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Amarcord – Kennet Andersson e Klas Ingesson, le Due Torri svedesi

Amarcord – Due campioni indimenticabili: Kennet Andersson e Klas Ingesson, simboli di forza, lealtà e attaccamento alla maglia. Due “torri svedesi” che hanno lasciato un segno profondo nel cuore dei tifosi rossoblù e in tutta Bologna

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Amarcord - Andesson e Ingesson, due torri svedesi

Chiunque mi conosca sa cosa vogliono dire per me Kennet Andersson e Klas Ingesson: sono davvero due delle torri di Bologna, amati e ammirati tanto quanto le vere torri Asinelli e Garisenda. Sono una parte fondamentale del mio tifare Bologna, e tra le storie rossoblù e gli amarcord non ne poteva mancare uno sui due svedesi. E quindi eccoci qui. Scusate se non sarò breve, ma questo è un vero atto d’amore.

Come spesso accade l’amore non è razionale, arriva quando vuole, nei modi più improbabili. Ho già raccontato in passato della mia passione per Kennet Andersson, uno dei pochissimi calciatori che davvero ho sentito come idoli e come persone per cui nutro un affetto particolare, sebbene totalmente sconosciuti.

Qui basti ricordare che nell’estate 1992, quando ancora Andersson non giocava in Italia, lo elessi come mio attaccante preferito nell’Europeo. Io, tredicenne, iniziai ad esultare come lui. Ero sicuro che ad un certo punto sarebbe finito al Bologna e pronosticai a un mio zio juventino, che una volta in rossoblù, ce lo avrebbero invidiato anche loro. Fu la sola volta in cui azzeccai una profezia.

Kennet Andersson

Kennet Andersson

Kennet Andersson, la prima torre svedese del Bologna anni ‘90

Alto, forte fisicamente, dotato soprattutto nel gioco aereo, Andersson aveva caratteristiche diametralmente oppose alle mie che non supero il metro e settantaquattro e che all’epoca ero più dotato come centometrista che come calciatore. Iniziai, non senza qualche problema, a seguirne le gesta almeno dal punto di vista dei risultati di squadra.

Nel Mondiale del 1994, quello di un grande Roberto Baggio e del secondo posto dell’Italia di Sacchi, la Svezia arriva terza e Andersson segna cinque reti, le stesse del Divin Codino. Kennet segna un gol al Brasile da cineteca del calcio: Brolin lo serve in profondità sulla sinistra, stop di petto appena entrato in area e pallonetto di esterno destro al portiere con un preciso diagonale. In quel Mondiale si inizia a vedere l’Andersson che poi l’Italia imparerà a conoscere, fatto di fisicità, assist e gol.

Vederlo arrivare in Italia con la maglia del Bari, fu un discreto colpo al cuore per me che lo sognavo in rossoblù. Ma nell’estate del 1996 si compie quello che per me era semplicemente destino: Kennet Andersson arriva davvero a Bologna e veste la maglia rossoblù.

E non solo la veste, la onora e la porta sempre più in alto, fino a due semifinali e a vincere quello che fino alla meravigliosa Coppa Italia 2025 era il solo trofeo che avevo visto alzare alla mia squadra del cuore: l’Intertoto 1998.

Andersson e il gran rifiuto

E se vederlo segnare con la nostra maglia era per me il massimo, non potevo immaginare che la più grande soddisfazione me la doveva ancora dare. Andersson rifiuta il trasferimento alla Juventus. A quel punto, solo amore incondizionato per Kennet.

La motivazione del rifiuto è tanto semplice quanto disarmante: «A Bologna sto bene, ho tutto quello che mi serve. Non so se a Torino starei altrettanto bene». In quel momento, se avessi potuto, gli avrei fatto una statua da mettere a fianco al Gigante.

Non è certo per il rifiuto in sé, che è una decisione che poteva riguardare solamente lui e la sua famiglia, e non è neppure per un odio particolare verso la Juventus. Era semplicemente il mio giocatore preferito che rifiuta di andarsene dalla mia squadra del cuore perché sta bene nella mia città: esiste qualcosa di più romantico a livello sportivo?

