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Essere soli è una forza, sentirsi soli è una debolezza

La solitudine dei numeri primi? Non sempre essere soli è sinonimo di solitudine: i casi di Massimo Pessina e Wojciech Tomasz Szczęsny.

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Massimo Pessina e Wojciech Tomasz Szczęsny (©Bologna FC 1909 e ©FC Barcelona)
Massimo Pessina e Wojciech Tomasz Szczęsny (©Bologna FC 1909 e ©FC Barcelona)

Domenica pomeriggio al Dall’Ara il pubblico rossoblù ha assistito ad una gara quasi surreale, piena di quelli che, a prima vista sono sembrati “scherzi del destrino”, ma che in realtà alla fine si sono rivelati essere parti di un copione ben scritto, degno di un premio Oscar.

L’incoronazione di Massimo Pessina

Il giorno prima della gara arriva la notizia: Federico Ravaglia fuori dai convocati per una distorsione alla caviglia. Lì per lì non ci si fa neanche caso, sicuramente il giorno dopo Italiano avrebbe schierato quella che è la certezza di questa stagione: Lukasz Skorupski. Ma anche le certezza a volte vacillano.

All’8’ minuto di Bologna-Napoli il polacco sente tirare alla coscia destra, arrivano i medici in campo. Dalla panchina si alza il 2007 Massimo Pessina che capisce subito che quello sarebbe stato il suo ingresso tra i grandi. Al 10° avviene l’incoronazione del portierino, l’abbraccio con il predecessore e poi, il grande boato dei suoi sudditi che lo acclamano “Massimo, Massimo”. Urlano a gran voce, quasi per farsi sentire fino al cielo, forse per chiedere una grazia.

Pessina è solo tra i pali, ma tutto il Dall’Ara è con lui

Pessina si schiera tra i pali, la pressione è altissima ma non è da solo. I suoi compagnie di squadra, come soldati sono al suo fianco. I colossi Lucumi ed Heggem non ci pensano neanche a far arrivare i partenopei in porta, col colombiano che come un torero incita Højlund come per dire “questo è il meglio che sai fare?” e in risposta gli fa pure il gol del 2-0.

Il tempo scorre e infine, ecco arrivare il triplice fischio. Il nuovo re ha protetto il suo regno e tutta la squadra lo porta in trionfo in un Dall’Ara in delirio.

Il momento del cambio tra Lukasz Skorupski e Massimo Pessina durante Bologna-Napoli (©Damiano Fiorentini)

Il momento del cambio tra Lukasz Skorupski e Massimo Pessina durante Bologna-Napoli (©Damiano Fiorentini)

Per ogni alba c’è un tramonto: Szczesny in Club Brugge-Barcellona

Ma per un piccolo portiere che si presenta al mondo dicendo “ci sono anche io”, c’è un gigante la cui luce si sta pian piano offuscando: Wojciech Tomasz Szczesny. L’ex Juventus, ad un passo dal ritiro e poi acquistato dal Barcellona, ha giocato titolare nella gara dello scorso mercoledì contro il Club Brugge terminata 3-3.

Durante la partita è parso quasi irriconoscibile. Al sesto minuto il numero 25 viene sopraffatto da Tresoldi, poi ci pensa il 2004 Forbs a fare il resto.  Szczesny rimane impietrito davanti alla corsa del portoghese, rimane fisso a guardarlo come da spettatore esterno, ne rimane quasi incantato. Poi di colpo  si sveglia ma è troppo tardi: i guantoni sono come una spada che contro una pistola non valgono più nulla.

Il paradosso: essere soli non deve voler dire sentirsi soli

L’effetto è stato di straniamento. Un portiere quasi invincibile, che è stato capace di parare il rigore a Kylian Mbappé nel Clasico del 26 ottobre, brancolava nel buio, spaesato e quasi isolato dai suoi compagni di squadra. A fine partita, infiniti i commenti dei tifosi blaugrana che lo incitavano al ritiro.

Ed è qui che arriva il paradosso: il portiere potrà anche giocare da solo, ma quando si sente solo, escluso dalle dinamiche di squadra, giocherà tutta un’altra partita. Non è più questione di età o di esperienza. D’altronde, come disse lo scrittore Julian Barnes “Essere soli è una forza; sentirsi soli è una debolezza”.

 

Fonte: Roberto Beccantini – Stadio

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