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Aprite le porte…

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APRITE LE PORTE CHE PASSANO I ROSSOBLU’

(appunti sparsi di un malato di tifo)

Da dove nasce un colpo di fulmine, destinato a diventare amore eterno, per una squadra di calcio?

Da tutto e da niente.

Nel mio caso, dalla prima volta allo stadio, a 8 anni, nel maggio del ’73…dalla magia del campo, talmente verde da abbagliare…dal colore delle maglie, un rossoblù così bello da togliermi il fiato…dalla gioia contagiosa della gente nell’attendere l’inizio della partita e nel veder scendere in campo la squadra del cuore….ma soprattutto dalla Curva Andrea Costa, che mi è subito sembrata un luogo magico, pieno di colori, suoni, canti e talmente coinvolgente ed emozionante da farmi decidere, ancor prima della partita, che in futuro sarei sempre tornato in quell’angolo di splendida follia.

Quello che è difficile spiegare è come questo amore un pò pazzo sia riuscito ad alimentarsi e a crescere nel nulla sportivo di quasi 40 anni di sconfitte e insuccessi.

E allora, per provare a capire cosa brucia nel cuore di un tifoso del Bologna e cosa permette alla sua fede incrollabile di non vacillare mai, bisogna forse fare qualche passo indietro.

E tornare al 5 giugno 1983.

Fine campionato, trasferta della disperazione, Cremonese-Bologna.

Sono passati dieci anni esatti da quella prima partita al Dall’Ara.

Nell’82, poco prima di vincere i mondiali, siamo scesi in B per la prima volta e già è stata dura pensare di non essere più nel campionato dei vip.

Eppure mi sono tuffato in quel torneo tristissimo con lo spirito giusto, della serie “fate largo, siamo il Bologna”.

Invece, partita dopo partita, le altre squadre non solo non si sono scansate, impaurite dal nostro blasone, ma avrebbero pagato per incontrarci.

E pian piano, dai sogni di grandezza e di risalita immediata in serie A, siamo arrivati in un triste pomeriggio a prendere tutti insieme il treno della speranza per Cremona.

La speranza era quella di non retrocedere in C.

Ho quasi le lacrime agli occhi nel ricordare quel giorno e penso che solo chi c’era, su quei gradoni insopportabili, può capire cosa ha significato prendere uno, due, tre, quattro gol da una squadra che ci ha ridicolizzati, con davanti lo spettro di un campionato di C.

Serie C, ma chi gioca in serie C, pensavo quel giorno?

Io, nei miei innumerevoli album di calciatori completati fino all’ultima figurina, mi ricordavo a malapena le squadre di B, ma la C non sapevo neppure cosa fosse.

Eppure essere tifosi del Bologna significa anche questo, tornare a testa bassa verso il treno dei sospiri e intonare nella stazione di Cremona, dopo l’umiliazione, un “vamos serie C” (sulle note di vamos a la playa), che ancora echeggia fra quelle mura.

E per capire come ci basti davvero poco per impazzire di felicità, bisogna fare un balzo avanti di quattro anni, fino al 17 maggio 1987.

Se Dio vuole siamo di nuovo in B, ma rischiamo di retrocedere in serie C ancora una volta, ed ecco un’altra trasferta decisiva, stavolta in casa di un Pisa fortissimo, lanciato verso la promozione.

Tutti di nuovo sul treno, verso un’altra probabile batosta, ma col solito straccetto rossoblù legato in cintura e la solita passione che supera tutti gli ostacoli.

Di quel giorno ricordo una pioggia continua, in certi momenti quasi un diluvio, e soprattutto ricordo un insperato e improbabile 2 a 0 per noi a un certo punto della partita.

E allora vai coi cori sotto la pioggia, vai con la bronchite ormai alle porte, ma chissenefrega, stiamo vincendo, ci salviamo e anno nuovo vita nuova, quest’altr’anno si va in A col turbo.

Ma non staremmo a parlare del Bologna se dopo il 2 a 0 la partita non avesse preso un’altra piega.

Ed ecco allora il due a uno, e poi il due a due, e l’Arena Garibaldi che sembra veramente un’arena, col Bologna al posto del gladiatore condannato a morte.

Ricordo poco di quel che successe al novantesimo, ma quel poco è sufficiente.

Un cross dal fondo, il nostro bomber, Loris Pradella, che si tuffa di testa e la palla che sotto la nostra curva gonfia la rete.

Ero in preda a un delirio di gioia senza limiti, quella partita cancellò in me di colpo sei anni di agonia e in quel ritorno fradicio su un treno vecchio e scassato era come se avessi vinto la Coppa dei Campioni.

Potenza del tifo.

Ma cosa significa, dunque, esser tifosi?

Significa imprecare per tutto l’anno calcistico e poi ritrovarsi ogni estate con lo stesso spirito e la stessa voglia di ripartire nuovamente con le tensioni, le discussioni interminabili al bar, l’ansia del pre-partita, le litigate per un rigore non dato o un gol annullato, le gastriti da sconfitta.

Ha ragione chi dice che tifare a volte supera il livello della passione pura per diventare quasi una droga, con tutte le sue controindicazioni, vedi spendere soldi continuamente per abbonamenti, biglietti, trasferte, magliette, sciarpe, come se fosse un investimento.

Ma questo è, ed è così che un tifoso continua a sentirsi vivo.

E tornando al nostro amato BFC, visto che eravamo rimasti al 1987, cosa dire degli ultimi 25 anni? Che dopo essere tornati in serie A siamo di nuovo riusciti a giocare prima in B e poi in C…che siamo anche falliti…che abbiamo visto ancora, per due anni interminabili, città dal nome impronunciabile con campetti da oratorio al posto degli stadi…che abbiamo avuto un nostro piccolo momento di gloria con due promozioni consecutive…che chi era allo stadio il giorno di Bologna-Chievo, gol di Bresciani e il giorno di Mantova-Bologna, gol di Fava, e si è gustato quelle gioie dal vivo, non può essere uguale a chi non c’era…che vedere Kennet, Kolivanov, Baggio e Signori è stato davvero bello…che l’anno della semifinale Uefa col Marsiglia è stato uno sballo europeo, anche se ricordare quella partita rubata è una fitta al cuore ogni volta…che nel 2002 per qualche mese siamo stati quarti e anche noi per un attimo abbiamo sognato la musichetta della Champions prima delle nostre partite in tv…che cancellerei il 2005 dall’albo calcistico…che siamo riusciti a battere un record storico cambiando 5 presidenti in meno di un anno…che dal 2008, fra salvezze all’ultimo respiro e penalizzazioni per stipendi non pagati, non so neanch’io come ma siamo in serie A…. che a Bologna, dopo San Petronio e San Luca, ora c’è anche San Marco…che in questi ultimi miseri anni siamo comunque riusciti a battere Juve, Inter, Milan, Napoli, Roma, Lazio e Fiorentina, e quindi attenti a noi.

Del resto, non sarebbe normale evitare di soffrire e ci parrebbe troppo strano vincere anche solo una coppetta.

E così anche quest’anno, come tutti gli anni, saremo sempre in curva e tiferemo fino all’ultima giornata sotto il nostro amatissimo bandierone rossoblu e soffriremo le pene dell’inferno, fra magoni e sconfitte.

Se anche è un film già visto, con un finale spesso da dimenticare, è comunque il nostro film preferito.

E guai a chi ce lo tocca.

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