Poco conta poi, se anche per colpa di un suo gol sbagliato i rossoblù non arrivarono alla finale di Coppa Uefa. Andersson potevo solo amarlo in maniera incondizionata. E come me, lo facevano in tanti.

Kennet Andersson - Figurina Panini 1997

Kennet Andersson – Figurina Panini 1997

L’inizio della carriera di Kennet Andersson

Dotato fin da giovane di un fisico possente, ha da sempre unito ai centimetri lo spirito sportivo e di sacrificio che probabilmente gli è stato tramandato dalla famiglia, visto che la madre era stata a lungo nazionale di atletica leggera, sport intrapreso poi anche dai fratelli di Kennet. Lui si avvicina allo sport seguendo l’impronta familiare, ma poi vira sul calcio e dopo alcuni anni in serie minori approda all’IFK Göteborg dove al terzo anno segna 13 reti in 16 partite.

Un rapido passaggio al Malines in cui non brilla e poi arriva il Norrköping in cui torna a segnare con regolarità. Arriva così la chiamata in Franca, prima nel Lilla e poi nel Caen e da lì il salto in Italia, al Bari. In Puglia dimostra tutta la sua utilità e bravura, segnando 12 volte e aiutando Igor Protti a diventare capocannoniere della Serie A (con 24 reti) a suon di assist.

L’arrivo a Bologna della torre svedese

Ma nonostante questo i galletti non mantengono la categoria e Kennet Andersson si sposta a Bologna, dove aiuta Roberto Baggio a raggiungere il personale record di reti in Serie A (22 gol) servendo numerosi assist e andando a sua volta a segno 12 volte. È un gran bel Bologna quello, e l’addio di Baggio non pesa poi tanto visto l’arrivo, e la rinascita, di Giuseppe Signori.

In rossoblù lo svedese vince l’Intertoto e si mangia la possibilità di arrivare in finale di Coppa Uefa. Rifiuta la Juventus ma non la Lazio. Era la stagione 1999-2000, era la Lazio più forte di sempre, con cui vince la Supercoppa Europea contro il Manchester United.

Come ricorderà proprio Andersson: «Avevo avuto già la possibilità di andare in altre big ma se poi ti chiama uno svedese come Sven-Goran Eriksson, dopo averci pensato un paio di volte alla terza dici ‘ok, ci vado’. Solo lui poteva farmi lasciare Bologna». Ha ragione Kennet, Eriksson, in quella Lazio, era troppo per poter resistere.

Ma Kennet non trova spazio e il Bologna non brilla. E così, il ritorno è servito. Ricorda sempre lo svedese: «Il Bologna non era messo bene. Parlai con Eriksson e, avendo capito che sarebbe stato difficile trovare spazio in quella Lazio, decisi di tornare in rossoblù. Io volevo giocare e sentirmi importante”. E a Bologna, Andersson era, è e sarà sempre importante.

Il pubblico lo riabbraccia con amore, fino a quando poi non decide di chiudere la carriera passando prima al Fenerbahce e poi tornando in Svezia nel Gårda, una squadra dilettantistica.

 

Chi era Kennet Andersson?

Ricordata rapidamente la carriera, vanno aggiunte altre cose per chiarire ancora meglio a chi non lo abbia visto e conosciuto chi era Kennet Andersson. A Bologna, un buonissimo attaccante come Julio Ricardo Cruz che poi dimostrerà più volte il proprio valore anche con la maglia dell’Inter, inizialmente sfigurò al paragone con Andersson, suo predecessore in maglia rossoblù.

Igor Protti esternò pubblicamente un pensiero che altri nel tempo hanno avvalorato, oltre ai meri dati statistici, ovvero che Andersson era il compagno d’attacco ideale per giocatori rapidi, tecnici e capaci negli inserimenti. Proprio come poi avvenne con Baggio e Signori.

Ma non solo Protti. Fabio Cannavaro ne ha parlato in questi termini: «Chi mi ha messo più in difficoltà? Kennet Andersson, giocatore del Bologna alto 1,93 e fortissimo di testa. Io penso che su cento palloni, con lui ne avrò presi al massimo uno o due: un fenomeno». E Cannavaro di attaccanti forti ne ha affrontati parecchi.

