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L’altro spogliatoio – La storia: “Si scrive Gil, si legge Gol” – Gianluca De Ponti, il figlio delle stelle – 18 dic

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Una sfida sostanzialmente in parità, quella che corre tra Bologna e Avellino. Almeno stando agli ultimi incontri avvenuti tra le due squadre, che vede un bilancio di sostanziale parità: dal 1977 sono 16 le gare che hanno visto scontrarsi i verdi irpini e i rossoblù, con 6 vittorie del Bologna, 5 pareggi e 5 vittorie per l’Avellino.

Una storia ricca e interessante, quella del club calcistico irpino: nel 1978 arriva in Serie A, vi rimane per dieci stagioni con molta sofferenza e diverse belle soddisfazioni. Il grande Gianni Brera lo definirà “la più bella realtà del calcio di provincia della storia italiana”.
1977, 1978. Torniamo al 1977. Il Bologna inizia il campionato con una trasferta impegnativa, ospite dell’Inter a San Siro. I nerazzurri possono vantare campioni come Ivano Bordon tra i pali, il grande Gacinto Facchetti (alla sua ultima stagione) in difesa, Lele Oriali a centrocampo e Pietro Anastasi di punta. Inoltre stanno spuntando Giuseppe Baresi e Alessandro Altobelli. Insomma, una bella squadra, che non a caso arriverà quinta al termine del torneo e conquisterà la Coppa Italia.
E il Bologna? In panchina è tornato Bruno Pesaola, già tecnico campione d’Italia con la Fiorentina e capace di vincere alla guida dei rossoblù la Coppa Italia del 1974. È tornato all’ultimo tuffo, ritrovandosi tra le mani una squadra che dovrà lottare per salvarsi. Ma contro l’Inter è impossibile vincere.
E invece il Bologna vince. Il gol-partita lo segna un fresco esordiente in rossoblù, Gianluca De Ponti, su assist di Stefano Chiodi. Fiorentino – quando si dice il caso – De Ponti è uno di quei giocatori che si sono “fatti da se”: cresciuto nella Fiorentina, ha girovagato per le serie inferiori (Impruneta, Terranuovese, Sangiovannese) segnando così tante reti da guadagnarsi la chiamata al Cesena, con cui ha esordito in A appena due anni prima. Il Bologna lo ha acquistato per completare un attacco che vede la presenza di altri due futuri campioni: uno è il già citato Chiodi, l’altro il giovane prodotto del vivaio Giuliano Fiorini. De Ponti è il più esperto dei tre, la squadra fatica moltissimo per raggiungere la salvezza ma alla fine ce la fa anche grazie alle sue otto reti, che lo rendono il capocannoniere rossoblù.

Che personaggio, De Ponti: più che per i gol, a Bologna colpisce per il suo look stravagante e per la generosità con cui in campo si butta su ogni pallone, compiendo anche un utilissimo lavoro di copertura. Baffi e lunghi capelli riccioli, a Cesena si dice che andasse a giro per il centro cittadino con un’oca al guinzaglio e che fosse il re delle discoteche. Siamo nel 1977, la canzone che va per la maggiore è “Figli delle Stelle” di Alan Sorrenti, ed ecco che De Ponti, già “Gil” (“Si scrive Gil, si legge Gol”, una delle frasi celebri su di lui da parte dei tifosi) diventa “Figlio delle Stelle”. L’anno successivo però in società si trovano tra le mani – nell’ambito di un’operazione di mercato che porta Chiodi al Milan – il promettente attaccante Vincenzi, e De Ponti viene ceduto.

Lo acquista (è il 1978, giusto?) il neo-promosso Avellino, compagine a cui in pochi danno una lira: invece Vincenzi delude e il Bologna si salva solo grazie alla differenza-reti, Chiodi al Milan conquista lo Scudetto e De Ponti è tra i protagonisti della sorprendente (e ampia) salvezza dell’Avellino. Ancora una volta “Gil” è il miglior marcatore del suo club, esaltando i tifosi anche grazie ad un estro fuori dal comune.
Il resto della sua carriera è da vero e proprio “attaccante giramondo”: dopo un biennio all’Avellino scende in B alla Sampdoria, quindi dopo una stagione all’Ascoli ecco il ritorno a Bologna, città dove ha lasciato il cuore e dove è nato suo figlio. I rossoblù sono in Serie B per la prima volta nella loro storia, “Gil” come i compagni è frastornato dalle note vicende societarie che trasformano quella che doveva essere una stagione all’inseguimento della promozione in un’annata che culmina con l’incredibile retrocessione in C. Si rimbocca le maniche, e l’anno successivo contribuisce – pur se in modo marginale – all’immediato ritorno in B. Lascia le cose come le aveva trovate, e per chiudere la carriera sceglie l’estero, pratica non così comune ai tempi. Lo aspettano i maltesi dello Żurrieq e il vecchio compagno del Bologna Adelmo Paris: insieme, i due ex-rossoblù, conquistano una Coppa di Malta, e Gil il titolo di capocannoniere del campionato, chiudendo una carriera tutto sommato ricca di soddisfazioni e dai buoni numeri: 143 presenze e 35 reti in Serie A, 58 presenze e 15 reti in Serie B, oltre a un gran numero di gol segnati anche nelle serie inferiori.

Gianluca De Ponti è l’ideale trait d’union tra due società, Bologna e Avellino, tanto diverse nelle origini quanto simili in un periodo, gli anni ’80, dove il calcio era senz’altro più pittoresco e ricco di eroi. Gil è stato uno di questi eroi, creandosi da solo una carriera che lo ha visto girovagare per tutta Italia ma che proprio a Bologna e Avellino lo ha visto entrare nel cuore dei tifosi, che ne apprezzavano il carattere poco incline ai compromessi, l’enorme generosità sul terreno di gioco e la stravaganza fuori dal campo. Un attaccante che si fece da solo, che seppe divertirsi e divertire, e che a modo suo e grazie ad un cuore enorme ha segnato una parte di storia delle due società che si sfideranno sabato in una gara che, se per un attimo volessimo provare a chiudere gli occhi, potrebbe riportarci ad un calcio romantico che adesso non c’è più.
Il calcio di Gil De Ponti, il figlio delle stelle.

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