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MARCO LUCCHINELLI – La stella tormentata dalla “Buona Fortuna”

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cuoreDesmo


“Ho capito che un vincitore vale quanto un vinto, ho capito che la gente amava me. Potevo fare qualcosa ma dovevo cambiare qualche cosa.” Per parlare di piloti bisognerebbe sempre avere questa canzone di Lucio Dalla in mente. Un richiamo dolce. Il suono di una canzone che va a ritmo di quattro oppure di otto cilindri. Il sommo Lucio Dalla in quella celebre canzone parlava di Ayrton e quando parli di Ayrton non sbagli mai. Eppure oggi non parliamo del talento brasiliano, ma grazie al suo spirito che contraddistingue ogni pilota, ci avviciniamo al protagonista della storia.  

La storia di oggi è la storia dei fantastici anni ’70 e ’80 del motociclismo italiano. Sono anche gli anni di Lucio Battisti e di “Un’avventura”: come quella di Marco Lucchinelli. Marco nasce Ceparana, frazione comunale di Bolano, provincia di La Spezia. Il pilota ligure è un’icona del passato, ma tutt’oggi è una presenza importante nel mondo dei motori. Apripista di uno stile di guida “pazzo” rispetto agli standard del periodo nel quale correva. Marco si è sempre fatto ben volere da tutti gli italiani per il suo talento fuori dagli schemi e il suo gusto melodico di vivere la vita in maniera libera, che richiama i tormentoni di quei anni: da Battisti a De André, passando poi per Vasco, ovviamente.

Emozioni Rock. Lucchinelli nella sua vita ha sempre dimostrato la sua passione per la musica, ma la sua passione più grande è quella delle due ruote. È il 1974 quando “cavallo pazzo” (questo il soprannome che gli veniva affibbiato) affronta la sua prima gara importante: la cronoscalata da Saline di Volterra a Volterra. L’esordio lo gasa, d’altronde se sei un cavallo pazzo, lo sei sempre, e decide di continuare questo sogno ricercando sempre il limite con ogni moto possibile, in ogni pista possibile. Un anno dopo arriva il momento sliding doors della sua vita: a soli 21 anni, il ragazzo di La Spezia incontra Roberto Gallina, che gli fa provare sul circuito del Mugello, una storica Laverda 1000 a tre cilindri, della categoria Endurance. Come in ogni storia che si rispetta, le avversità sono dietro l’angolo e Marco cade quasi subito, rompendosi il naso. L’inizio non è promettente ma i risultati ottenuti lo convincono. “Si! Questa è la mia strada”, si sarà detto Lucky (altro soprannome) dopo essere caduto. Decide quindi di iscriversi sia al campionato nazionale che nel motomondiale classe 350 utilizzando una Yamaha.

Negli anni ’70 ci troviamo ancora nell’era arcaica delle moto e i piloti iscritti al mondiale non partecipano solo a quella competizione, ma spesso svolgono altre gare, in altre categorie. Lucky, infatti, nello stesso anno partecipa ad altre prestigiose gare, tra cui le “24 Ore” del Montjuich (in una gara al cardiopalma), di SpaFrancoChamps, di Le Mans e la 1000 km del Mugello: dimostrando un grande talento nel guidare sulla pista bagnata, caratteristica che non perderà mai e che lo renderà il maestro del bagnato. Dopo un anno di transizione e di tante gare, nel 1976, Gallina lo affianca ad Armando Toracca, su una Suzuki nella classe 500cc. Lucky si dimostra subito veloce e ottiene buoni risultati, classificandosi quarto in classifica generale dopo due secondi, un terzo ed un quarto posto ottenuti nell’arco del campionato.

Uomo di provincia per le scuderie di “provincia”. Nel calcio, spesso si utilizza il termine “squadra di provincia” per intendere una squadra che non fa parte delle grandi città del nostro paese e che quindi non si possono permettere investimenti importanti. Nel mondo delle corse questo concetto si avvicina alla contrapposizione tra team ufficiali e team non ufficiali. Marco preferisce di gran lunga le case non ufficiali. Forse, perché sono più vere e sincere, come lui. Per questo motivo nel 1977 partecipa a tutte le competizioni con il Life Helmets Racing team. La scelta si rivela sbagliata, come quando vai dall’ortolano e chiedi al banco della carne. Marco si rende conto dopo sole poche gare che il team è in totale bancarotta, ma non si può più tornare indietro. Lucky è costretto al ritiro dal mondiale 1977 e butta via anche le due stagioni seguenti per motivi analoghi.