Andersson e l’assurda espulsione di Nicchi

Dotato anche di grande intelligenza e una calma quasi proverbiale, rimarrà nella storia lo scandaloso arbitraggio di Nicchi in quel di Vicenza, squadra contro cui Andersson è curiosamente sempre stato penalizzato dai direttori di gara. Ma mai come in quell’occasione.

Dopo una serie impressionante di falli subiti senza che l’arbitro ammonisse e a volte addirittura fischiasse la punizione, lo svedese chiese al proprio allenatore Renzo Ulivieri di essere sostituito visto che palesemente il direttore di gara aveva qualcosa contro di lui. Nicchi, per tutta risposta, espulse l’attaccante.

Fu la sola volta che Andersson apparve alterato, ma effettivamente, sembrava più stupito che arrabbiato. Neppure l’assurdo gli aveva tolto completamente il classico aplomb. L’evento non passò indifferente alle televisioni e neppure alla Gialappa’s Band che ne fece un divertente spezzone entrato nella storia del programma televisivo “Mai dire Gol”.

Forse non è un caso però, che una volta conclusa l’attività da calciatore, Andersson sia diventato non solo un direttore sportivo ma anche un vero e proprio “mental coach di livello, che collabora con importanti squadre svedesi.

Kennet è poi tornato più volte a Bologna, per vari festeggiamenti della società e anche per lavoro, portando alcuni dirigenti svedesi in visita all’impianto di Casteldebole. E Bologna si è sempre stretta attorno alla propria amata torre svedese perché, se per me Andersson è stato quasi un culto, non conosco tifoso che bazzicasse lo stadio in quegli anni che non ami incondizionatamente questo giocatore.

La storia del gigante di Eskilstuna potrebbe finire qui, se non fosse che la sua presenza a Bologna, e non solo, si lega in maniera indissolubile a quella di un altro giocatore amatissimo dal pubblico felsineo, e grande amico di Kennet: Klas Ingesson.

Klas Ingesson e Kennet Andersson

Klas Ingesson e Kennet Andersson

Klas Ingesson, l’eterno amico di Kennet

E quando il migliore amico del tuo idolo, è anche una persona straordinaria e gioca lui stesso nella tua squadra del cuore, ecco che anche questi prende il suo spazio tra i tuoi affetti.

Klas se ne è andato nel 2014 all’età di 46 anni, lasciando un mondo un po’ peggiore vista la sua assenza, ma anche un po’ migliore per chi lo abbia conosciuto e possa ricordarne la stazza morale prima ancora che fisica.

Ingesson è la seconda torre svedese che in quegli anni si ergeva a Bologna, con la maglia rossoblù, difendendone il centrocampo ma anche i valori di sportività e umanità. Kennet e Klas sono per sempre una coppia indissolubile. E sono indimenticabili per i tifosi rossoblù.

Non vi è occasione in cui Andersson non passi da Bologna, che ci si stringa tutti nel ricordo del grande Klas Ingesson. In Curva Bulgarelli, un gruppo di tifosi ha una bandiera che ritrae proprio il centrocampista svedese con la maglia rossoblù.

Rimarrà per sempre nella mia memoria il momento in cui Andersson prese quella bandiera e passò in rassegna tutta la Curva, da un lato all’altro, sventolandola, mentre l’intero popolo bolognese cantava il classico coro in onore di Ingesson. Ho i brividi ancora oggi.

Ammetto di aver cantato tra le lacrime. In quel momento collaboravamo con Punto Radio, l’emittente bolognese fondata dal grande Vasco Rossi e nel post-partita mi ritrovai a raccontare l’avvenuto e mi fu impossibile non non interrompermi più volte per la forte emozione e le lacrime.

Klas Ingesson, la seconda torre svedese del Bologna anni ’90

Klas era un guerriero sul campo, uno che non mollava un centimetro. Mai. Neanche quando apparentemente non aveva più senso combattere. Ma allo stesso modo era cordiale gentile e buono nella vita di tutti i giorni. Ovviamente amatissimo anche in patria e costantemente convocato in nazionale con il medesimo percorso glorioso dell’amico Andersson, Ingesson giocò in Svezia, Belgio, Olanda e Inghilterra prima di approdare in Serie A, anche lui a Bari come il suo amico Kennet.

