aveva bisogno per inalveare l’immensa classe in sentieri tattici produttivi. Il campione sbocciò d’incanto, diventando tornante puro. L’altro maestro fu Enzo Bearzot, che come successore di Causio anziché puntare su Bagni o Novellino inquadrò lui. Nacque una delle ali più formidabili della storia. L’ondeggiare al vento della sua criniera di veloce puledro, il saettare delle finte, ora di qua, ora di là come folgorato da pensieri diversi e intrecciati, l’invenzione del passaggio, la conclusione, rara ma preziosa, gli spostamenti imprevedibili sulla scacchiera. Sul palcoscenico di Spagna ’82, Pelé lo eleggerà il migliore. “Brunetto” intanto si è fatto grande: la sua taglia fisica (1,69 per 65) si è moltiplicata nei tanti Bruno Conti capaci di indirizzare partite e campionati. E l’idolo di Roma che con Falcào e Pruzzo vince lo scudetto nell’83. Resta a lungo il vessillifero della Nazionale e anche il tramonto ha riflessi dorati. Lascia a 35 anni, da intemo, nel pieno splendore, con 304 partite e37 gol in A, tutti nella Roma, 47gettoni e 5 reti in azzurro, uno scudetto e 4 Coppe Italia.

Carlo Felice Chiesa

(Calcio 2000 n°17)

 

 

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