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Non sono “solo” soldi

L’azzurro ha vinto l’esibizione araba, ma il valore della competizione non è solo economico

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Jannik Sinner esulta, ATP Finals (© depositphotos)
Jannik Sinner esulta, ATP Finals (© depositphotos)

Jannik Sinner ha vinto, ancora, il Six Kings Slam. Ha battuto, ancora, Carlos Alcaraz. E, soprattutto, ha trovato, ancora, la fiducia necessaria durante l’esibizione araba. Perché l’azzurro non ha giocato il torneo solo per i sei milioni di montepremi. Certo, questo è un fattore, e sarebbe inutile e ottuso negarlo. Ma, a Riyad, il numero uno d’Italia ritrova certezze, sperimenta e conquista fiducia e terreno ai danni dei rivali. Lo sappiamo: il tennis si gioca anche con la racchetta, ma soprattutto con gambe e testa. E, anche se non c’erano punti in palio, Jan ha guadagnato qualche spunto e, soprattutto, ha convinto contro l’unico che lo può battere con continuità.

Una rivalità d’eccezione

Esibizione, non dimenticatelo. Dunque, meno stimoli sportivi e meno agonismo, con Alcaraz che, pur non essendoci affatto andato piano, ha cercato più di divertirsi che di vincere. E ciò è obiettivamente innegabile. Però, dall’altro lato della rete, serviva ritrovare fiducia. Dopo le tre sconfitte negli ultimi quattro scontri diretti, dopo aver perso la prima posizione mondiale, non era scontato che Sinner entrasse in campo con tutta quella determinazione che ha messo in mostra ieri.

Jannik Sinner a Melbourne(© depositphotos)

Jannik Sinner a Melbourne(© depositphotos)

Ma ciò che ci insegna questa rivalità-amicizia (ribadita anche dopo la partita, tra scherzi e risate, come facevano Federer e Nadal) è che ogni volta che i due si scontrano c’è un’evoluzione, messa in atto da chi perde. Come due virus, quando il dottore trova una contromisura la specie si evolve, tornando più forte che mai e con dei nuovi accorgimenti. Ragazzi terribili, loro, anche perché questa qualità non l’avevamo mai vista. O almeno non con questa frequenza.

L’abisso

Questi due ragazzi, atleticamente e tennisticamente, sono qualcosa di mai visto. Una versione 2.0, favorita ovviamente dai progressi tecnologici e negli staff, di quei fab four che ci avevano fatto incollare alla tv per vent’anni. Jannik, così, ha in dotazione l’equilibrio, l’altezza e la potenza di Nole oltre all’intensità di Murray. Carlos, dal canto suo, è brutalmente elegante, capace di trovare variazioni come Roger e di portare la fisicità di Rafa in ogni torneo. Insomma, irraggiungibili per tutti, ad oggi. Così si spiega il fenomeno di appiattimento del tennis mondiale.

Carlos Alcaraz a Parigi in uscita dal servizio(© depositphotos)

Carlos Alcaraz a Parigi in uscita dal servizio(© depositphotos)

Termine che sembra brutto, ma in realtà è lusinghiero, perché, al di la dei due alieni, il livello tra il 3 e il 50 del mondo non sembra poi così distante. Ovviamente, non bisognerebbe specificarlo, delle differenze ci sono: la classifica non mente. Ma il livello medio si sta alzando, portando equilibrio e incertezza in ogni partita. Riguardatevi Shanghai, oppure la finale di Almaty di oggi tra Medvedev e Moutet, e ne avrete la conferma.

Non è solo un’esibizione

Prima abbiamo citato i concetti di fiducia e di quell’aspetto mentale che rende campioni. E, se si fatica a credere nell’importanza del torneo arabo, bisogna tornare indietro di un anno. Perché Jannik arrivava a Riyad per la prima edizione del trofeo con il “problema Alcaraz”, che lo aveva fatto faticare all’interno di una stagione straordinaria, nella quale aveva – unico neo – perso parecchi scontri diretti. Col successo al Six Kings, però, Jannik ha ripreso da dove aveva lasciato mentre il suo eterno rivale è calato.

Il centrale di Shanghai ( © depositpotos)

Il centrale di Shanghai (
© depositpotos)

Non si può negare l’influenza di quel match sul finale di stagione dell’iberico, che ha perso con Humbert, Ruud e Zverev tra Bercy e Torino. Dall’altro lato, per rendere l’idea, da lì in poi, Sinner non ha più perso un incontro fino a maggio, quando c’è stata la finale di Roma. Pur essendoci stata una squalifica in mezzo, il dato resta impressionante.

Basterà la finale di ieri per trovare la fiducia e l’energia necessarie per il gran finale? Il futuro parlerà, ma di certo oggi il Sole splende più alto, anche in quella Bologna che lo attende incerta. 

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