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Una seconda pelle

Non c’è un lieto fine da copertina, ma c’è un percorso pieno di umanità, fatica e verità. Aradori lascia la Fortitudo dopo averne incarnato lo spirito: imperfetto, ma autentico. E alla fine, questo basta per entrare nella memoria di chi ha amato davvero.

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Pietro Aradori (©Fortitudo Flats Service Bologna)
Pietro Aradori (©Fortitudo Flats Service Bologna)

Raccontare l’amore è prerogativa di pochi. Ma ci sono legami sportivi che vanno oltre, che sopravvivono al tempo, alle battaglie, alle cadute e agli addii, che soltanto chi vive da vicino sa raccontare. Ci sono storie che vanno oltre le vittorie, oltre le sconfitte, oltre i numeri e le stagioni. Quello tra Pietro Aradori e la Fortitudo è stato questo: un amore imperfetto, che ha saputo attraversare tempeste senza mai affondare davvero. Un legame che oggi si interrompe, ma non si spezza. Certe storie non finiscono: restano impresse nel parquet, nelle gradinate, nella voce rauca dei tifosi, nei silenzi dopo le retrocessioni, e nei cori che esplodono all’ennesima tripla.

Pietro Aradori lascia la Fortitudo dopo sei anni. Un’eternità, nel mondo sportivo di oggi. Sei stagioni, non semplici, ovviamente. Non potevano esserlo. Troppo forte il passato, troppo esigente una piazza che non fa sconti a nessuno, forse a ragione. Ma, col tempo, quel rapporto ha trovato un suo equilibrio.

Un legame

Aradori è stato protagonista di sfide indimenticabili. C’era nei momenti più luminosi, nella corsa alla salvezza, e anche in quelli più bui, come le retrocessioni, le serate storte, le ferite da rimarginare, le finali perse e vissute dalla panchina in stampelle. Ha guidato la squadra in partite che ancora oggi si raccontano: le notti al Paladozza, le gare da rimontare, le sconfitte a testa alta, le vittorie ottenute con le unghie. In questi anni la Fortitudo ha vissuto tutto: promozioni, salvezze all’ultimo respiro, delusioni cocenti. E Pietro era sempre lì. Amato, criticato, discusso. Ma sempre presente.

Il suo sogno forse era chiudere qui, chiudere nella città che aveva imparato ad amare e che lo aveva accolto, non senza resistenze iniziali, come uno di casa. Ma il destino, stavolta, ha preso un’altra piega. Ma al di là delle modalità, ciò che resta è un sentimento. E quello non si cancella. Per questo oggi non è un addio. È un arrivederci. A un ricordo che resta, a un applauso che non si spegnerà, a una curva che lo accoglierà ancora, magari da avversario, ma mai da nemico.

Infermeria Fortitudo - Aradori è clinicamente guarito

Crediti: Fortitudo Pallacanestro Bologna 103

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