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Calcio

Freddy Adu, il rapido declino del Pelé americano – 22 feb

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U.S.A., 4 ottobre 2005
In America esce il nuovo capitolo del videogioco di calcio più famoso del mondo, “FIFA ’06”. In copertina, per il mercato “yankee”, troneggia Ronaldinho, idolo del Barcelona e che sarà a fine anno Pallone d’Oro. Al suo fianco due giovani talenti continentali: il messicano Omar Bravo e il ghanese naturalizzato americano Freddy Adu. Il primo, che ha all’epoca 25 anni, calerà negli anni il proprio rendimento ma si ritaglierà comunque una rispettabile carriera in Messico, dove attualmente veste la maglia del Guadalajara. Per il secondo, invece, è tutta un’altra storia. Si dice che sia il talento mondiale del domani. Americano. Ci sono tutti gli ingredienti per una storia assurda e bellissima: il profeta – venuto dall’Africa – che porta finalmente il calcio in America grazie a velocità, dribbling, tecnica e gol.
 

Tema, Ghana, 2 giugno 1989
Freddy, che all’anagrafe si chiama Fredua Koranteng, è nato a Tema, piccola città portuale nella Regione della Grande Accra, in Ghana. Si sa che in Africa l’anagrafe non è così efficiente, così bisogna fidarsi di quel che dicono i documenti, che recitano alla data di nascita il 2 giugno 1989. Sarà un argomento che in futuro verrà discusso molte volte, anche per spiegare la precoce ascesa e il rapido declino di questo campioncino, ma ad oggi non ci sono prove che quella ufficiale non sia la sua vera data di nascita. Fin da piccolo Freddy si appassiona al calcio, ed è così bravo che salta in un soffio tutti i vari livelli giovanili, che del resto in Africa non sono ben definiti. A 7 anni gioca tranquillamente con ragazzi che di anni ne hanno quasi il triplo, c’è chi a vedere quel bambino già se lo immagina con la maglia delle “Black Stars” nazionali, ma quando Freddy ha 8 anni i suoi genitori vincono la lotteria valida per la “Green Card”, il permesso di soggiorno per gli Stati Uniti. Sarà lì che Freddy crescerà, bruciando come sempre le tappe: in un Paese senza tradizione calcistica uno così è chiaro che fa faville. Quando sei abituato a scartare e prendere calci da ragazzi di quasi vent’anni, i bambini della tua età che ostacolo possono mai essere?

Bradenton, Florida, 2002
Dopo aver fatto sfracelli a livello giovanile, Adu nella primavera del 2002 entra nella prestigiosa IMG Soccer Academy. Ha 13 anni, i suoi compagni dai 16 ai 18. Tra i tanti Jonathan Spector, che avrà esperienze anche in Premier League; Eddie Gaven, che arriverà a giocare diverse stagioni in MLS prima di ritirarsi abbastanza presto; Jonathan Bornstein, attualmente al Queretaro dove gioca insieme ad un certo Ronaldinho; Danny Szetela, adesso al NY Cosmos e visto da noi al Brescia; Robbie Rogers, famoso per aver poi dichiarato apertamente la propria omosessualità; Michael Bradley, il figlio dell’allora CT della Nazionale Bob e tra i più forti giocatori a stelle e strisce di sempre. Di tutti questi prospetti, però, appare chiaro ai vari allenatori che il più promettente, la punta di diamante, è Adu: un diamante certo da sgrezzare, pochi dubbi. È talmente forte, da sempre, che i compagni di squadra per lui sono quasi un ostacolo, gioca meglio da solo che in team, e questo ad alti livelli non va bene. Si pensa che sia un ostacolo che, lavorando, sarà superato, e intanto tutti si stropicciano gli occhi a vedere quel che sa fare con il pallone e quello che sa fare quando è lanciato in porta. Dal 2002 al 2003, con la Nazionale Under-17, 15 partite e 16 reti. Appena 14 anni. Tutto è pronto per fare sul serio.

Aprile 2004
L’esordio nel calcio dei grandi avviene nell’aprile del 2004: il DC United, che ha penato un bel po’ con la MLS per ottenere i servigi del giovane fenomeno, lo fa esordire nella prima gara stagionale, avversari i San Jose Earthquakes il 3 aprile. Il 17 aprile, due settimane dopo, ecco il primo gol nei professionisti, 15 anni ancora da compiere. Terminato però con la prima stagione l’effetto-novità, ecco le prime critiche e le prime panchine: Adu tutto sommato se la cava, resiste, nello United rimane tre stagioni (con in mezzo un provino per un altro United ben più prestigioso – il Manchester – che però si conclude in un nulla di fatto per via del permesso di soggiorno) e tutto sommato dimostra di poter stare nel calcio dei grandi. Viene ceduto al Real Salt Lake insieme a Nick Rimando, un giovane portiere che in seguito diventerà il migliore della Lega. Adu lascia il DC United dopo 87 partite distribuite in 3 stagioni e condite da 11 reti e 17 assist, numeri non da poco. Numeri che, uniti ad un Mondiale Under-20 (quello del 2007) dove gli USA superano anche il Brasile di Pato e dove Adu rifila una tripletta alla Polonia, valgono l’interessamento del Benfica, che in quel periodo sta cercando talenti un po’ in ogni parte del globo: dopo aver preso la promessa australiana Kaz Patafta, è il turno del ben più noto Freddy Adu, che è stato addirittura investito da Pelé come suo erede designato. Preso, e del resto i tifosi di Salt Lake City già lo sapevano, che uno così sarebbe durato poco lì. Già, perché intanto è arrivata anche la Nazionale USA maggiore: l’esordio nel 2006, 17 anni da compiere, in amichevole contro il Canada.

