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Bologna

Stadio – Un Braveheart rossoblù di nome Lewis

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E a Bologna garrisce sempre di più la bandiera di Sant’Andrea, da quando sotto le due torri sono arrivati giocatori scozzesi, prima Aaron Hickey e poi Lewis Ferguson, centrocampista trequartista (ma anche tuttocampista all’occorrenza); ma la colonia, in estate, potrebbe aumentare, viste le indiscrezioni che arrivano da oltremanica.

Questa intervista, rilasciata a Stadio, racconta di un Lewis Ferguson a tutto tondo, in campo e in famiglia e di questa sua presenza a Bologna, presenza che lui stesso vuole far proseguire (“Si resto. Mia figlia è bolognese. Prima io e Lauren (sua moglie, ndr) stavamo più in relax, adesso il rumore è aumentato ma è tutto più bello“). E sulle voci di mercato racconta che sono solo “rumors” e che un giorno, per la sua carriera, vuole giocare a livello più alto possibile. Legittimo, ma vista la giovane età, ci sono ancora un paio d’anni in rossoblù, almeno, da vivere in maniera intensa.

LA CLASSIFICA

Il presente si chiama Atalanta (“Ogni partita è uguale, le dobbiamo affrontare tutte  con la stessa mentalità. A Bergamo ci andiamo per vincere, concentrati, intensi, aggressivi. Se poi va bene pensiamo al resto“), ma nel retropensiero esiste un traguardo Europa (“E’ possibile, ma è complicato. Siamo concentrati sul prossimo match. Alla fine vedremo quanti punti avremo fatto. Ogni giocatore vuole giocare la Champions, io non faccio eccezione. E l’Europa è un obiettivo che sarebbe bello per il club. Noi ci pensiamo, quando sei lì, è normale. Ma non vogliamo parlarne per non deludere nessuno“).

THIAGO MOTTA 

E se il Bologna oggi gioca bene e ragiona in chiave Europa e se Lewis vuole restare ancora, il segreto sta soprattutto in un nome: Thiago Motta (“Lui ha portato un cambio di mentalità, coesione, positività, ma anche grandi allenamenti fisici. Siamo migliorati tanto. Ha portato il salto di qualità. Lavora sia sulla tattica sia sulla libertà d’azione: lui cambia molto, ogni partita è preparata in maniera diversa, con tante soluzioni, guarda molto alla tattica, la libertà ce la lascia, soprattutto davanti, non ci ingabbia con movimenti specifici, ci lascia liberi di muoverci e di trovare soluzioni offensive”). Un allenatore che “nasconde” le sue formazioni (“Durante la settimana ci alleniamo, ma poi il mister cambia spesso le casacche, non sappiamo niente“), che può anche arrabbiarsi (“Nell’intervallo o dopo una partita che ci è andata male: per esempio contro l’Udinese, sia all’andata che al ritorno”), ma che aiuta ogni suo giocatore a mantenere alta la concentrazione e a dare tutto il meglio di se stesso (e la classifica lo conferma).

BOLOGNA E LA FAMIGLIA

Lewis viene da una famiglia di calciatori (“Mio padre e mio zio sono stati professionisti, ho preso l’esperienza da loro, sono cresciuto in questo clima: erano tutti e due buoni giocatori e io dovevo spingere per arrivare a quel livello. Ora per me è un piacere”), dove lo zio aveva indossato la maglia dei Rangers, come Marco Negri (“Con Marco ho parlato, mio padre aveva il numero di telefono, mi ha dato consigli, mi ha anche detto che se avevo bisogno di lui, lui c’era. E’ stato gentile”). La sua famiglia appena può lo raggiunge (“Mio fratello Ross è stato qui fino a due giorni fa, ha visto la partita con l’Udinese; i miei genitori verranno per la partita contro il Milan“), perchè a Bologna si sta bene (“Non è stato facile all’inizio, avevo cambiato paese per la prima volta, ero nuovo la mia compagna era incinta, era difficile l’adattamento, la lingua, stare concentrato. Quando è arrivato Motta ho cominciato a crescere, a sentirmi meglio, più a mio agio, a sentirmi più importante in campo, mi ha dato chance e…tutto bene”), tanto che la figlia Lake (la primo genita della famiglia) è nata qui, perchè la città gli è entrata nel cuore. Come è successo ad altri giocatori, italiani e stranieri, perchè… Bologna è una regola.

 

(Fonte Giorgio Burreddu – Stadio)

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