Bologna FC
Pier Paolo Pasolini e la “malattia” del tifoso rossoblù
Il 5 marzo di 103 anni fa nasceva a Bologna Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, regista e appassionatissimo tifoso rossoblù.

Oltre ad essere stato uno dei più grandi intellettuali del Novecento, Pier Paolo Pasolini aveva una grande passione: il calcio. Pasolini se ne innamorò durante l’adolescenza, quasi per caso, dopo che per tanto tempo si era sempre rifiutato di giocare a pallone. Negli anni 30’, Pasolini frequentava il liceo Galvani di Bologna e dopo le lezioni, con gli amici e compagni di classe, era solito giocare a calcio per ore e ore nelle zona dei Prati di Caprara, ovvero il primissimo terreno di gioco del Bologna Football Club. Su quel campo, Pasolini respirava la storia di un Bologna che in quegli anni era veramente grande: è il 1937 e i rossoblù sono campioni d’Italia per il secondo anno di fila. Ed ecco che per lui, il calcio acquisisce un valore ancora più profondo: diventa un tifoso. Di quali colori? Rossoblù naturalmente.
Nel 1969 scrive sul quotidiano Tempo: “Io sono tifoso del Bologna. Non tanto perché sono nato a Bologna, quanto perché a Bologna […] sono ritornato a quattordici anni, e ho cominciato a giocare a pallone dopo aver tanto disprezzato tale gioco – io che amavo giocare solo alla guerra. I pomeriggi che ho passato a giocare sui Prati di Caprara (giocavo anche sei, sette ore di seguito ininterrottamente come ala destra. Allora i miei amici qualche anno dopo mi avrebbero chiamato lo “Stukas”) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita”.
Pasolini e quella volta che marinò la scuola per vedere il Bologna
Il giovane Pasolini inizia ad andare allo stadio e segue da vicino le vicissitudini della sua squadra del cuore. Dopo aver conquistato il secondo scudetto, il Bologna di Árpád Weisz vince il Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi battendo il Chelsea in finale per 4-1. Quando i giocatori rientrano in Italia, tra i tanti ad accoglierli c’è anche il quindicenne Pasolini che per festeggiare i suoi idoli – primo fra tutti Amedeo Biavati – aveva marinato la scuola.
Sempre su Tempo Pasolini scrive: “Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone […]. Che domeniche allo stadio Comunale!”.

Il Bologna vince il Torneo dell’Esposizione di Parigi battendo il Chelsea nel 1937 (© Bologna FC 1909)
L’intervista al Bologna del settimo scudetto per il documentario “Comizi d’Amore”
È il 1963 e Pasolini sta raccogliendo testimonianze per un documentario-inchiesta intitolato Comizi d’Amore. Il documentario ha lo scopo di mettere in evidenza il contradditorio pensiero degli italiani in materia di sessualità e morale, sottolineando l’influenza della religione cattolica e le conseguenti differenze tra nord e sud Italia. Tra gli intervistati ci sono anche i rossoblù del settimo scudetto. Il primo a cui Pasolini passa il microfono è Pavinato: «Lei è veneto se non sbaglio. Il veneto è una regione molto cattolica, lei non pensa che i veneti risentano di questa loro educazione cattolica in questo campo (dell’educazione sessuale, ndr)?», «Non credo» risponde Pavinato esitante.
Tra la timidezza generale, l’unico a rispondere con scioltezza è Giacomo Bulgarelli che con sicurezza afferma: «Quasi tutti noi siamo andati a fare catechismo in chiesa e in parrocchia, e credo che ognuno di noi abbia nel proprio fondo questa repressione». Pasolini nutriva una profonda ammirazione per Bulgarelli e lo ha raccontato anche Sergio Citti, il protagonista di Accattone: «Quando incontrò Giacomo sembrava che avesse visto Gesù Cristo». In seguito, Pasolini tentò pure di convincere Bulgarelli ad interpretare una parte nel film I racconti di Canterbury, ma l’invito venne gentilmente declinato.

Pasolini intervista il Bologna del settimo scudetto. Da sinistra, Pier Paolo Pasolini, Mirko Pavinato, Harald Nielsen e Paride Tumburus (© Comune di Bologna)
Pasolini e la “malattia” del tifoso
Oltre alla passione per il calcio, Pasolini era profondamente affascinato dal tifo in generale e soprattutto, dal legame indissolubile che si creava tra il tifoso e la sua squadra del cuore. Nel 1957 fu inviato dall’Unità a seguire un derby a Roma. Pasolini si sedette in Curva Sud, ma al termine della gara, il prodotto finale non fu la semplice cronaca della partita bensì un trattato sociologico sull’ambiente della curva stessa. Abitando a Roma, Pasolini andava frequentemente all’Olimpico ma la sua fede, scelta da giovanissimo, rimase sempre rossoblù. Del resto, come detto da Pasolini in un’intervista a Enzo Biagi su La Stampa del 1973: “Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita”.
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