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Carspillar – Lambo 291, la curiosa storia della monoposto di Sant’Agata

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FormulaPassion

La Formula 1 è una vetrina a cui ogni prestigiosa Casa automobilistica ambisce. Nonostante Lamborghini non avesse bisogno di ampliare la sua fama, negli anni ’90 si affacciò alla massima categoria attraverso un’iconica monoposto rimasta nel cuore di molti appassionati.

Lamborghini cambia cittadinanza
Nel 1987 l’emblematico Toro di Sant’Agata Bolognese venne acquisito dal gruppo industriale statunitense Chrysler Corporation. Nonostante gli americani non avessero intenzione di modificare gli assetti societari e manageriali, l’azienda avviò un percorso volto a potenziare la produttività e l’impostazione tecnologica alla base della stessa; ma non è tutto.

Di lì a poco la rinnovata dirigenza azzardò qualcosa di nuovo, una mossa che fino a prima era stata attuata solo timidamente: entrare a far parte del panorama del motorsport. Nacque così Lamborghini Engineering, un dipartimento esclusivamente volto alla progettazione di propulsori destinati alla massima formula.
Per essere i migliori occorreva appoggiarsi ai migliori, per questo il compito di guidare la nuova divisione fu dato all’ex team manager Ferrari Daniele Audetto, coadiuvato dalla supervisione ai progetti dell’ingegner Mauro Forghieri.

La storia
Il benaugurante debutto del nuovo propulsore ad aspirazione naturale fu nel 1989, anno in cui il primo V12 LE3512 trovò alloggio su Lola LC89, monoposto della scuderia Larrousse. Grazie ad un generoso finanziamento da parte del messicano Fernando Gonzalez Luna e alla fiduciosa consapevolezza scaturita dal primo passo in F1, nacque Lambo 291. In vista del GP di Monaco 1990, Gonzalez e il presidente Chrysler Iacocca si accordarono per far nascere GLAS F1, la prima squadra messicana del campionato.
Il veicolo fu ultimato nell’estate del 1990 e testato all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola da Mauro Baldi con un’insolita livrea blu scuro. Alla vigilia dell’inaugurazione ufficiale, il finanziatore messicano si dissolse nel nulla portando con sé milioni di dollari di sponsorizzazioni. Di lì a poco il progetto sarebbe stato fortunatamente rilevato dal Modena Team di Carlo Patrucco, allora vicepresidente della Confindustria.

La presentazione del Modena Team – 1991 (copyright – Luciano Serra)


Il propulsore LE3512

La cilindrata è di 3495 cm³, il peso di circa 130 kg. L’adozione di un’architettura V12 ha consentito di ripartire le sollecitazioni meccaniche e termiche su un maggior numero di superfici; per questo motivo, dodici cilindri disposti a “V” sono considerati da sempre sinonimo di forte affidabilità, equilibrio e bilanciamento. L’angolo formato dalle due bancate era di 80°, configurazione che ha permesso di migliorare il raffreddamento e aumentare la tenuta grazie ad un baricentro più basso. A differenza di altre concorrenti, qui ognuno dei dodici cilindri era provvisto di quattro valvole comandate da due alberi a camme posizionati in testa. Il sistema d’iniezione Bosch 1.8 era elettronico multipoint, dotato quindi di un iniettore per ogni cilindro.
L’insieme di queste caratteristiche, associate all’utilizzo di speciali leghe d’alluminio e magnesio, ha permesso all’unità motrice di raggiungere regimi di rotazione molto alti, oltre 700 CV erogati a 14000 rpm.

Il propulsore LE3512 Chrysler-Lamborghini (copyright sconosciuto)


Soluzioni tecniche di Lambo 291

Nonostante il ridotto budget a disposizione, la Lambo F1 era un’auto fortemente innovativa. Grazie all’apporto dell’ingegnere britannico Adrian Newey, venne riportato alla luce il concetto di pance regressive: le forme dei rigonfiamenti laterali – ampiamente rastremati e spioventi – ricordavano le monoposto degli anni ’70 (vedi Brabham BT42).
Ciò che contraddistingue la vettura è quindi la forma a triangolo dei sidepod, speciali pance laterali dalle dimensioni ridotte, dotate di prese d’aria e di un ampio effusore.
Inizialmente, Forghieri fece propria un’idea di Gordon Murray ispirata al mondo aeronautico: equipaggiare il veicolo con radiatori a sfioramento. Questa tipologia di raffreddamento – direttamente importata dall’industria aerea del varesotto – portava con sé il vantaggio di una migliore aerodinamica interna, la quale permetteva di evitare inutili turbolenze.
Purtroppo, visti gli elevati costi di realizzazione, Lamborghini Engineering dovette ripiegare la scelta su radiatori convenzionali, che – per via dell’adozione di pance regressive – vennero posti in posizione inclinata.

Il profilo di Lambo 291 (copyright – p300.it)

Nel corso della stagione agonistica le pance utilizzate subirono diversi ritocchi, i quali – tramite il prolungamento del fondo in corrispondenza delle prese d’aria – resero lo stile più alto, squadrato e convenzionale. I collettori di scarico e gli effusori dei radiatori risultavano quindi più o meno esposti a seconda dell’impostazione aerodinamica utilizzata.


Un potenziale inespresso

Sorprendentemente, il miglior risultato registrato fu nella prima gara. La guida della Lambo 291 del Modena Team venne affidata a Nicola Larini ed Eric van de Poele, i quali in sedici Gran Premi portarono a casa la qualifica soltanto in sei.
Malgrado l’ambizioso progetto, LE3512 non emerse mai tra i concorrenti. Il motivo alla base non risiede nella differenza di potenza erogata – la quale risultava molto simile alle altre unità motrici dell’epoca – bensì nell’affidabilità. Infatti, nella maggior parte dei casi, le vetture equipaggiate col V12 Lamborghini riscontravano problematiche di cedimento.
L’apice della carriera del propulsore emiliano arrivò con Aguri Suzuki (Larrousse – 1990) quando, in occasione del GP del Giappone, tagliò il traguardo al terzo posto.

Nicola Larini al GP d’Ungheria 1991 (copyright sconosciuto)

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