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Repubblica: Il signor Bianchi alla prova del gol – 24 agosto

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Come scrive Emilio Marrese sulle colonne di Repubblica, il gol quest’anno si chiama Rolando Bianchi. O, perlomeno, si spera visto che il restauro e rilancio di talenti un po’ arrugginiti è diventato giocoforza, negli ultimi quindici anni buoni, una specialità della casa, una risorsa necessaria. Così, ogni volta che alle porte di Casteldebole si presenta a bussare un attaccante un po’ ammaccato, lo scetticismo generale viene placato con la litania dei precedenti, da ripetere come un mantra propiziatorio: Baggio, Signori, Di Vaio, Diamanti, Gilardino. Ora pro nobis anche perché dobbiamo anche ricordarci che ci sono stati, in questi anni, anche dei fallimenti sui quali di solito si preferisce sorvolare: Ventola, Rossini, Osvaldo o Acquafresca, tanto per citare i primi che vengono in mente. Non è che bastino le tagliatelle o l’aria del Dall’Ara, ecco.

 

Però, scrive Marrese, il caso di Rolando Bianchi fa eccezione perché il profilo non è esattamente quello dei successi sopra elencati. Nello specifico, l’ex capitano del Toro non ha un pedigree all’altezza dei precedenti cold case abilmente risolti ma assomiglia più all’identikit di Diamanti, semmai.

 

Basta prendere gli almanacchi per leggere numeri e squadre. Baggio, Signori, Di Vaio e Gila avevano tutti un grande avvenire dietro le spalle. Avevano vestito maglie importanti, anzi importantissime, compresa quella della Nazionale, e avevano vissuto già molte stagioni sfolgoranti in fatto di gol prima di venire qui a rigenerarsi dopo le ultime annate d’appanno e affanno. Si trattava di capire se ci fosse ancora qualcosa da raschiare nel fondo del barile, e si scoprì poi che c’era ancora tanto e non solo la madre dell’aceto.

Bianchi non ha quel passato, ma, per contro, non ha neanche un presente depresso. Bianchi di azzurro ha vestito solo quello delle rappresentative giovanili, fino all’Under 21 ormai 7 anni fa. Ad alto livello, non altissimo, ha resistito mezza stagione nel Manchester City (non ancora risalito al top) e mezza nella Lazio, senza lasciare segni (4 gol ciascuna). Altrettanto non ha lasciato ricordi mirabolanti nell’Atalanta e nel Cagliari, mentre il meglio l’ha dato ai tifosi di Reggina (18 gol in A nel 2007) e Torino, la sua esperienza più lunga e significativa, dove ha segnato però più in serie B (53) che in A (20).

 

Esaminando i vantaggi della sua scesa a Bologna, il Rolando non è uno che si senta declassato a venire sotto le Due Torri, anzi, non è un’incognita il suo ambientamento nelle parti basse della classifica, dove si deve combattere nell’ombra. E’ abituato a lottare in squadre di basso profilo come, ahinoi, quella di Pioli.

Altro vantaggio: ha segnato 11 gol l’anno scorso giocando però molto meno di Gilardino che ne ha fatti 13: 2306 minuti contro 3055. È uomo d’area vecchio stampo, all’inglese, niente a che vedere con il Di Vaio contropiedista che in un attimo s’integrò nel Bologna, ma forse più adatto di Gilardino, perché più gladiatore (pur senza quel fiuto formidabile nelle ultime zolle). Non si diventa capitani del Toro per caso.

Bel tiro al volo, buon colpo di testa, è uno che sa finalizzare l’azione costruita da altri e non dai suoi piedi non proprio levigati. Quindi ci sono le premesse perché con un Diamanti in forma accanto possa andare in doppia cifra anche quest’anno. «È un sogno poter giocare con alle spalle un trequartista di quel talento», ha confessato a Sestola Bianchi. Che pure al Cagliari aveva giocato con Zola. L’ideale, a dirla tutta, sarebbe una squadra in cui ci fossero più crossatori. Ma l’ideale, chiude Marrese, è un pezzo che non abita da queste parti.

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