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Adrian Doherty, il quinto Beatle della classe del ’92 – 29 nov

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Adrian Doherty era l’ala destra del Manchester United giovanile che nel 1992 stupì tutta l’Inghilterra. Una squadra composta dai fratelli Neville, difensori abili e versatili; dal centrocampista Paul Scholes, un ragazzino rossiccio e asmatico che sarebbe diventato contro ogni pronostico uno dei più forti e completi interpreti recenti del ruolo; l’ala sinistra era un tale Ryan Wilson, dotato di dribbling fulmineo e velocità pazzesca. Tutti ne parlavano un gran bene, in seguito avrebbe abbandonato il cognome e la nazionalità inglese del padre per prendere quelli della madre: sarebbe diventato Ryan Giggs, bandiera eterna dei “Red Devils” e della Nazionale del Galles, uno dei più forti giocatori di sempre. E poi c’era David Beckham, che sarebbe diventato una stella non solo sul campo, uno dei giocatori più pagati e conosciuti al mondo. Tutti forti, fortissimi.
Eppure se chiedevi ad Alex Ferguson, tecnico dello United che si fregava le mani consapevole delle carriere che avrebbero avuto quei ragazzini, chi fosse il più forte della nidiata la risposta sarebbe stata una sola. Il più forte era Adrian Doherty, il futuro George Best. Con il campionissimo degli anni ’60 condivideva il ruolo, ala destra, la nazionalità nordirlandese e il talento sopraffino. A differenza di Best, però Doherty era pure un bravo ragazzo, che non beveva, che non saltava un allenamento. Insomma, un talento che nessuno avrebbe mai potuto fermare, un predestinato. 
Così lo ricorda Brendan Rodgers, attuale allenatore del Liverpool e coetaneo di Adrian, con cui giocò diverse volte ai tempi: “Lo chiamavano ‘The Doc’, e Ryan Giggs, i Neville, tutti quelli che lo hanno visto giocare vi diranno che era il miglior giocatore mai visto a livello giovanile.”
Come già accaduto per un altro talento precoce, Norman Whiteside, per evitare ripensamenti e cambi di bandiera la Nord Irlanda aveva deciso di convocare Doherty in Nazionale, ricevendo però una risposta secca da parte di Ferguson: “il ragazzo è troppo giovane, non bruciamolo.”
Troppo giovane per la Nazionale, forse, ma non per fare l’esordio in prima squadra: “Fergie” progettava di inserirlo a breve nella formazione titolare, ma i suoi piani naufragarono quando pochi giorni prima della fatidica data Doherty si ruppe i legamenti crociati in allenamento. Un infortunio tremendo, quasi sette mesi di stop, seguiti al rientro da un nuovo infortunio, identico, che allungò i tempi di recupero di un altro anno. Era già finita, e fu chiaro a tutti quando il ragazzo provò a tornare in campo: incapace di correre come prima, incapace di calciare con potenza come era abituato, incapace soprattutto di gettarsi nella mischia senza il timore di farsi male ancora. Tornò in Irlanda, giochicchiò qualche gara con il Derry nel modesto campionato irlandese, una competizione che appena un paio di anni prima non avrebbe neanche potuto sperare di vederlo tra i suoi protagonisti.
Molti altri giovani si sarebbero depressi, ma non fu così per Doherty. Era un ragazzo giovane, timido, ma molto profondo e pieno di gioia di vivere. Amava il calcio, ma non era tutta la sua vita. I compagni di allora lo ricordano leggere di filosofia e suonare la chitarra, soprattutto canzoni di Bob Dylan. Una sua esibizione, mentre suona con la sua band “All along the watchtower”, si trova ancora su YouTube. Avrebbe voluto sfondare nella musica, ma questa è un’arte tanto capricciosa quanto quella calcistica, il talento è solo una delle componenti per il successo. Non funzionò.
Si ritrovò in Olanda, ad Amsterdam, a lavorare in un mobilificio. Una mattina, mentre correva per non perdere il treno, non si sa come scivolò in un canale. Lo trovarono svenuto, in coma, e dopo un mese di ospedale morì, il giorno prima del suo ventisettesimo compleanno. Intanto, in Inghilterra, il Manchester United – dove giocavano i suoi ex-compagni – stava festeggiando il suo sesto titolo in otto anni. 

 

“Una delle ali più veloci mai viste. Gli scout dello United dicevano che avrebbe potuto acchiappare i piccioni da com’era veloce. Lui, Giggs e Scholes erano gli unici su cui tutti si dicessero certi di un’affermazione vera come calciatori. E mentre Giggs aveva un gran piede sinistro e molta velocità e Scholes sapeva usare bene entrambi i piedi ma era lento, Doherty aveva tutte queste qualità riunite.” Così lo ricorda Tony Park, autore del libro “Sons of United” (“I figli dello United”), che racconta la storia del settore giovanile dei Red Devils.
Un settore dove tanti sono diventati grandi, ma dove il più grande è rimasto confinato, come una leggenda metropolitana, la carriera spezzata da un maledetto infortunio.

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