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I Racconti del Commissario – Un’ Honda da Motor Valley

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Odi et amo

Il rapporto tra Honda e la Formula 1 è quanto di più vicino possa essere accostato all’amore ed odio nel mondo dell’automobilismo sportivo. Una storia fatta di sfide coraggiose, dolorose uscite, roboanti trionfi e sconcertanti sconfitte. Il primo atto è quello dell’esordio in prima persona nel 1964, con la coraggiosa RA271 ed il suo 12 cilindri posteriore trasversale, conclusosi tre anni dopo con il rogo mortale della RA302 di Jo Schlesser a Rouen. In mezzo ci fu il tempo per cogliere i primi allori, prologo al ben più ricco secondo atto vissuto come costruttore di motori dal 1983 al 1992. Fu il periodo di maggior splendore per la casa di Hamamatsu con i mondiali vinti da Williams e McLaren ed i trionfi delle leggende Piquet, Prost e soprattutto Ayrton Senna, prima di cedere lo scettro di motorista “re” della massima formula alla Renault.

 

Presenze mascherate

Honda però rimase sempre con un piedino in Formula 1 finanziando l’attività della “consociata” Mugen, studio ingegneristico di proprietà di Hirotoshi Honda (figlio del fondatore Soichiro) Masao Kimura, che realizzò propulsori per TyrrellFootworkLigierProst e  Jordan cogliendo quattro vittorie tra il 1996 ed il 1999. Stiamo parlando comunque di un brodino per un grande costruttore voglioso di mostrare le sue potenzialità vincenti sul massimo palcoscenico mondiale. Una clamorosa “réntrée” che sembrava solo questione di tempo per tutti gli addetti ai lavori. Peccato che, come spesso accade agli uomini del sol levante, vi fosse un po’ di incertezza sulle modalità del ritorno diretto in pista sul finire degli anni novanta dello scorso secolo. Proprio in quel momento nacque uno dei progetti più interessanti e dimenticati della storia delle auto nipponiche…

 

Eterni indecisi

Nel 1998 in casa Honda si stava valutando seriamente un ritorno in prima persona nello sport a quattro ruote, ovviamente sul palcoscenico mondiale della Formula 1. Restava solo un grande dubbio tra i dirigenti del colosso orientale: ripresentarsi direttamente come costruttore di telaio e motore con una propria squadra ufficiale o solo come motorista? Insomma, entrare “all in” mettendoci faccia e risorse oppure fare affidamento sulle grandi conoscenze interne in ambito propulsori e legarsi ad una scuderia già vincente come fornitore? Il dubbio non era di facile soluzione ed ai “piani alti” si decise di non decidere. O meglio di non partecipare, ma comunque di scendere in pista. Come? Prima di tutto venne ingaggiato l’esperto e rispettato progettista britannico Harvey Postlethwaite, tecnico con decenni di esperienza e trovate geniali anche dalle parti di Maranello.

 

Per fortuna che c’è Dallara

L’obiettivo era chiaro: progettare ex novo un telaio per monoposto di Formula 1. Il profilo del cinquantacinquenne Postlethwaite, rimasto senza contratto dopo la scomparsa della Tyrrell, corrispondeva perfettamente al profilo ricercato dall’ufficio “risorse umane” della casa nipponica. Viceversa il designer inglese non si fece sfuggire l’occasione di lavorare per un’azienda di quelle dimensioni ed in breve tempo insieme ad altri reduci della scuderia del “boscaiolo” terminò quanto commissionato da Honda nella nuova sede scelta per la squadra a Brackley, a pochi chilometri dalla vecchia scuderia Tyrrell. Per la realizzazione materiale della vettura Honda per abbattere i tempi ed avere la più elevata qualità costruttiva garantita non ebbe dubbi rivolgendo la sua attenzione alla Motor Valley. La scelta fu infatti di legarsi ad un costruttore il cui nome rappresentava già di per sé una sicurezza: Dallara, eccellenza italiana nel mondo delle auto da competizione e non solo. Il telaio venne ovviamente accoppiato al propulsore Honda già pronto dopo le esperienze marcate Mugen e “voilà”, ecco pronta la RA099. La predestinata, la Formula 1 del ritorno.

