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Il Metodo Vincente #4: Il Valore della Libertà

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I ricordi soavi sono la morfina dell’animo affranto.

Le memorie di quel dolce e trionfale Giugno avevano alleggerito il macigno stante sul capo di Vittorio, alleviando, almeno per un momento, il peso del dolore. Una sensazione di serenità interiore che quel 4 Maggio sembrava aver cancellato, annerito.

Dejà vu, direbbero i cugini francesi. Pozzo, in quel momento, non era altro che un microcosmo di ciò che lo circondava nel medesimo periodo storico. Si era riappropriato di un valore che tutti, generalmente, diamo per scontato, e del quale comprendiamo l’imprescindibilità e l’inestimabilità solo nel momento in cui il nostro diritto di goderne è frenato, se non addirittura oppresso, da qualcosa o qualcuno. Quello della libertà.

Ma che cos’è la libertà? 

Libertà è quella di poter esprimere senza limitazioni il proprio parere, pur rimanendo nel rispetto della legge. A volte estensiva, a volte occlusiva: è il caso, quest’ultimo, della censura che molti colleghi del Vittorio Pozzo giornalista avevano subito. L’allineamento al volere superiore fu quasi univoco durante il Ventennio, anche perché chi se ne oppose, già nei primi tempi, pagò a caro prezzo l’esternazione della propria opinione. Giacomo Matteotti da giornalista aveva già compiuto delle inchieste sul Fascismo, ed il 30 Maggio del 1924 ebbe modo di pronunciarsi, da parlamentare, sull’uso coercitivo della forza attuato dalle squadracce a fini elettorali, per poi essere barbaramente ucciso dalle stesse undici giorni dopo.

 

Libertà è avere la possibilità di coltivare le amicizie che si desiderano, ad esempio. Vittorio Pozzo era in ottimi rapporti con il già citato Leandro Arpinati, il presidente federale tifosissimo del Bologna che gli affidò la guida della Nazionale. A sua volta, è risaputo, Arpinati alternava la fede per i colori rossoblu a quella per l’ideale fascista, e tra lui e Benito Mussolini scorreva senz’altro buon sangue, così come con Giuseppe Massarenti, nativo di Molinella, conosciuto negli ambienti bolognesi all’epoca dell’incarico di podestà cittadino conferitogli dal gran Consiglio del Fascismo. Ma nel 1933, un uomo di potere non poteva essere contemporaneamente amico di Mussolini e di Massarenti, convinto socialista e già noto al regime come forte oppositore dell’ideologia imperante.

Così, la lettera di denuncia di Achille Starace, neosegretario del Partito Nazionale Fascista, accusò a chiare lettere Arpinati di connivenza col nemico. E lo schermo protettivo del Duce, compagno di terra natia e di colloqui, non resse per molto tempo, costringendolo in breve tempo a rinunciare alla carica di sottosegretario agli Interni, rivestita per 4 anni, nonché le presidenze di CONI e FIGC, fino allo smacco finale. Il 19 Luglio del 1934, appena quaranta giorni dopo il trionfo di Roma, Arpinati fu mandato al confino nell’isola di Lipari, lontano da un’ulteriore libertà, quella di movimento, nonché dalla sua Romagna e soprattutto dal suo Bologna.

Il provvedimento emanato nei confronti di Arpinati colpì in maniera diretta proprio la squadra felsinea, già da tempo confluita nella polisportiva Bologna Sportiva direttamente riconducibile proprio al politico di Civitella. Pochi giorni dopo la partenza di quest’ultimo, infatti, la società venne sciolta e il suo braccio destro Gianni Bonaveri destituito da presidente della sezione calcistica, ridenominata, in ossequio all’italianizzazione dei termini, Bologna Calcio. Al suo posto, lo stesso regime fascista piazzò un uomo di fiducia, proveniente dal tessuto imprenditoriale cittadino, è proprio il caso di dirlo: Renato Dall’Ara, infatti, partendo da una semplice maglieria fondò un’azienda all’avanguardia, per l’epoca, nel settore tessile.

Fu un’estate, dunque, in cui i maggiori campi da calcio italiani furono arati dai ragazzi campioni del mondo, per poi essere oggetto di semina e raccolto da parte dei più importanti politici fascisti. Esemplare fu il trasferimento che coinvolse Silvio Piola, passato dalla Pro Vercelli alla Lazio per volere di Giorgio Vaccaro, tifoso della squadra capitolina e sostituto di Arpinati alla guida della FIGC da quasi un anno. Né la squadra piemontese né il giocatore, infatti, volevano troncare un rapporto che andava avanti dal 1929 con reciproca soddisfazione. Le avances di Lazio e Ambrosiana Inter furono rispedite al mittente, ma non bastò: un dispaccio militare obbligò il ventunenne attaccante a trasferirsi a Roma, presso la Farnesina, per svolgere il servizio di leva, dal quale era stato esonerato appena dodici mesi prima per meriti sportivi, costringendo de facto il giocatore a cambiare squadra. 

Non fu soltanto il club allenato dal cecoslovacco Alt a muoversi sul mercato, comunque: Dall’Ara tentò di regalare ai tifosi bolognesi il mediano Ferraris, trovando però la ferma opposizione di quel mister Kovacs che già ne aveva conosciuto pregi, ma soprattutto difetti, a Roma. La mossa a sorpresa fu quella di riportare in città l’uruguagio Sansone, che aveva lasciato il Littoriale per fare ritorno in patria appena 12 mesi prima.

La Juventus, detentrice dello scudetto da quattro anni, invece rimase praticamente immobile. E i fatti daranno ragione ai bianconeri, che dopo un’inizio ad handicap, trascinati dal solito Luis Monti sulla linea mediana, vinceranno il titolo per l’ennesima volta, dando vita a quello che fu denominato il Quinquennio d’Oro. Notevole l’apporto di Piola alla causa laziale, con ben 21 reti segnate: la squadra, tuttavia, non andrà oltre al quinto posto. La Pro Vercelli, invece, privata del suo giocatore più importante, chiuderà mestamente all’ultimo posto, dando il proprio addio alla massima competizione nazionale. Nella stessa regione, i festeggiamenti della Vecchia Signora vennero stroncati il 14 Luglio del 1935 dalla cruenta morte del suo presidente Edoardo Agnelli, morto a Genova in un incidente occorso all’idrovolante sul quale viaggiava come unico passeggero. In fase d’atterraggio, il pilota non notò un tronco vagante a pelo d’acqua, che fece ribaltare il mezzo causando lo sbalzo fuori dall’abitacolo del rampollo di casa FIAT, il quale finì decapitato dall’elica, ancora rotante.

E il Bologna? Non andrà oltre la sesta posizione. Kovacs, peraltro, verrà esonerato anzitempo, sostituito da un connazionale di cui si sentirà parlare. Il suo nome? Arpad Weisz…

(CONTINUA)

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