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L’altro spogliatoio – La storia: Bologna e Pro Vercelli, 14 Scudetti in campo e il ritorno del calcio romantico – 23 dic

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Ottant’anni fa. Erano i tempi di Vittorio Pozzo CT dell’Italia Campione del Mondo, erano i tempi di Mussolini e di Giuseppe Meazza “che segna al ritmo del fox-trot”. Strano calcio, quello di allora. Così uguale eppure così diverso rispetto a quello di oggi, frase abusata ma che ben descrive un gioco che era ancora nella sua fase embrionale, con tutte le squadre schierate rigorosamente con lo stesso modulo, il famoso “Metodo” che peraltro era anche lo schema con cui l’Italia si era appena imposta nella seconda edizione dei Mondiali. Ottant’anni fa la Pro Vercelli salutava la Serie A, e da allora ancora non l’ha più rivista. Perso il suo campione Silvio Piola, trasferito d’ufficio dal Regime alla Lazio e futuro campione del mondo nel 1938, si avverò la profezia del presidente della Pro, Ressia, che aveva detto: “…il giorno che saremo costretti a cederlo, quel giorno segnerà il tramonto della Pro Vercelli.” E andò esattamente così: la stagione 1934-35 fu la prima per le “bianche casacche” senza Piola, e fu l’ultima in Serie A. Fu anche l’ultima volta, quindi, che questa squadra, che segnò profondamente il calcio italiano prima dell’avvento del professionismo, giocò contro il Bologna, che insieme alle altre grandi squadre metropolitane del Nord ambiva a raccoglierne l’eredità.

L’andata si giocò il 13 gennaio del 1935: il Bologna navigava a metà-classifica, la Pro era già dalle prime battute ultima, e nelle precedenti undici gare aveva messo insieme la miseria di 3 punti. Al “Leonida Robbiano” (che è l’attuale stadio, in seguito intitolato proprio a Piola) i padroni di casa alla disperata ricerca di punti-salvezza si imposero per 2 a 1, ribaltando lo svantaggio iniziale siglato da Ottani con le reti di Casalino e Degara. Fu un lampo nel buio e senza alcun seguito, tanto che quando la Pro venne a Bologna per il ritorno la classifica la vedeva sempre desolatamente ultima ad appena 11 punti. 12 maggio 1935, ultima sfida tra Bologna e Pro Vercelli: le reti di Maini, Corsi, Reguzzoni e una doppietta di Angelo Schiavio distruggono quel che rimane delle “bianche casacche” che dominarono l’alba del calcio italiano, condannandoli di fatto alla retrocessione.

Un oblio che dura tuttora: dopo cinque stagioni in B, infatti, nel 1940-41 arrivò per la Pro la retrocessione in Serie C, e per rivedere la seconda divisione i suoi tifosi hanno dovuto attendere più di settant’anni. Una rapida discesa e un’ingloriosa fine per una squadra che fu capace, nei primi anni del nostro calcio, di fare la storia. Era un calcio diverso, in molti lo chiamavano ancora foot-ball, il Fascismo sarebbe dovuto arrivare: fondata nel 1903, la Pro Vercelli si era ritrovata una straordinaria generazione di talenti cittadini ed un presidente, Luigi Bozino, che avanti anni luce ai colleghi aveva progettato una grande programmazione: allenamenti mirati, scouting dei migliori talenti del territorio, cura dei dettagli tattici. Nel 1908 la Pro vinceva il suo primo Scudetto, l’anno successivo faceva il bis, in tutto nel giro di sei stagioni si laureava cinque volte Campione d’Italia, arrivando una volta seconda dopo uno spareggio controverso perso quasi di proposito contro l’Inter. Una squadra che correva mentre le avversarie camminavano, che all’eleganza un po’ naif dei campioni metropolitani contrapponeva la corsa, la grinta, l’umiltà tipiche dei provinciali.