 

La grande occasione

Restava solo la parte più complicata: fare girare la vettura e confrontarsi con la concorrenza. All’epoca il regolamento della massima formula che lasciava totale libertà alle squadre per l’effettuazione di prove private in pista era quanto di meglio il costruttore giapponese potesse desiderare. Già sul finire del 1998 venne programmato l’esordio sui circuiti con sessioni di test insieme alle altre scuderie ma senza l’assillo di dover preparare le competizioni. Si trattava di una possibilità da non perdere per poter saggiare le qualità tecniche della vettura confrontandosi con le future avversarie senza l’ossessione dei risultati. Il pilota designato per i collaudi fu un giovane già esperto, velocissimo ed in attesa della grande occasione. Il suo nome? Jos Verstappen. Accanto all’olandese si prevedeva di impiegare successivamente anche il campione di Formula Nippon Satoshi Motoyama, giusto per dare un’ impronta più nazionalistica al progetto.

Su tutti i giornali

Il momento tanto atteso dell’esordio in pista arrivò il 15 dicembre del 1998, quando la RA099 fece il suo primo collaudo all’ Autodromo “Riccardo Paletti” di Varano de’Melegari, in pratica a poche centinaia di metri da quella Dallara Automobili che aveva appena terminato l’assemblaggio la monoposto. Il primo collaudo venne seguito dopo pochi giorni da un secondo ben più probante test al circuito del Mugello. I risultati furono immediatamente incoraggianti: la vettura si mostrava affidabile e già abbastanza veloce. Visto il positivo esordio venne immediatamente varato un corposo programma di prove in contemporanea alle altre scuderie nel corso dell’annata 1999 in vista dell’esordio in gara l’anno successivo. Al momento dei test di Jerez in cui avvenne il primo confronto diretto con le avversarie il risultato fu se possibile ancora migliore. Verstappen portò la bianca vettura marcata Honda in testa alla lista dei tempi, guadagnandosi le copertine dei settimanali della stampa specializzata.

 

Il sogno infranto

Tutto sembrava andare bene per il progetto giapponese fino all’aprile del 1999 quando, durante una sessione di test a Barcellona, accadde l’irreparabile. Harvey Postlethwaite, l’uomo intorno a cui ruotava tutta la parte tecnica del progetto, venne a mancare per un improvviso attacco cardiaco. Fu un colpo molto duro per tutto il mondo della Formula 1 ed ancora di più per la sempre tentennante Honda, che decise di rinunciare al progetto di una sua squadra per legarsi alla neonata British American Racing (BAR) ed alla Jordan (già cliente Mugen) come motorista a partire dal 2000. Il legame con la prima delle due scuderie si fece via via più stretto, tanto che a partire dal 2006 la casa giapponese decise di acquisire interamente la squadra che divenne l’Honda Racing F1 Team. In pratica si completò diversamente il percorso che 7 anni prima si decise di interrompere bruscamente riavviando l’alternanza di uscite e rientri più o meno gloriosi che sarebbe continuerà con l’avvento della Formula 1 turbo-ibrida. Ma cosa resta della RA099? Vennero realizzate 6 scocche della monoposto, delle quali solo 4 scesero realmente in pista. Soltanto di una di esse si conosce il destino, per la precisione del telaio numero 3, conservato in una sala museale presso il Twin Ring Motegi, circuito di proprietà Honda. Delle altre non si hanno più notizie, quasi a dimenticare la storia di una vettura giapponese concepita in Inghilterra e nata nella Motor Valley. Una meteora che volò un solo inverno sui circuiti di mezza Europa prima che una dirigenza indecisa le spezzasse le ali.

 

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