Alla vigilia della stagione 1980, in pochi credono ancora in Lucchinelli: le sue capacità e talento erano messe in discussione per il suo stile di vita. Oserei dire un po’ al di sopra delle righe, anche per via dei capelli lunghi e l’orecchino, che erano una rivoluzione per l’epoca. Finalmente però, il Dio dei motori assiste lo “sfortunato” Lucky e il team Ferrari-Gallina concede a Marco un’opportunità importante: Lucky può gareggiare questa volta con la Suzuki ufficiale nel campionato mondiale di 500cc. Si posiziona 3° nella classifica finale facendo vedere, dopo tanti anni di disavventure, una maturazione agonistica.

Il mondiale e Sanremo. Spesso sono le cose più brutte a rendere la vita imprevedibile e bella, e nel 1981 Lucky lo capisce fino in fondo. Il mondiale parte male. Ritiro alla prima stagionale e zero punti anche alla seconda gara. Poi qualcosa cambia. Nella testa di Lucchinelli, ormai nel momento migliore della sua carriera, scatta un click. Il pilota si aggiudica il podio nella terza gara e poi inizia ad incalzare vittorie su vittorie che lo portano in Svezia con il titolo a pochi metri. Il sogno si realizza proprio nel vecchio circuito svedese dove riesce a raggiungere la bandiera a scacchi in nona posizione. Quello che serve. Marco Lucchinelli è campione del mondo. Dopo i 2 titoli di Sheene ed i 3 Roberts, Lucchinelli riporta il titolo della classe regina in Italia; titolo che mancava dal 1975 con Giacomo Agostini.

La storia di Lucchinelli prende inevitabilmente una piega dopo la vittoria del mondiale. Ma non di certo quella di un lieto fine, anzi. Cambio di moto non senza qualche polemiche, perché a Lucky piace il rischio. Ma anche questa volta l’azzardo non paga. Nel 1982, in sella alla Honda, mentre è in lotta con Franco Uncini, cade a 220 km/h, rischiando di uccidere alcuni spettatori a bordopista. In quell’occasione si rompe lo scafoide della mano e si procura una contusione al piede. Un brutto infortunio ma recuperabile anche all’epoca, ma nella sua testa avviene un altro click. Si blocca mentalmente: da quel momento in poi “cavallo pazzo” abbandona questo soprannome. Marco perde quell’istinto animale che aveva portato milioni di italiani ad affezionarsi a lui. Da qui la sua carriera in pista crolla vistosamente. Fuori dalla pista Lucky dà il meglio di sé, in tutti i sensi, proprio in quei anni. Lucchinelli partecipa a Sanremo. D’altronde il personaggio più rock del motomondiale non poteva sgomitare solo in pista, ma lo doveva fare anche sul palco. L’altra sua grande passione, la musica, esce allo scoperto e a Sanremo sorprende tutti.

«Stella fortuna», il brano. Una canzone che richiama un po’ la sua vita, ma la buona sorte stavolta non lo segue. Da lì in poi solo scandali e Il carcere come lezione per «togliersi un maledetto vizio che mi aveva portato a sniffare anche quattro grammi al giorno». Una caduta nel tunnel della droga. Come tutti i grandi uomini di vita c’è sempre un tallone d’Achille. La kryptonite per Superman. Ma dopo la caduta c’è anche la resurrezione.

Una vita andando al massimo. Uomo di rara sensibilità, generoso e sempre disponibile, «Lucky» è questo. Dall’apertura della scuola guida con il legatissimo figlio Cristiano, scomparso nel 2017 in un incidente stradale, fino alla sua disponibilità in televisione. Lucky ne ha passate tante, sia in pista che fuori, ma sempre col sorriso. Il sorriso di chi ha toccato il cielo con un dito, vedendo Lucifero negli inferi e finendo tra i comuni mortali. La sua vita è ricca di rock e motori, in sottofondo potrebbe scorrere una playlist di Vasco Rossi, perché “Lucky” è “andato al massimo”, avendo una “maledetta sfortuna o fortuna” e con il vizio di “bollicine”, ma alla fine si è sentito sempre “libero” e fortunato. Marco “Lucky” Lucchinelli.

 

 

 

 

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