Estádio da Luz, Lisbona (Portogallo) 14 agosto 2007
Freddy entra al 37° del secondo tempo della sfida tra Benfica e Copenhagen. Sono i preliminari della prestigiosa Champions League, il trofeo per club più importante al mondo, e sono i primi minuti di Adu nel calcio europeo. La sua scalata è appena cominciata, Freddy ha 18 anni ed ha già raggiunto traguardi che nessuno dei suoi compagni in America ha mai anche solo sfiorato. Il mondo è ai suoi piedi, ma è ovvio che ci sarà da lavorare duramente: la prima stagione al Benfica il giovane talento americano, l’erede di Pelé, la vive da comprimario di lusso. Gioca 18 gare, segna 5 reti e fa vedere buone cose. Il Benfica non può aspettarlo, e non lo ha preso certo per inserirlo nella squadra giovanile: un prestito sarà la soluzione più adeguata, un periodo in una squadra con meno aspettative, che conceda a Freddy lo spazio necessario per far sbocciare il proprio talento. 

Shadowroom Club, Washington, 12 febbraio 2015

Abbracciato a quattro splendide ragazze, Freddy Adu è il protagonista della notte di Washington. È il PR del club? È semplicemente un ospite? Poco importa. Freddy Adu non è praticamente più un calciatore, avendo rescisso da poco l’ultimo contratto con una misconosciuta squadra serba dove non ha peraltro mai giocato. Che cos’è successo? Semplice, il principe non è mai diventato re, ma si è scontrato anno dopo anno con un mondo sempre più grande e forte di lui. L’anno dopo la prima bella stagione al Benfica andò al Monaco, in Francia: un anno, la miseria di 9 gare e il ritorno al mittente. Le “Aquile” provano quindi a darlo in Portogallo, al Belenenses, dove perlomeno riesce ad esordire dal primo minuto, ma si fa male dopo una mezz’ora e in pratica tutto finisce lì: 3 partite e via, dopo sei mesi il circo americano si sposta in Grecia, nel modesto Aris Salonicco. Qui Adu rimane un anno, fino al gennaio del 2011, giocando in pratica due mezze stagioni: nella prima gioca 11 gare e segna 2 reti, facendo gridare alla rinascita, ma nella seconda scompare, non gioca mai e finisce per tornare ancora una volta al Benfica.

Dove ormai, è chiaro, non sanno più che farsene: Adu ha ormai 22 anni, e del talento di un tempo non vi è che il ricordo sbiadito. Il prestito nella seconda divisione turca, al Çaykur Rizespor, potrebbe essere il punto più basso, ma non lo è. Un improvviso ritorno in America, dove comunque ha ancora un po’ di appeal e dove diventa l’uomo simbolo della neonata franchigia dei Philadelphia Union, può far credere per l’ennesima volta in una rinascita: la squadra è allenata dal suo ex-allenatore del DC United Piotr Nowak, il quale tenta di recuperarlo senza riuscirci. I numeri (41 gare e 10 reti in una stagione e mezza) ci sarebbero anche, ma Adu non è cresciuto, ha atteggiamenti da star, non sa giocare di squadra. In parole povere è “normale”, e né lui né chi gli sta intorno (club, tifosi, procuratori) riesce ad accettare la cosa. Ecco che arriva, rigorosamente in prestito, l’esperienza in Brasile al modesto Bahia. 6 mesi e poi addio, il contratto termina. Il 2014 è l’ultimo anno dove Adu tenta di tornare ad essere un calciatore vero: a febbraio fallisce un provino con il Blackpool, poco dopo non riesce ad impressionare nemmeno Bob Bradley, che allena i norvegesi dello Stabæk. A giugno prova ancora, stavolta è l’AZ Alkmaar in Olanda. Niente. Infine trova un posto nel campionato serbo: il club è lo sconosciuto Jagodina, il contratto prevede sei mesi con opzione per un altro anno. Ovviamente, scaduti i sei mesi, il contratto non viene rinnovato, anche perché nel frattempo Adu non è mai sceso in campo in campionato, giocando appena uno scampolo di gara in Coppa di Serbia. Davvero troppo poco.

Ed eccoci così alla fine, a dieci giorni fa: lo Shadowroom Club, le modelle, il calcio che sembra ormai un lontano ricordo ad appena 25 anni. La storia di Adu ricorda quella di tanti talenti bruciati precocemente, ma con in più la nota amara di una vita che fino ad un certo punto sembrava davvero quella di un predestinato, del campione che sarebbe stato raccontato in un film di Hollywood, l’uomo che portò il calcio in America. La storia di Adu ci ricorda che il talento non basta, che il mondo del calcio è sempre stato – e sempre sarà – estremamente selettivo, e che fare il calciatore professionista non è cosa da tutti. Certo, a vederlo sorridere nei club, attorniato da modelle, si può dire che al giovane Freddy non abbia detto poi così male. Eppure siamo convinti che al di là dei soldi, se Adu si ferma per un momento a pensare a quel giorno di tanti anni fa, quando Pelé disse al mondo che quel ragazzino era il suo erede, il magone arriverà. Sarà quel momento in cui Fredua Koranteng Adu si ricorderà di quello che una volta era il suo sogno: essere un calciatore, un campione. Un sogno che non si è mai avverato.

Sto raccontando la storia di diverse “meteore” del calcio. Qui sotto gli altri giocatori trattati fino ad oggi: 

– Ariel Huguetti, “il Maradona del Barrio Billinghurst”
– Breno, il campione finito in carcere
– Adrian Doherty, il quinto Beatle della classe del ’92
– “Foquinha” Kerlon, campione di sfortuna 
– Marco Macina, quello più forte di Mancini
– Kaz Patafta, più di una promessa

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