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Esclusiva Radiabo – Villalta: «Vengo dalla campagna ma vivo sotto le due torri da quasi due vite»
Ospite della trasmissione “Tutta mia è la città” in onda su Radiabo, Renato Villalta è stato protagonista di un’intervista in cui ha ripercorso i suoi cinquant’anni a Bologna con la Virtus sempre protagonista
Renato Villalta è un nome storico della Virtus Bologna, a lui appartiene una delle tre maglie ritirate dalla società ed è stato il capitano della storica stella bianconera. Oggi Villalta è stato ospite nella trasmissione “Tutta mia è la città” in onda su Radiabo.
L’Intervista a Renato Villalta in esclusiva su Radiabo
Cinquant’anni dall’arrivo a Bologna: «Ormai sono da una vita qui, quasi due. Bologna è una città che mi ha accolto in maniera entusiastica anche per via della questione legata al Mr. 400 milioni».
La pressione dell’arrivo a vent’anni: «Arrivai dalla campagna, trovarmi qui a 20 anni in una grande società, feci una visita allo stabilimento della Sinudyne dove al tempo c’erano gli operai che manifestavano con uno striscione che diceva “i soldi per Villalta si per noi no”. Che centro io mi dicevo. Le aspettative le pagai nel primo anno con qualche problema di ambientamento. Spesso tornavo verso Mestre e Treviso per cercare tranquillità. Qui finito l’allenamento ognuno andava per conto suo, io ero abituato ad un ambiente più familiare».
Virtus 1976-77. In piedi: Serafini, Driscoll, Pedrotti. Seduti in panchina: Martini, Villalta, Peterson, Bertolotti, Antonelli. Seduti a terra: Sacco, Caglieris, Valenti (Foto Virtuspedia)
Com’è cambiata Bologna?: «Spero ormai di superare i 50 anni qua a Bologna, vengo dalla campagna ma vivo sotto le due torri. Peggiorata si, un tempo si mescolava meglio tra ceti sociali. La gente andava a vedere il Bologna poi la Virtus o la Fortitudo (più la Virtus) e poi si frequentavano gli stessi locali. Poi Bologna si è un po’ chiusa. Io facevo uno sport molto seguito ed ero facilitato e nonostante questo trovai qualche problema d’ambientamento».
I contatti con Fernet Tonic e la scelta della Virtus: «Fui contattato dal Fernet Tonic che mi offriva più soldi, ma già ai tempi non avevo fiuto per gli affari. Accettai la proposta dell’avvocato Porelli prendendo meno soldi ma farei la stessa scelta anche tornando indietro. Aver avuto l’onore di giocare in questa società mi ha ripagato di quei soldi a cui rinunciai. L’idea di giocare alla Virtus era il mio pallino e non c’erano soldi che potessero farmi cambiare quest’idea».
Porelli sostenne la scelta di pagare 400 milioni: «In una cena io chiesi qualcosa in più, lui impose la cifra ma mi ha ripagato in altri termini. Ha creduto in me e spero di averlo ripagato. Ho vestito la maglia da capitano nell’anno della stella, un grande onore».
Virtus 1977/78: Villalta, Martini, Driscoll, Roche, Baraldi, Peterson, Caglieris, Goti, Bertolotti, Bonamico, Pedrotti (Foto: Virtuspedia)
Dan Peterson e il cambio di ruolo: «Non me ne vogliano gli altri ma ho un grande affetto che sono certo sia reciproco. Lui è stato il più grande motivatore che abbia mai incontrato, lui mi impostò, mi disse per allungarmi la carriera, da 4/5, dicendomi che mettendo un buon tiro avrei avuto vantaggi tecnici non indifferenti. Mi mandava ritagli di giornale di Owens dei Celtics, dicendomi cosa fare per diventare come lui. Mi trasformò in ala/pivot con il mio tiro dalla mattonella».
Compagni nel cuore: «Purtroppo non ci sono più, la scomparsa di Marco (Bonamico) è stata traumatica, una cosa che ho vissuto in prima persona, lo andavo a trovare, mi fermo qui per non far emergere il dolore. Cosic è stato un grande giocatore e amico immenso. Mi telefonò quando sapete della malattia, quando morì un suo amico mi chiamò immediatamente. Un altro è McMiller, li ricordo con grande affetto».
Avversari tosti: «Uno che mi dava fastidio era Jonson di Napoli, quando me lo davano da marcare sapevo che mi sarebbe spesso sgusciato via. Ma poi Dino Meneghin, giocatore immenso in campo che provavo a limitare dicendo la mia».
La creazione della Giba: «La fondazione avvenne per tutelare i nomi meno importanti della pallacanestro, importanti però per noi che i contratti li firmavamo comunque e a buone condizioni. Io credevo in questo tipo di associazionismo, prendemmo spunto dall’associazione calciatori cercando di prendere le cose belle. Poi siamo diventati esempio per altri sport e altre nazioni come la Grecia».
Gli anni da presidente della Virtus, anni difficili: «Sicuramente degli errori sono stati fatti, io ho accettato una sfida difficile, penso di aver risanato grazie ai soci della fondazione e al consiglio. Abbiamo fatto le nozze coi fichi secchi, penso di aver portato la chiarezza e il rispetto delle regole. Questo penso sia stata una cosa molto bella. Sono stati due anni e mezzo difficilissimi in cui mi sono inimicato tante persone ma sono andato avanti per la mia strada senza scheletri nell’armadio. Ho sempre agito con questo spirito, credo, anche facendo questi errori di aver portato un approccio bello. Per la virtussinità io volevo le leggende a bordo campo, vedo che ora questo viene un po’ meno. Con un budget irrisorio riuscimmo ad arrivare anche ai playoff cercando giocatori e allenatori con voglia di emergere. Poi mi hanno dato il benservito e credo di essermi tolto in maniera tranquilla».
La Virtus ora: «Seguo la Virtus, non vado al palazzo. Chissà, prima o poi mi piacerebbe tornare. Mi piace molto l’Eurolega, meno il campionato, dove ci sono due squadre sopra di tutte. Con la coppa è tutto un po’ sfalsato e i veri valori si vedono poi ai playoff».
Fonte: Radiabo
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