Klas rimase in Puglia anche dopo la retrocessione dei galletti che portò l’amico fraterno a Bologna. Ingesson assaggiò la Serie B e contribuì non poco al veloce ritorno nella massima serie del Bari. Nel 1998 finalmente arrivò a Bologna e in due stagioni si fece amare come pochi altri.

Poi si trasferì a Marsiglia e Lecce, prima di chiudere la carriera nel 2001 e diventare allenatore. A Bologna ha fatto registrare 96 presenze e 9 reti, ma il suo esempio sul campo e fuori sono le vere doti che lo hanno fatto amare da tutte le tifoserie. Lavoro, serietà e semplicità. Professionalità e umiltà. Tecnica, potenza e grinta.

Klas Ingesson - Figurina Panini 2000

Klas Ingesson – Figurina Panini 2000

Klas e la malattia

Nel 2009 viene colpito da mieloma multiplo, e nel 2010 la malattia appare sconfitta. Ingesson, grande guerriero, era stato sicuro di vincere fin dall’inizio. Nel 2013 però, purtroppo, è lo stesso giocatore ad annunciare il ritorno della malattia e di un trapianto imminente per cercare di sconfiggerla una volta per tutte.

A fine 2013 Klas aveva apparentemente battuto nuovamente il mieloma, ma una grave forma di osteoporosi iniziò a debilitarlo già dall’inizio del 2014. Ridotto dalla malattia in sedia a rotelle, ma mai piegato nello spirito, rimarrà alla guida dell’’Elfsborg (i cui dirigenti si sono dimostrati persone speciali) fino a quando si renderà conto di doversi fermare.

Pochi mesi dopo il mieloma avrà la meglio: era il 29 ottobre 2014. Chi era Klas? Era un uomo che una volta ritiratosi dal calcio come prima cosa tornò in mezzo ai suoi boschi in cui era nato a fare il taglialegna.

Era un uomo che tornato a fare l’allenatore, e scopertosi malato per l’ennesima volta, dichiarava che doveva ritirarsi, perché nonostante i suoi problemi, non riusciva a non pensare agli altri ed il medico gli aveva intimato di allontanarsi dal calcio perché il suo pensare a dover fare forza alla squadra nuoceva alla sua lotta contro il mieloma.

Ingesson è da sempre un esempio di serietà ed abnegazione, ma anche di voglia di vivere e per questo ho sempre fatto fatica a pensare solamente alla sua malattia. Non era facile indossare il numero otto del Bologna, quel numero che fu di Bulgarelli, ma Klas fu uno dei giocatori che maggiormente la seppe onorare fino in fondo dopo Giacomino.

Klas Ingesson

Klas Ingesson

Klas Ingesson arriva a Bologna

Arrivato a Bologna, in una delle sue prime interviste, dichiarerò di non sapere esattamente cosa, ma che una cosa era chiara: qualcosa una formazione del genere doveva vincere. E lo disse con l’aria calma e serafica di un bambino che vi sottolinea un’ovvietà. Arriverà solo un Intertoto, ma Klas arriverà comunque a giocarsi anche la semifinale di Coppa Uefa e di Coppa Italia.

Storico rimane anche il rigore, abbastanza di manica larga, che Trentalange assegnò in un Bologna-Sampdoria. Il gol condannò i blucerchiati alla retrocessione. Ferron, portiere doriano, ricorderà anni dopo la sensazione di impotenza nel trovarsi davanti un giocatore come lui. Inutile chiedergli di sbagliare, non avrebbe avuto senso.

Ingesson sarà con noi per sempre

Per citare lo scrittore Angelo De Pascalis: «Tutto passa. Ma non certe emozioni. Non certi sogni. Non certe intese. Tornano. Bussano. Insistono. Resistono a tutto. Anche alla ragione». E nessuno a Bologna dimentica l’uomo prima che il giocatore, la persona che ti dava fiducia. Neanche in Puglia, a quanto pare, visto che il Club Rossoblù pugliese è proprio dedicato a Klas Ingesson.

