Calcio
Gattuso e l’Italia dei valori veri
Gli azzurri, assieme, valgono 822 milioni. Ma questo valore, quanto conta veramente per Gennaro Gattuso?
La Nazionale italiana vale 822 milioni, sesta al mondo per valore di mercato stipulato da Transfermarkt, ma Gattuso sembra voler costruire un’Italia che pesa più per spirito che per quotazioni. Un tesoretto umano che, tradotto in numeri, è la spiegazione di un movimento: club che vendono bene, giocatori che si esportano, giovani che esplodono.
Allora ecco la grande sfida di questa Italia: essere all’altezza dei propri milioni — ma anche saperli dimenticare quando comincia la partita.
Il paradosso azzurro
Rino Gattuso in visita a Casteldebole insieme a Vincenzo Italiano crediti Bologna Fc 1909
L’Italia ha in rosa Nicolò Barella (75 milioni), e uno dei difensori più quotati, Alessandro Bastoni (60). Eppure, le fondamenta del gioco di Gattuso poggiano sempre più su interpreti da valore medio-alto, ma da altissimo rendimento: Frattesi (30 mln), Buongiorno (22), Scamacca (25).
È la logica del ct: la Nazionale italiana non deve essere una vetrina, ma una fabbrica di certezze. Non conta il cartellino, ma il contributo. Questo si evince soprattutto dalla scelta, sempre più frequente, di introdurre i giovani: poca esperienza ma tanta freschezza. Quella freschezza che inevitabilmente serve a un Italia che non varca il Mondiale dal 2014.
L’Italia da 822 milioni, nella sua mente, deve somigliare più al suo Milan da guerrieri che a un portafoglio da Premier League.
Gattuso non è Spalletti, non costruisce schemi tattici: mette insieme uomini. E lo fa con un pragmatismo che, paradossalmente, ricorda Vincenzo Italiano: intensità, coraggio, fiducia in chi lavora.
In Nazionale, il campo paga più del mercato
A guardarla dall’alto, l’Italia è un insieme di numeri: 822 milioni totali. A guardarla dal campo, invece, è un esperimento.
Gattuso sta provando a dare un senso a una generazione che il mercato ha raccontato in cifre, ma che deve ancora dimostrare quanto vale direttamente sul prato verde.
Perché, alla fine, se c’è una cosa che il calcio insegna — a Bologna come a Coverciano — è che nessun algoritmo sa calcolare la fame di chi gioca per una maglia.
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