Quando la Nazionale italiana fece il suo esordio, giocò in maglia bianca. Si dice che fu perché queste maglie costassero meno di quelle colorate, ma anche che fu un omaggio alla Pro Vercelli, autentica squadra imbattibile ai tempi e capace di eclissare i pionieri del Genoa. Il 1° maggio del 1913 l’Italia affrontava il Belgio schierandone ben nove elementi: un risultato incredibile per una squadra nata appena dieci anni prima e che la prima trasferta l’aveva affrontata (70 chilometri!) in bicicletta.
Era una squadra fantastica, di cui purtroppo non si ha abbastanza memoria: i suoi membri erano tutti vercellesi, attaccati alla maglia e alla città e capaci di muoversi in campo come un solo uomo. Tra le individualità svettava Carlo Rampini, la cui storia è davvero curiosa: alto appena 165 centimetri, esordì nel 1908 e in sei stagioni vinse cinque Scudetti – oltre a quello perso con l’Inter – segnando la bellezza di 106 reti in 99 gare. Poi, a 24 anni, accettò un posto di lavoro in Brasile e abbandonò il calcio. Questo episodio, tra i tanti, la dice lunga su quanto fosse diverso il calcio di allora, in continua evoluzione: la Pro seppe tenere botta, dopo la Prima Guerra Mondiale centrò altri due Scudetti.

 

E poi arrivò il professionismo. Non potendo sconfiggerla sul campo, le rivali cominciarono a corteggiare i giocatori delle “bianche casacche”, offrendo loro posti di lavoro renumerativi nelle grandi metropoli. Il primo a cedere a tali lusinghe fu Virginio Rosetta, straordinario difensore che si trasferì alla Juventus suscitando un vespaio di polemiche che si trascinarono per mesi, fino a quando cioè il calcio fu reso sport professionistico anche in Italia. Altro talento straordinario Rosetta, che alla Juventus vincerà ben sei Scudetti, che sommati ai due conquistati con la Pro ne fanno uno dei calciatori più titolati di sempre: con l’Italia, tra l’altro, vincerà il Mondiale del 1934 giocando titolare.

Ma torniamo alla Pro Vercelli. L’avvento del professionismo ne spezzò le ali, visto che le “bianche casacche” stoicamente si rifiutarono di adeguarsi volendo mantenere il loro carattere dilettantistico. Nel giro di pochi anni come detto la perdita di tutti i campioni, la retrocessione in B, quella in C e l’oblio. Un oblio fatto anche di Serie D (tutti gli anni ’60), fallimenti, tantissima C sempre sopravvivendo e mai sognando. Due anni fa l’improvviso ritorno in B, un entusiasmo incontenibile e quindi un’immediata ricaduta che però non ha scoraggiato gli attuali dirigenti, decisi romanticamente a riportare quella che forse è la più romantica squadra d’Italia nel calcio che conta. Con l’eclissi della mitica Pro, ai tempi, furono le grandi squadre metropolitane a prenderne il posto, come la Juventus che vinse cinque campionati consecutivi. Ma intanto chi era diventato uno squadrone in quegli anni? Esatto, proprio il Bologna, che in pratica sostituì i vercellesi come squadra “outsider”, la piccola che sfida i giganti economici del nord. Non solo i bolognesi tifavano Bologna, ma tutti quelli che non sopportavano che solo le grandi realtà metropolitane si sarebbero prese la scena nel calcio, cosa che poi è comunque inevitabilmente avvenuta.

Anche il Bologna aveva qualcosa di quella Pro: un grande presidente, grandi calciatori nati in città, un attaccamento alla maglia diverso, genuino. Pro Vercelli e Bologna non si sono più incontrate, da quel pomeriggio di maggio del ’35, ma in un certo senso si può dire che abbiano condiviso un identico spirito. Per questo, se andate nella mia pagina FB e guardate “squadre preferite” troverete che anni fa misi “Mi Piace” alla pagina dedicata alla Pro Vercelli. Un pezzo di storia del calcio italiano, un calcio romantico che raccontava di grandi storie e di grandi campioni e anche di un Bologna magico e forse irripetibile. È per questo che la vigilia di Natale porterà a chiunque ami il calcio una sfida così: Bologna contro Pro Vercelli, 14 scudetti in due, le squadre più blasonate della B e tra le più blasonate d’Italia. Non so come sarà la partita a livello di contenuti tecnici, ma una cosa è certa: il dio del calcio, mercoledì pomeriggio, sorriderà.

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