In quegli anni in Curva c’era un due aste che recitava: “Giocala con Klas”, e non era solo un divertente gioco di parole. Era anche il modo per essere certi che quel pallone sarebbe rimasto nostro, o che comunque tutto il possibile sarebbe stato fatto, fino all’ultimo secondo di gara, fino all’ultima goccia di sudore e di energia, perché il Bologna ottenesse il massimo possibile.

Nel 2025, anno straordinario per il Bologna che è tornato ad alzare un trofeo importante come la Coppa Italia, sono stati presenti a Bologna i figli di Klas Ingesson, nell’ennesima celebrazione di un campione e di un uomo che non sarà mai dimenticato dal popolo bolognese.

Chi era Klas Ingesson?

Per avere ancora meglio un’idea di chi fosse Klas Ingesson fuori dal campo, prendiamo le parole di alcuni suoi compagni di squadra del Bologna. Nel 2019, a cinque anni dalla sua morte, in un articolo uscito su “Il Corriere dello Sport – Stadio” ho raccolto le loro parole che riporto anche qui.

Iniziamo, ovviamente, con le parole del suo più grande amico, Kennet Andersson: «Siamo stati grandi amici. Klas è parte di me ed è con me ogni giorno. La sua forza e la sua umanità mi hanno aiutato e mi aiutano tutt’oggi. Ogni volta che torno a Bologna è meraviglioso vedere come il pubblico sia ancora così tanto legato a lui. Bologna lo ama e lui ha amato Bologna e i bolognesi».

Ma anche il difensore Giovanni Bia mi rispose con entusiasmo: «Mi ricordo come se fosse ieri, che prima delle partite di Coppa Uefa si faceva fatica a prendere sonno e ci ritrovavamo in parecchi a fare due chiacchiere nel corridoio degli alberghi.  Prima dei quarti di finale contro il Lione, in Francia, siamo stati parecchio a parlare noi due soli. Mi disse che finito di giocare il suo sogno era di comprare un bosco nel suo paese e vivere un post carriera tranquillo. Invece purtroppo ce l’hanno portato via troppo presto e senza un motivo. Era una persona eccezionale, eravamo molto amici ed ancora oggi mi viene da piangere solo a pensarci. Ringrazio di cuore tutti quelli che tengono vivo il suo ricordo».

Fu per me un momento altamente emozionante quando Bia mi ringraziò di cuore per mantenere vivo il ricordo di un suo grande amico scomparso troppo giovane. Fu motivo di orgoglio anche il suo ringraziarmi per l’idea di chiedere ai suoi vecchi compagni di portare un loro ricordo di Klas, invece di limitarmi a riportare le sole statistiche del suo periodo in rossoblù.

Non poteva poi mancare il commento del capitano di quel Bologna, Carlo Nervo: «Klas è stato oltre che un compagno un amico, ha lasciato un ricordo incredibile ai tifosi e a chi ha avuto l’onore di conoscerlo. Penso che l’amore per la famiglia, la gioia del lavoro e il culto dell’onestà siano stati valori che ha trasmesso a tutti noi». Impossibile descrivere meglio il lascito di Ingesson. Valori che gli sono stati riconosciuti da tutte le tifoserie, da tutti i compagni di squadra e addirittura dai rivali.

Gianluca Pagliuca, aggiunse alcune altre considerazioni: «Klas era un ragazzo alla mano. Sempre disponibile e generoso con tutti. In campo, inutile dirlo, era un vero guerriero e un esempio di professionalità»; e Michele Paramatti, altro grandissimo protagonista di quelle stagioni, conclude il quadro con queste parole: «Klas era una persona giusta, con la quale si è creata da subito una grande sintonia. Era un Uomo vero con la “U” maiuscola. Un grande calciatore, generoso e leale, una vera forza della natura. E soprattutto era un amico vero».

E allora grazie di tutto torri svedesi

Come detto all’inizio, non potevo, prima o poi, non parlare di Klas e di Kennet. Non potevo non ringraziare le mie due torri sportive preferite. Non può esistere una storia del Bologna senza un capitolo che parli di Andersson e Ingesson.

E chiudiamo con un video del 2014, con il giro di campo in ricordo di Klas Ingesson. Bologna e il Bologna lo hanno ricordato assieme ad alcuni dei suoi compagni di squadra di allora e i tifosi li hanno accompagnati con i soliti cori e con una splendida coreografia.

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