Tennis
Il film di Shanghai: il 1000 delle sorprese
Una favola, qualche disfatta e una lotta contro il clima che passa da… un aggiustamento tattico: ecco cosa è successo a Shanghai
Senza Acaraz e con Sinner fuori dal terzo turno per i problemi accusati durante il match contro Griekspoor, il 1000 di Shanghai era un’occasione enorme. Per De Minaur, che deve vincere ancora un grande titolo, per Medvedev e Zverev a caccia di fiducia e per Djokovic, che sognava un ultimo successo. Nessuno di loro, però, è arrivato in fondo. Anzi, la finale di ieri l’hanno giocata due cugini, il francese Rinderknech e il monegasco Vacherot. Una bella storia, senza dubbio, ma dalla quale dobbiamo trarre dei segnali ben precisi.
La Caporetto degli anni ’90
Una generazione bella ma sfortunata, si diceva una volta. Perché i vari Tsitsipas, Medvedev, Zverev e, perché no, De Minaur, oltre a Thiem, già ritirato, a inizio carriera venivano oscurati dai Big 3. Ma ora, che scusa potranno mai avere gli illustri rappresentanti di una generazione che ha complessivamente vinto appena due Slam (l’austriaco e il russo a New York)? Francamente, ce ne sono poche, perché questi ragazzi si sono fatti subito sovrastare da Sinner e Alcaraz, opponendo nei grandi tornei pochissima resistenza. E dire che i presupposti c’erano tutti.
Dominic Thiem e Stefanos Tsitsipas premiati al termine delle ATP Finals 2019 (
© depositpotos)
Tuttavia, l’impressione è che, Medvedev e Zverev su tutti, abbiano fallito un’altra grande occasione per ribellarsi a un destino crudele. Del resto, ormai, è un problema psicologico il loro. Parliamo di un’intera generazione nata nell’ombra delle leggende e che non ha saputo prendere il treno quando era ora. Le cause possono essere tante, ma i fattori mentali sono evidenti e hanno condizionato le carriere di tutti loro. Colpevoli o vittime? Il confine è sottile. Ma di certo le aspettative erano ben più alte e, nello sport, non si può avere ancora paura di vincere. Non a quel livello, laddove non si fanno prigionieri.
Il pranzo di famiglia
Della situazione ha approfittato l’ultimo dei sospettati, il monegasco Valentin Vacherot. Numero 204 alla vigilia del torneo, Valentin ha potuto giocare il torneo solamente grazie al forfait di Joao Fonseca, che ha permesso a Nardi di entrare nel main draw e liberare un posto all’Alternate (così si chiamano quei tennisti che arrivano ai tornei per subentrare in caso di ritiri). Battuti Bublik, Griekspoor, Rune e Djokovic su tutti, il qualificato si è “guadagnato” la fortuna di affrontare in finale un suo parente. Il cugino Rinderknech, infatti, partito da 54° ATP, ha superato giocatori maiuscoli, come Auger, Zverev e Medvedev, prendendosi con forza una finale che sapeva di occasione d’oro.
Jannik Sinner, costretto al ritiro per infortunio (© depositphotos)
Ma spesso, specialmente per un giocatore non esattamente elitario, partire favorito in un match così importante è un’arma a doppio taglio. Così, dopo un primo set liscio come l’olio, nelle fasi clou del secondo parziale Arthur si è trovato alle prese con un avversario scioltissimo. La pressione è salita, la bussola si è invertita e, dopo una battaglia divertente, è stato il cugino di Roquebrune a portarsi a casa la coppa. Degna di nota, tanto quanto la sfida, è stata la premiazione, con tutta la classe e la naturalezza che solo questo meraviglioso sport può offrire.
Il ritorno della volée
Il monegasco è dunque diventato il campione di un Masters 1000 con la classifica più bassa di sempre. Favorito da delle teste di serie in difficoltà e da un clima ingestibile, che ha provocato il malessere di moltissimi tennisti, Vacherot è stato bravissimo a crearsi la possibilità di affrontare questo torneo al meglio, da più riposato rispetto agli avversari. Ma non è stata solo la questione climatica a fare la differenza. I due finalisti hanno infatti proposto un tennis aggressivo, per rubare il tempo e soffocare gli avversari, stancandoli e distruggendoli alla distanza.
Non a caso, hanno entrambi vinto parecchi incontri al terzo set, spesso dopo aver perso il primo. E lo hanno fatto imponendosi, sfruttando due servizi strutturati e due idee di tennis molto fisiche per dare vita a ideologie verticali, frutto di aggressioni a rete e variazioni offensive.
Novak Djokovic a Shanghai (© depositphotos)
La finale, per chi l’ha vista, è stata divertente anche per questo. E speriamo che questa favola possa dare vita ad un nuovo trend. O meglio, farne rinascere uno vecchio. Le soluzioni di Alcaraz e i suoi giochi di tocco ci sono parzialmente riusciti, ma per far rinascere la volèe serviva anche questo torneo. Perché l’insospettabile coppia ha fatto capire che in un tennis rapido e moderno c’è spazio anche per la verticalità, e non solo per lo sfondamento.
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